S.E. mons. Benigno Papa DOMENICA DELLE PALME
Commento al lezionario festivo a cura di S.E. mons. Benigno Papa
Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Lc 22,14,23,56
20 Marzo 2016
1. Il terzo canto del Servo di Jahvè e l’inno cristologico della lettera ai Filippesi sono due fari di luce
che illuminano il racconto della Passione e morte di Gesù. Poiché le due prime letture sono comuni ai tre cicli dell’anno liturgico, noi ci limitiamo a mettere in evidenza gli aspetti teologicamente caratteristici del racconto lucano della Passione. Essi possono essere articolati in sette punti quanti sono i luoghi in cui essa si svolge:
a) Luca è il solo evangelista che fa seguire all’ultima cena una serie di detti di Gesù rivolti agli apostoli e che interessano il presente e il futuro della loro missione (Lc 22,14-38). Questa scelta ha un significato. La cena pasquale che Gesù vive con gli apostoli, nella quale è simbolicamente espresso tutto il senso della sua vita e della sua morte, è la misura della verità della sua vita e perciò Gesù vuole che essa sia anche la misura che giudichi la verità della vita della Chiesa dalla Pasqua alla fine del mondo. È a partire dal suo comportamento, manifestato nell’istituzione dell’Eucarestia, che la Chiesa dovrà imparare a discernere le sue scelte di vita: l’uso responsabile della libertà per non tradire l’amore ricevuto da Gesù, come invece ha fatto Giuda, che pur avendo deciso di tradirlo, ha preso parte all’Ultima Cena (Lc 22,21-23), la modalità di essere grandi nella Chiesa sul modello della grandezza di Cristo Servo (Lc 22,24-27). Agli apostoli che, pur passando attraverso molteplici prove, restano perseveranti nella fede, Gesù promette la loro partecipazione alla gloria di Dio della quale il pane eucaristico è pegno (Lc 22,28-30; 14,15). Gesù assicura Simone che la sua fede non verrà mai meno grazie alla sua preghiera. Il primo dei Dodici non tollera che la sua fedeltà a Gesù sia messa in discussione, ma questi gli dice che egli questa notte stessa lo rinnegherà tre volte. La sua missione nella Chiesa sarà quella di un peccatore perdonato chiamato dall’amore di Dio a confermare i fratelli nella fede (Lc 22,33-34). Infine Gesù informa gli apostoli che è imminente l’inizio di una nuova fase della vita e della missione in cui occorre essere ben attrezzati per affrontare le sfide e il piano escogitato da Satana già operante in Giuda (Lc 22,3). L’arma vincente della quale occorre essere in possesso anche vendendo il mantello, è la Parola di Dio, la spada dello Spirito (Ef 6,17; Eb 4,12), la sola capace di aiutarci a capire che nella passione e morte di Gesù si realizza il disegno di Dio prefigurato nella missione del Servo di Jahvè (Is 53,12). Con questa unica ed esplicita citazione della Scrittura (22,37) Luca ci da una chiave di lettura cristologica della passione di Gesù, presente agli inizi della Chiesa (At 3,13.26; 4,27.30; 8,32-33), secondo la quale la morte volontaria di Gesù, Servo di Dio, ha espiato i peccati del mondo.
b) Al pari di Marco, sua fonte, Luca colloca sul monte degli ulivi, l’ultima preghiera di Gesù con i suoi discepoli e il suo arresto (22,39-53). Nella modalità con cui egli struttura e descrive la sua preghiera, l’evangelista manifesta chiaramente il suo interesse ecclesiologico: Gesù è il modello di preghiera della Chiesa che, nel corso della sua missione, dovrà lottare per restare fedele al suo Signore. Ad accompagnare Gesù sul monte degli ulivi non ci sono soltanto Pietro, Giacomo e Giovanni ma tutti i discepoli. La prima e l’ultima preoccupazione di Gesù prima dell’arresto è per essi, ai quali per due volte raccomanda di pregare per non entrare in tentazione. Al centro del racconto c’è Gesù che in modo filiale si rivolge al Padre manifestando un desiderio subordinato però al compimento della sua volontà, che è sempre la ragion d’essere di tutta la sua vita. Nel momento in cui la Chiesa apostolica è perseguitata, essa trova nella preghiera il conforto di Dio (At 4,23-31; 12,5). Quanto accaduto nella Chiesa apostolica vale ovviamente per tutti i tempi e per tutti i luoghi in cui la Chiesa vive.
