Juan J. BARTOLOME sdb Lectio Divina""Chi mi ama, osserverà la mia parola "

01 maggio 2016 | 6a Domenica di Pasqua - Anno C | Lectio Divina
Lectio Divina: Gv. 14,23-29
Le parole di Gesù, che il Vangelo di oggi ci ha ricordato, sono state pronunciate l'ultima notte che
Gesù passò con i suoi discepoli. Questi non le hanno potute dimenticare tanto facilmente: sono state parte di una specie di testamento del loro maestro. Gesù si congedò da loro con una serie di raccomandazioni, con le quali ha voluto prepararli per il tempo della sua assenza. A noi oggi, che percepiamo con tanta chiarezza la mancanza di Dio nel nostro mondo, queste parole dovrebbero esserci di aiuto per mantenerci discepoli fedeli al maestro ancora assente, credenti in un Dio che sembra nascondersi a noi ogni giorno di più.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
23 "Chi mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama non osserva le mie parole. E la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25 Vi ho detto questo ora che sono con voi, 26 ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto.
27 Vi lascio la pace, vi do la mia pace; la do a voi non come la dà il mondo. Il vostro cuore non sia turbato e non abbia timore. 28Mi avete sentito dire: "Io vado e verrò a voi." Se mi amaste, vi rallegrereste che io vada al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29 Ve lo dico adesso, prima che avvenga, perché quando succede, continuiate a credere ".
 1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Le parole di Gesù sono una risposta diretta alla domanda di Giuda sul perché sarebbe stato rivelato solo ai suoi e non a tutto il mondo (Gv 14,22); una dimostrazione pubblica del Messia atteso avrebbe seminato la paura tra i nemici del popolo e gioia tra i suoi fedeli (At 1,6). Gesù insiste, rispondendo solo indirettamente, nell'amore obbediente: colui che ama conserva le sue parole (Gv 14:23), chi non ama, non le conserva (Gv 14,24). Cioè, la sua rivelazione per realizzarsi non dipenderà dal fatto che sia massicciamente riconosciuta, ma che la sua parola sia pienamente obbedita. Se la rivelazione è possibile quando trova obbedienza, chi non la riceve viene scoperto come disobbediente. Qui si aggiunge alla fede la sua operatività, che la distingue da un semplice sentimento puramente soggettivo. Solo l'obbediente godrà della presenza del Padre e del Figlio (Gv 14,23). Ci saranno gli attesi prodigi, ma è la fedeltà alla volontà di Gesù ciò che assicura il riconoscimento della presenza di Dio tra i suoi.
Gesù promette, prima di partire, il Paraclito. Inviato dal Padre, ora chiamato Spirito Santo, avrà come missione quella di mantenere l'insegnamento e la memoria di Gesù nella comunità (Gv 14,26). La presenza dello Spirito nella comunità renderà questa, scuola di Dio (Is 54,13; Jr 31,3-34) e luogo della memoria di Gesù. La nuova alleanza continua ad essere legge interiorizzata, ma la legge è quella rivelata da Gesù. Il Paraclito ha la stessa origine, il Padre, e lo stesso compito, le parole del Figlio che sono del Padre (Gv 14,10.24): identica rivelazione sarà ricordata da un nuovo Maestro. Lo Spirito, che, come Gesù, procede dal Padre, verrà inviato nel suo nome, sarà il suo rappresentante; ma il contenuto rimane sempre la rivelazione di Gesù, il suo Vangelo; e in questo modo, il lavoro commemorativo dello Spirito non è mera ricostruzione di ciò che è stato detto né ripetizione di ciò che è stato insegnato da Gesù, ma renderlo presente con il ricordo e efficace con l'insegnamento. La comunità in cui lo Spirito è dono, avrà come compito quello di vivere insegnando e ricordando il grande Assente, Gesù di Nazareth, e in questo modo sentire in essa la sua presenza in modo reale ed efficace.
