Don Bruno FERRERO sdb"Le mie pecore ascoltano la mia voce... e mi seguono"

17 aprile 2016  | 4a Domenica di Pasqua - Anno C   |  Omelia
Le mie pecore ascoltano la mia voce... e mi seguono
Gesù è un uomo che cammina:
"Gesù cammina. Cammina senza soste. Va qui e poi là. Trascorre la propria vita su circa sessanta
chilometri di lunghezza, trenta di larghezza. E cammina. Senza sosta. Si direbbe che il riposo gli è vietato.
Quello che si sa di lui lo si deve a un libro. Se avessimo un orecchio un po' più fine, potremmo fare a meno di quel libro e ricevere notizie di lui ascoltando il canto dei granelli di sabbia, sollevati dai suoi piedi nudi. Nulla si riprende dal suo passaggio e il suo passaggio non conosce fine.
Sono dapprima in quattro a scrivere su di lui. Quando scrivono hanno sessant'anni di ritardo sull'evento del suo passaggio. Noi ne abbiamo molti di più: duemila. Tutto ciò che può essere detto su quest'uomo è in ritardo rispetto a lui. Conserva una falcata di vantaggio e la sua parola è come lui, incessantemente in movimento, senza fine nel movimento di dare tutto di se stessa. Duemila anni dopo di lui è come sessanta. È appena passato e i giardini di Israele fremono ancora per il suo passaggio, come dopo una bomba, onde infuocate di un soffio" (Christian Bobin). (??ho effettuato alcune piccole modifiche. È lecito, dato che immagino che questa sia una traduzione?)
Gesù cammina e chiama. È un rompiscatole. Vuole discepoli. Chiama alcune persone, le strappa alla loro quotidianità, alla loro famiglia e ordina loro di seguirlo confidando soltanto nella sua parola. Ed è autoritario.

"Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono".

È un elemento costante della Bibbia: Dio che cerca l'uomo. Da Adamo fino al giovane ricco del Vangelo. Dobbiamo allora lasciarci semplicemenet trovare da Dio. Lui ci sta cercando. Gesù lo dimostra continuamente.
Quelle parole: "Vieni, seguimi!" risuonano insistenti.
Dio conosce il bisogno fondamentale di ogni creatura umana. In ogni essere umano, dalla nascita all'età avanzata, esiste il forte desiderio di esistere, di crescere, di contare per gli altri, di affermare la propria personalità, di avere valore.
Il bambino appena venuto al mondo esprime molto semplicemente il suo desiderio di vivere, di esistere e si dà da fare per non essere dimenticato (pianti, urla, sorrisi...).
Guardate un adolescente: vedete il suo desiderio di farsi notare con gli abiti che indossa, con il motorino che guida, le stranezze che compie, le sue originalità. Esprime così il bisogno di essere riconosciuto, di essere considerato importante.
Non dobbiamo però dimenticare che c'è anche un'altra situazione completamente diversa. Sotto le grandi conquiste del nostro tempo si nasconde un forte senso di disperazione. Se da un lato l'efficienza e il controllo sono le grandi aspirazioni della nostra società, dall'altro ci sono milioni di persone che in questo nostro mondo orientato verso il successo hanno il cuore oppresso da solitudine, mancanza di amicizia e intimità, relazioni infrante, noia, vuoto, depressione e senso profondo d'inutilità.