Nel racconto della scena dell’arresto Giuda, qualificato come “uno dei Dodici” cerca di baciare Gesù ma questi non consente, facendogli capire la gravità del gesto che stava per compiere: trasformare un segno di rispetto verso una persona in un segnale di tradimento. Gesù si oppone che si faccia uso della violenza come reazione alla palese ingiustizia del suo arresto e incolla l’orecchio del servo del Sommo Sacerdote che uno dei suoi aveva staccato. Questo è l’ultimo gesto di misericordia da lui compiuto prima che si autoconsegnasse a coloro che erano venuti per arrestarlo.
c) Gesù dal Monte degli Ulivi è condotto nella casa del Sommo Sacerdote, dove trascorre tutta la notte (22,54-65), nel corso della quale hanno luogo il triplice rinnegamento di Pietro e gli scherni subiti da Gesù da parte delle guardie che lo custodivano. La modalità con la quale il terzo evangelista racconta il triplice rinnegamento di Pietro induce a ritenere che con esso il primo degli apostoli non sia caduto nell’apostasia della fede (Lc 12,9), ma abbia commesso un gravissimo peccato senza però che sia venuto meno il suo legame con Gesù. Non a caso Luca afferma che Pietro, dopo l’arresto di Gesù, lo “seguiva”, sia pure da lontano, e abbia omesso l’imprecazione e il giuramento di Pietro alla terza accusa che è invece presente nel racconto di Marco, e la modalità con cui Pietro risponde alla prima accusa corrisponde perfettamente a quanto aveva preannunciato Gesù. Ma Luca oltre al peccato di Pietro racconta, unico tra gli evangelisti, anche la sua conversione. Essa è dovuta all’iniziativa di Gesù che “si volta” verso Pietro. Questo movimento indica che il Signore Gesù, che era in attesa del processo che si sarebbe tenuto al mattino seguente, sa quello che Pietro ha detto, non ha cessato di pensare a lui e di amarlo e fa perciò il primo passo per recuperarlo alla piena comunione. Non solo si volta verso Pietro, ma volge il suo sguardo su di lui. Gli interlocutori che accusavano Pietro avevano osservato il comportamento e il modo di parlare dell’apostolo. Lo sguardo di Gesù è diverso dagli altri. Egli, che conosce i cuori degli uomini, sa leggere dentro questi e comprende perfettamente quanto accade in essi. Guardato con amore da Gesù, Pietro si ricorda delle parole che gli aveva detto nella conversazione dopo cena ed esprime il suo sincero pentimento con il pianto.
d) L’incontro di Gesù con il consiglio degli anziani del popolo, con i Sommi Sacerdoti e gli Scribi non da luogo a un processo legale. Non vengono escussi i testimoni, non vengono formulate accuse né viene pronunciato un verdetto di condanna ma Gesù è interrogato sulla sua identità messianica. Questa domanda offre a lui l’opportunità di dire con chiarezza la sua identità precisa di Messia, Figlio dell’uomo, Figlio di Dio. Tale risposta, in aperta antitesi al triplice rinnegamento di Pietro fatto prima, è un esempio luminoso per i cristiani perseguitati che, chiamati a dare testimonianza della fede, possono guardare a Gesù come a un modello di comportamento, al prototipo dei martiri.
