Padre Paolo Berti“Perché mi hai veduto, tu hai creduto...”

II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia         
Gv. 20,19-31
“Perché mi hai veduto, tu hai creduto...”
Omelia 
Tommaso non era nel cenacolo quando apparve Gesù. Tommaso non voleva più stare tappato nel
cenacolo e aveva attraversato il guado dell'indecisione uscendo in strada. Tante le voci. Le donne, i discepoli di Emmaus, ma intanto nel sepolcro Gesù non c’era e non era comparso a loro. Proprio così, non era comparso a loro, ma ad altri. E non dovevano essere loro quelli che lo avrebbero dovuto vedere per primi? Tommaso uscì, dunque, mentre gli altri rimasero serrati. Insomma, per lui la partita di Gesù era da ritenere chiusa. Rimaneva il dolore, e ne aveva tanto, ma poi “la vita continua”, e nella decisione di uscire si sentì il meno sentimentale, il più concreto, il più equilibrato di tutti.
Tommaso dovette tornare nel cenacolo per riferire che nessuno lo aveva importunato, che le acque si erano calmate e che tutti potevano benissimo uscire; e che si doveva pensare che il corpo del Signore era stato portato via dalle stesse guardie non si sa per quale ragione, ma forse per essere sicuri che nei giorni in avvenire nessuno poi potesse dire che era risorto ed era uscito dalla tomba, visto che le guardie non potevano restare a vigilare il sepolcro per una vita. Ma insomma, ora tutti potevano uscire dal cenacolo con una certa sicurezza. Tommaso aveva una lieta notizia da dare. E invece ecco che i dieci gli dicono che hanno visto Gesù, che Gesù si è presentato a loro, che è veramente risorto. Uno scontro di liete notizie. Tommaso vide bene che i discepoli erano in se stessi e che tutti e dieci dicevano la stessa cosa con convinzione. Ma Tommaso resistette all’annuncio dei dieci. Si era dato nel gruppo il ruolo del razionale e per questo si era avventurato nel pensiero che Gesù fosse poi solo un uomo, un grande uomo e basta. Tommaso si era lasciato trasportare dai suoi pensieri e questi lo tenevano prigioniero. Aveva creduto di avere “sorpassato” tutti, e ora è nella condizione di dover ammettere di essere “rimasto indietro”; e gli sfugge che è nella condizione felice di credere senza aver visto. Così disse: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, non crederò!”. Gesù gli disse: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Poi Gesù gli proclamò una beatitudine: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Quelli che crederanno senza aver visto, perché sapranno percepire la sincerità della testimonianza apostolica. Crederanno perché vedranno il loro equilibrio; un equilibrio virile prodotto dalla verità e dall’amore, e che perciò rimane anche nelle situazioni più drammatiche e traumatiche, come il martirio. Come avete notato, il testo presenta il verbo al passato prossimo "hanno creduto". Chi sono costoro? Il primo è Giovanni, che "vide e credette" entrando nel sepolcro. Poi dobbiamo pensare a tanti discepoli che credettero all'annuncio dato dalle donne. E dobbiamo far rientrare tra questi anche gli altri apostoli che, sconvolti, snervati, perplessi, credettero perché videro, ma non pretesero di vedere per credere.
Quelli che crederanno non avranno una fede che lede la mente, ma che anzi è vigore di mente, perché è credere ad un annuncio che procede da Dio e dato con eroica testimonianza d'amore. Avranno una fede che non ha bisogno delle ricerche della scienza umana per stabilirsi, ma che invece è di aiuto alla scienza per non cadere in oscure ipotesi, fino ad annebbiare la luce della ragione.
Pietro, memore della situazione di Tommaso, nella sua prima lettera annuncerà la beatitudine di quelli che credono, senza aver visto con gli occhi (1Pt 1,8): “Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la meta della vostra fede: la salvezza delle anime”.
La fede ha in sé tutta la capacità di diffondersi come si legge nella prima lettura: “sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne".