Il bambino arrivò a casa in lacrime. Il nonno gli corse incontro e lo strinse tra le braccia. Il bambino continuò a singhiozzare. Il nonno lo accarezzò, cercando di calmarlo.
"Ti hanno picchiato?", gli chiese.
Il bambino negò scuotendo la testa.
"Ti hanno rubato qualcosa?".
"No" singhiozzò il bambino.
"Ma che ti è successo, allora?", domandò il nonno, preoccupato.
Il bambino tirò su con il naso, poi raccontò: "Giocavamo a nascondino e io mi ero nascosto proprio bene. Ero là che aspettavo, ma il tempo passava... A un certo punto sono uscito fuori e... mi sono accorto che avevano finito di giocare ed erano andati tutti a casa e nessuno era venuto a cercarmi". I singulti gli scuotevano il piccolo petto.
"Capisci? Nessuno è venuto a cercarmi".
Il bambino ha bisogno di sapere che è "atteso", "cercato". Ha bisogno di sentire su di lui gli sguardi di ammirazione dei suoi genitori: crede allora di essere il centro del mondo. Esiste. Conta. Sotto lo sguardo di ammirazione e tenerezza del suo papà, la ragazzina si trasforma in un bocciolo di donna, felice di essere se stessa. Il bambino ha bisogno di sapere che ha valore. Gli occhi dei suoi genitori gli dicono che è eccezionale. Il bambino ha bisogno di qualcuno che creda in lui, abbia fiducia in lui, creda nelle sue possibilità di progredire. Cresciamo solo mediante le persone che credono in noi.

L'insegnante aveva chiesto ai più piccoli: "Di cosa ha bisogno una persona se vuol essere felice?"
Le risposte furono di vario tipo: un bell'appartamento, buone pietanze, i soldi, non provare dolore...
L'insegnante li aiutò: ci sono anche il lavoro, l'approvazione degli altri, la benedizione di Dio...
Tutto era scritto in bell'ordine sulla lavagna.
"Abbiamo dimenticato qualcosa?", chiese il maestro.
Una bambina alzò la mano e disse: "Sì, una persona".
Dio crede in noi. Perché altrimenti saremmo qui?

Qual è lo scopo di tutto questo? Che Dio abbia bisogno degli uomini è solo il titolo di un vecchio film. Dio naturalmente non ha bisogno di niente. Eppure coloro che si amano hanno bisogno l'uno dell'altro senza un motivo apparente. Allora?

Una storia ebraica parla di un rabbino saggio e timorato di Dio che una sera, dopo una giornata passata a consultare i libri delle antiche profezie, decise di uscire per la strada a fare una passeggiata distensiva.
Mentre camminava lentamente per una strada isolata, incontrò un guardiano che camminava avanti e indietro, con passi lunghi e decisi, davanti alla cancellata di un ricco podere.
"Per chi cammini, tu?", chiese il rabbino, incuriosito.
Il guardiano disse il nome del suo padrone. Poi, subito dopo, chiese al rabbino: "E tu, per chi cam-mini?".
Questa domanda, conclude la storia, si conficcò nel cuore del rabbino.
Noi per chi camminiamo? Per chi sono tutti i passi e gli affanni di questa giornata? Per chi o che cosa viviamo?
Nel catechismo di Pio X era contenuta questa belal domanda: "Per qual fine Dio ci ha creati?".
Senza paura il catechismo rispondeva: "Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell'altra, in paradiso".
Una risposta per i santi e per i matti…
Eppure siamo stati creati "per" qualcosa… Dio ci ha voluti e ci ha voluti per qualche motivo.
I maestri del nostro tempo dicono: più chiaramente scopriamo la nostra posizione nel cosmo, più diventiamo consapevoli dell'assurdità della vita. Noi siamo un risultato del caso e della necessità, per cui la materia si è organizzata, così che negli organismi superiori si sono sviluppati programmi di valore. È un'illusione che protegge dallo scoraggiamento totale, perché tutto va incontro alla morte come un fiume che precipita nell'abisso.

Invece vivere è più forte di noi. Noi vogliamo vivere.

"Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano".

I cristiani sentono la vita come vocazione, missione, responsabilità. Tre concetti poco apprezzati e negletti dalla cultura attuale.