e) Luca è il solo evangelista che racconta il coinvolgimento di Erode Antipa nel processo contro Gesù, perché in quanto galileo apparteneva alla sua giurisdizione e Pilato ben volentieri, dopo aver verificato la sua innocenza (Lc 23,1-5), lo invia da lui che in quei giorni si trovava a Gerusalemme. Questa duplice autorità, Pilato ed Erode, è menzionata in una preghiera della comunità cristiana della Chiesa nascente: «Sì, veramente, si sono uniti in questa città contro il tuo Santo Servo Gesù che tu hai unto, Erode e Ponzio Pilato… per compiere quello che la tua mano e il tuo consiglio avevano preordinato» (At 4,27). Questo versetto esprime bene il pensiero teologico di Luca sulla Passione di Gesù: tutti i soggetti umani che si muovono nel corso di essa, giudei o pagani, sono strumenti di cui Dio si serve per la realizzazione del suo disegno di salvezza. All’evangelista non interessa dire di chi sia la maggiore o minore responsabilità della morte di Gesù. All’inizio del suo racconto sulla Passione con la esplicita citazione del quarto canto del servo di Jahvè egli aveva già indicato lo stesso pensiero presente nella preghiera della comunità cristiana (Lc 22,37).
f) Il terzo evangelista che al centro del suo Vangelo racconta il viaggio di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme (Lc 9,51 ss.) è l’unico dei sinottici che descrive anche il brevissimo viaggio compiuto da Gesù dal pretorio di Pilato al luogo del Cranio (Lc 23,26-32). È un viaggio in cui Gesù non è solo ma accompagnato da una grande folla di popolo e di donne che saranno presenti sino alla sua sepoltura. La descrizione del viaggio è fatta in maniera tale che Gesù di fronte alla Chiesa appare come il martire per eccellenza. Simone di Cirene rappresenta il discepolo di Cristo, il martire cristiano che porta la propria croce “ogni giorno” (Lc 9,23) dietro a Gesù che porta la sua. Il lamento del popolo e delle donne è una coraggiosa testimonianza del fatto che Gesù non è un malfattore. Egli però interrompe il loro lamento e invita le “Figlie di Gerusalemme” a non piangere su di Lui ma su di loro e sui loro figli. Egli pensa più al destino di Gerusalemme e dei suoi abitanti che al proprio destino. Ora che sta per subire la stessa sorte di tutti i profeti il linguaggio di Gesù è quello di un profeta, come da profeta aveva sempre operato. La sua condanna a morte attira la condanna di Dio su Gerusalemme che lo ha rifiutato (Lc 13,34; 19,41-44) e alla quale rivolge l’ultimo invito alla conversione.
g) Sul Golgota (Lc 23,33-52) dopo essere stato crocifisso tra due malfattori Gesù ha per i suoi crocifissori parole di perdono. Colui che aveva comandato agli apostoli di essere misericordiosi (Lc 6,36) compie un atto di misericordia che rimarrà nella storia della Chiesa come paradigma che i cristiani sono chiamati a praticare. Al malfattore pentito, che con umiltà chiede di ricordarsi di lui nel suo futuro ingresso nel Regno, Gesù risponde che la salvezza da lui invocata coincide per lui con l’oggi della sua morte. Gesù, come aveva pregato nel corso di tutta la sua vita, chiude la sua esistenza terrena con la preghiera, addormentandosi filialmente nelle braccia del Padre lasciando così ai cristiani un esempio di come andare incontro alla morte: affidando a Lui la vita da Lui stesso ricevuta in dono. La prima e l’ultima parola pronunciata da Gesù è la parola “Padre” (Lc 2,49; 23,40). La giustizia di Gesù riconosciuta dal centurione presente alla sua morte («Veramente quest’uomo era un giusto») non è soltanto da intendere come un’innocenza legale riconosciuta del resto anche da Pilato ma è quella giustizia che proprio a motivo della sua morte rende giusti tutti coloro che lo accolgono come Messia e Signore.
A conclusione di questa esposizione delle peculiarità caratteristiche del racconto della passione secondo Luca, è chiaro che egli è guidato non solo da un interesse cristologico come gli atri evangelisti, ma anche e soprattutto da un duplice interesse: quello ecclesiologico e quello parenetico. L’evangelista sa che la lunga storia della vita della Chiesa avrà sempre bisogno di guardare alla Passione di Gesù per trovare in essa quella luce che è necessaria per poter superare le difficoltà a cui essa inevitabilmente andrà incontro secondo quanto Gesù aveva già predetto. Anche i singoli cristiani nel loro modo di vivere quotidiano la loro vita di fede trovano nell’esempio di Gesù un luminoso e insostituibile punto di riferimento.
Commenti
Posta un commento