don Davide Arcangeli Commento Domenica del Buon Pastore

Commento su Giovanni 10,27-30
IV Domenica di Pasqua (Anno C) (17/04/2016)
Vangelo: Gv 10,27-30
Commento a cura di don Davide Arcangeli
A noi cresciuti per lo più in ambienti urbani, le pecore sembrano tutte uguali. Per il pastore però non è così: lui le conosce una ad una e sa apprezzare e valorizzare le loro differenze. Una cosa simile accade ad un professore di scuola superiore, che ha tante classi: all'inizio fatica a ricordare e distinguere tutti gli studenti, poi però impara a riconoscerli, a chiamarli per nome, ad accompagnarli nei loro limiti, incoraggiarli nelle fatiche e promuoverli nelle loro capacità. Si crea un'intimità, un riconoscimento e un'appartenenza reciproca tra il bravo professore e ognuno dei suoi studenti nelle classi; quando per un qualsiasi motivo l'anno successivo si cambia il professore bravo, tutti sono dispiaciuti e fanno fatica ad adattarsi al nuovo.
Questa intimità si stabilisce tra le pecore e il loro pastore: esse infatti ascoltano la sua voce, la
riconoscono come un elemento fondamentale della sua personalità. Ciò che conta non è l'aspetto del pastore, o la sua immagine, ma la sua Parola, che chiede di essere ascoltata, obbedita. Non si tratta di un semplice ascolto di concetti, ma di una prontezza a lasciare che la propria vita sia trasformata e modellata da quella Parola, nel modo di pensare, di vedere e giudicare le cose, e infine nelle scelte e nelle azioni intraprese.
Se le pecore ascoltano la parola del pastore, questo accade perché il pastore conosce le pecore. Egli non è colpito solo dal loro aspetto esterno, ma sa cogliere i movimenti interiori del loro cuore, i pensieri e i sentimenti, e si rende vicino, prossimo, in un movimento d'amore e di libero possesso. Il pastore conosce ed ama ciascuna delle sue pecore e per questo suo amore, che arriva fino al dono della vita, la vita per sempre, il gregge non può che rimanere unito e sicuro. Nessuno le può rapire dalla sua mano. Più il male entra in azione, tenta, mette alla prova, scalfisce e provoca il peccato della pecorella, più il pastore dona la sua vita e fornisce l'opportunità di una più piena, profonda, consapevole intimità con lui.
Siamo nell'anno della misericordia e il papa Francesco ha proposto a tutta la Chiesa di vivere e mettere in atto l'indulgenza plenaria. Molti si chiedono che cosa sia l'indulgenza, altri ne hanno un'idea un po' giuridica e forse devozionale. Altri ancora, a causa di questa risonanza esteriore e di alcuni ricordi storici (la vendita delle indulgenze!) finisco per rifiutarla. Ma cos'è l'indulgenza e in che cosa si distingue dal perdono del peccato che riceviamo con il sacramento della riconciliazione?
Proprio il Vangelo del buon pastore ci può aiutare a capirlo. Infatti il buon pastore, con il dono della sua vita, non ha solo perdonato il nostro peccato, ma ha anche definitivamente sconfitto e reso inoperante il male che noi avevamo messo in atto con le nostre azioni. Egli lo ha trasformato in un'opportunità per una più profonda unione d'amore con Dio. Ecco l'indulgenza: più scendiamo in profondità nel nostro male e nelle sue conseguenze, in noi e negli altri, più l'indulgenza ci mette in contatto con il dono della vita che il buon pastore fa e che genera tesori di santità nella sua Chiesa. Così questi tesori di santità si riversano su di noi, il male diviene inoperante e anzi costituisce l'occasione per gustare più profondamente la misericordia di Dio, e per diventare più umili, semplici, capaci di abbandonarci a Lui e confidare nella potenza del Suo amore.
Possiamo chiarire e concludere con un esempio: in una coppia, quando da una parte e dall'altra, per qualche motivo, c'è incomprensione, rabbia, ci si allontana. Poi si può avere l'intenzione di perdonare, ma non è così semplice viverla perché sospetto, diffidenza e a volte gelosia sembrano essere ancora in circolo. Se però interviene da parte di uno dei due il dono di sé, senza riserve né pretese nei confronti dell'altro, allora il cerchio dei sospetti si spezza e il perdono è in grado di disattivare la spirale dell'egoismo e del vicendevole distacco. A questo punto quel male non solo sarà vinto, ma sarà servito per un amore più profondo, realistico, vero, maturo, che sa accettare i limiti dell'altro, come opportunità di amare in modo più intimo e puro.
L' indulgenza è una straordinaria opportunità di grazia per maturare nell'amore vero, che ci unisce a Dio e ai fratelli, e per ascoltare sempre più la voce del Pastore ed essere sempre più sicuri nelle sue mani, dalle quali nessuno mai ci potrà rapire! Sperimentiamola quest'anno, per noi e per i nostri cari defunti, visitando le porte sante della nostra Diocesi! Le condizioni sono semplici e vanno vissute senza legalismi, con adesione del cuore, e con fiducia nel mistero di misericordia che è al cuore della Chiesa.

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