Il dono più grande è sapere di avere un compito tra la nascita e la tomba. E questa consapevolezza è inscritta nella vita, non su tavole di pietra, bensì nelle profondità della persona, tracciata dallo spirito di Dio. Ogni vita che sboccia è l'inizio dell'universo, una nuova creazione, un nuovo fantastico progetto di Dio. Anche per questo i cristiani circondano il concepimento della vita con un aura di inviolabile sacralità. Vista così, la vita acquista un'altra prospettiva.
Proprio questo pensiero suscita lo stupore del salmista:

"Se guardo il cielo, opera delle tue mani,
la luna e le stelle che vi hai posto,
chi è mai l'uomo perché ti ricordi di lui?
Chi è mai, che tu ne abbia cura?
L'hai fatto di poco inferiore a un dio,
coronato di forza e di splendore,
signore dell'opera delle tue mani" (Salmo 8).
È Dio l'onnipotente, l'immenso,
colui che ci cerca e ci vuole! "Io voglio te…".

Proprio te! Dio non ti permette una vita "qualunque" perché per Lui nessuno può essere "uno qualunque".

È come se Dio dicesse: "Forse tu dubiti. Forse non ti senti competente ad adempiere questo incarico. C'è però sempre un compito che nessun altro all'infuori di te può intraprendere. Sempre c'è un'arte che soltanto tu puoi esercitare. Nessun altro è competente a guidare la tua vita. Nessun altro può utilizzare le possibilità che stanno in te. Ciascuno ha un compito tra la nascita e la morte".
Nessuno può dire: "Per quel che posso fare io…". Nessuno può sentirsi escluso da questa chiamata, perché Dio chiama sempre i più piccoli, i più poveri, i matti e i deboli, i disprezzati.

È la scelta di Dio. Ci hanno insegnato che bisogna essere i migliori, i più forti, i più solidi, quelli che vincono, perché i poveri, i deboli, i fragili, i mal amati, gli sprovveduti sono scartati, messi da parte. Il rischio è fingere, vivere d'apparenza.
Dio però dice: "Tu non hai bisogno di fingere, non hai bisogno di nasconderti, puoi essere tranquillamente te stesso. Ho bisogno proprio di te!"
Dio chiama chi vuole, in un modo tutto suo: Geremia non sa parlare e Mosé tartaglia. È difficile immaginare un profeta balbuziente!
Non si può neppure dire: "Sono troppo vecchio!". Abramo e Zaccaria fanno sorridere Dio.

La Bibbia è un campionario quanto mai vario di chiamate. Nessuna vocazione è uguale a un'altra.
Quella di Zaccheo è esemplare: "Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È entrato in casa di un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto"" (Vangelo di Luca 19, 1-10).

Le autorità morali di Gerico, ma anche tutti i giudei benpensanti ne sono seccati: cosa va a fare Gesù da un pubblicano, un traditore compromesso con i romani? Sono scioccati e hanno l'impressione di non capire niente. Ma Gesù fa sempre così. Rivolta come un calzino il nostro mondo egoista e ipocrita, lo manda in tilt e non gli importa dell'ordine costituito. Rovescia i valori stabiliti, per mettere al loro posto un ordine sociale del tutto nuovo.
Gesù è ora in casa di Zaccheo e non lo invita a vendere la sua casa e seguirlo, come scrive Jean Vanier. Gli dice soltanto: "Devo fermarmi da te". Le chiamate di Gesù sono di due tipi. Al giovane ricco dice: "Va', vendi tutto ciò che hai e seguimi. Non prenderti bauli, non ti serviranno, provvederò io a te".
A Zaccheo: "Oggi devo fermarmi da te". E una non è più facile dell'altra.
Sarebbe molto più comodo per tutti se Gesù se ne stesse in chiesa: di tanto in tanto gli potremmo fare una visitina, quando ce ne viene voglia, con comodo, quando il nostro spirito è ben disposto o si ha bisogno di lui. Ma avere Gesù in casa è tutt'altra questione!
Non è meno difficile ed esigente che seguirlo sulle strade.

Quando Gesù ci dice di voler vivere in casa nostra e noi lo riceviamo, allora trasformerà molte cose in noi e nel nostro modo di vivere. In ogni caso, dice: "Ho bisogno di te per il mio Regno, senza il tuo apporto non sarebbe completo!".

Don Bruno FERRERO sdb
Fonte:  www.donbosco-torino.it

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