Certo il fatto carismatico attirava, ma il sigillo ultimo di credibilità era la comunione presente tra i fedeli, una comunione non fatta di vogliamoci bene, ma profonda, compatta in un medesimo ideale: la testimonianza di Cristo. Una comunione in Cristo che aveva dei punti di riferimento che entusiasmavano: gli Apostoli. Dalla guida degli Apostoli procedeva una comunità capace di affrontare la storia. Dagli Apostoli direttive di ordine interno, ma soprattutto la missionarietà con una Parola che presentava al vivo il Cristo. Così Paolo diceva ai Galati (Gal 3,1): “O stolti Galati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!”. Per rappresentare al vivo Gesù Cristo, occorre che sia annunciato con fede convinta.
Nessun dubbio: Cristo è il Figlio di Dio ed è il Signore la cui Parola, che è di vita, va vissuta, obbedita. Tommaso disse: “Mio Signore e mio Dio!”. In queste parole tutto. “Mio Signore” a te appartengo perché mi hai salvato; “mio Dio” a te appartengo perché mi hai creato.
Nessun dubbio; egli è il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Il Primo perché tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui; l’Ultimo perché tutte sono state fatte in vista di lui, sigillo e novità di tutta la creazione.
Nessun dubbio. La fede esclude il dubbio. La parola dubbio appartiene allo scettico, a colui che ha lastricato la sua anima di falsi ragionamenti, di cavilli mentali, ma per il credente esiste solo il “problema”; e i problemi, si sa, sono risolvibili. Il teologo, il fedele, non può avere dubbi, ma solo problemi. Il credente sa che il problema verrà risolto, chiarito; magari solo in cielo, ma sciolto. Non dubbio, dal momento che la nostra fede è accoglienza di una Parola certissima, quella di Dio. Il dubbio si ha quando il problema è sentito come realtà invasiva senza soluzione. Ma attenzione che il problema, sia un vero problema, e non un falso problema. Se poi un problema teologico volesse essere posto sotto la competenza della sola ragione, allora il mistero diventerebbe solo fonte di dubbio, perché non può l’uomo, nello stato presente, esaurire il mistero. La ragione, pur illuminata dalla fede, si trova impossibilitata ad esaurire la comprensione del mistero; certo la ragione illuminata dalla fede può esplicitare, approfondire, ma sempre sapendo che arriverà a quello che i teologi medioevali chiamavano il punto oscuro; oscuro perché in realtà luminosissimo, insostenibile, inguardabile alla mente umana.
Tommaso non disse: “Non credo neppure se vedo!”, non negò la risurrezione Tommaso, il suo cuore era ancora disponibile alla verità. Si può arrivare persino a non essere più disponibili alla verità. Nel Vangelo, ad esempio, si legge del miracolo della risurrezione di Lazzaro e si legge che nel Sinedrio si disse che era un miracolo evidente. Videro, ma non credettero. Così pure il Sinedrio credette alle guardie che dissero che un prodigio era avvenuto alla tomba, ma negarono ogni prodigio diffondendo una menzogna.
Tommaso credette; accettò la lezione di umiltà che Gesù gli aveva preparato entrando nel cenacolo proprio quando lui non c’era.
Ma ci fu lezione di umiltà anche per gli altri.
Ordine di giustizia: prima le donne che l’avevano seguito sul calvario; anzi prima Maria, la Madre. Poi, gli apostoli, che erano fuggiti: lezione di umiltà.
Nel portico di Salomone i dodici erano in posizione distinta dai fedeli. “Nessuno degli altri osava associarsi a loro”, dice il testo; ma c'era tanta umiltà nel loro cuore. In alto, ma nello stesso tempo accanto agli altri, per essere in Cristo, con Cristo e per Cristo, i collaboratori della gioia di tutti (2Cor 1,24).
Collaboratori di Cristo nella diffusione della gioia di Cristo, ecco un magnifico programma di vita! Facciamolo nostro con viva fede, con serena speranza, con accesa carità. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.


Fonte :perfettaletizia.it

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