L'autore chiude questo primo blocco di discorsi di Gesù con alcune parole di saluto, che erano di solito un augurio di pace. Ma questa pace, che in un primo momento era l'espressione della comunione di vita con il Dio Alleato, gioia piena, e poi è divenuta la manifestazione della salvezza escatologica, gioia sicura (Is 9:6; Zac 9.10, Ez 34,25), non è nella bocca di Gesù mero buon desiderio e invocazione (Nm 6:24-26), ma è dono reale, donazione definitiva che separa dal mondo chi la riceve (14,27; 20,19.21) .
La pace di Gesù è dono che viene ereditato (Gv 14,27); non segue, quindi, la logica della pace del mondo, che è il risultato di una conquista o di una convenzione. Proprio per questo non devono temere i discepoli (14,27). Che non possa assicurarla loro il mondo significa che non può nemmeno metterla in pericolo; potranno vivere senza il Risorto, ma non senza la sua pace. Colui che saluta i suoi che lascia in situazione ancora ostile, li lascia, però, pieni di pace e senza paure. Perché chi ama Gesù, sa che torna al Padre, alla sua origine e alla sua gloria, per adempiere la sua piena obbedienza e portare a compimento la sua missione: chi ama gode che l'amato ritorni al suo luogo di origine, al Padre, ancor più grande del suo amato (Gv 14,28).
 2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!

I discepoli che ascoltano queste parole sanno che Gesù sta per lasciarli, ma che non li abbandona nel mondo. Promette loro di ritornare, lui e il Padre, per abitare in chi, nel frattempo, è stato fedele alla sua parola e si è sentito amato da entrambi. Promette, anche, per il tempo della sua assenza, l'assistenza del suo Spirito: chi ha il coraggio e la forza del suo benefattore come eredità, non rimane orfano. Anche senza il conforto della presenza fisica di Gesù, il discepolo non si sente solo: aveva predetto la sua assenza e l'ha preparata con una doppia promessa; ritornerà a quanti ha lasciato, ricchi del suo Spirito.
Se oggi viviamo il tempo dell'attesa del Signore, non c'è tempo per lamentarci della sua assenza. Noi abbiamo il Suo Spirito e la promessa che Colui che ci ama ritornerà da noi e con noi resterà per sempre. Ma la promessa di Gesù non è solo consolazione; comporta una sfida, quella di dover sopportare la sua assenza senza disperare la sua venuta, e una responsabilità, lasciare che lo Spirito di Cristo sia il Signore delle nostre vite.
La prima consegna che Gesù lascia ai suoi è quella di fare tutto ciò che ha lasciato detto loro: quelli che lo amano, dice, compiranno le sue richieste. Invece di lamentarsi per l'assenza del suo signore, il discepolo deve rendere presente la Sua volontà e farla divenire realtà; quando non lo potrà vedere, potrà ricordare le sue parole; non gli sarà possibile vivere con lui, ma potrà continuare a fare la sua volontà. Gesù dai suoi vuole che lo amino, anche se non lo vedono; richiede che lo tengano presente, anche quando è assente. L'amore che Gesù chiede ai discepoli, lo stesso amore che aspetta da noi, è la pratica della sua volontà: le opere sono amore. In realtà, non è troppo straordinario ciò che Gesù aspetta dai discepoli che ha lasciato in questo mondo; anche noi, nelle nostre relazioni, non ci accontentiamo di mere parole e aspettiamo da chi ci ama che ce lo mostri; e dimostra il suo amore chi opera non tanto perché lo ordiniamo, quanto, soprattutto, perché lo desideriamo. Non è meno esigente Gesù; come noi, desidera un amore vero, un amore autenticamente umano, che superi la prova delle opere: se uno mi ama, osserverà i miei comandamenti.
Siamo contenti, spesso, di mantenere una buona relazione con Dio, solo perché preghiamo bene o perché abbiamo buoni sentimenti, perché alimentiamo buoni desideri o perché promettiamo sempre un cambio di comportamento che non arriva mai. Tutto questo, nonostante la nostra innegabile buona volontà, non ci fa sapere amati da Dio. Il fatto è che se non facciamo ciò che Egli si aspetta da noi, non ci sentiamo amati da Lui né percepiamo la sua tenerezza; Dio Padre si rende presente tra coloro che fanno la sua volontà; Gesù non si attarda con noi, perché non c'è nessuno che lo ama tanto da conservare la sua parola. Non chi dice 'Signore, Signore', ma chi fa la sua volontà, si sentirà amato da Dio. E perché non è molto comune che tra i cristiani di oggi ci sia chi vede la volontà di Dio come la ragione della sua vita, si sta verificando questo grande vuoto di Dio nel nostro mondo, del quale ci lamentiamo tanto: stiamo rimanendo più soli, Dio non ha più la sua dimora tra di noi, perché non trova discepoli che lo amano, facendo la sua volontà. Non bisogna arrabbiarsi con Lui, quando non lo troviamo tra di noi; bisognerà prendere più seriamente le sue ultime parole: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Solo coloro che trascurano la volontà di Dio, si sentono trascurati da Lui.
Ma Gesù non ci ha lasciato solo compiti da compiere, prima di lasciarci soli in questo mondo. Ci ha promesso il suo spirito: questa forza che Lui ebbe lungo il corso della sua vita, che conservò percorrendo la sua patria e proclamando l'amore di Dio. Non potendo rimanere con noi, poiché è ritornato al Padre per prepararci una dimora, ci ha promesso di lasciarci il suo spirito, la sua forza e il suo coraggio, il suo entusiasmo e la sua sapienza. Se non abbiamo Lui in persona, almeno abbiamo il meglio che Lui ha avuto: se ci ha lasciati, non ci ha abbandonati. Non si comprende bene la ragione per cui noi cristiani viviamo con tristezza la nostra fede; è forse perché non crediamo realmente alla promessa di Gesù? Se non abbiamo fede alle sue parole, sarebbe meglio che smettessimo di vivere come suoi discepoli; se non valorizziamo la sua persona, non ci conviene sforzarci ancora. Però se abbiamo ancora un po' di fiducia in Lui, dovremmo recuperare il nostro entusiasmo: il suo spirito ci appartiene. Il suo soffio, soffio di Dio che creò il mondo, darà forza ai nostri sforzi di fedeltà, ci aiuterà a comprendere ciò che ancora non abbiamo compreso di Dio, ci ricorderà quanto Lui ci ha detto, ce lo farà sentire più vicino alle nostre preoccupazioni e alle nostre difficoltà. Chi si propone di rispondere alle richieste di Gesù, costi quel che costi, nel nostro mondo, potrà fare affidamento sullo Spirito di Gesù, come avvocato, tutore, difensore, intimo amico e forza interiore.
Ma Gesù non ci ha lasciati soli. Oltre a darci il suo spirito, ci ha lasciato la sua pace. Stiamo assistendo, senza poter porre rimedio, allo spettacolo deplorevole che tanto caratterizza la situazione sociale di oggi: la pace è sulla bocca di tutti, ma non riusciamo a fare in modo che sia in tutti i cuori, nemmeno - perché pensare solo agli altri - nel nostro cuore. L'uomo oggi si può permettere quasi tutto, meno che vivere in pace; possiamo comprarci quasi tutto, eccetto la pace interiore. E noi cristiani, che sappiamo di poter contare sulla pace di Gesù, l'unica che pacifica l'uomo nella sua interiorità, pacificando i suoi desideri di possesso, colmando i suoi desideri di sopravvivenza, frenando la sua ansia di supremazia, ci nascondiamo timorosi, dai nostri contemporanei: quanto stiamo vedendo nel nostro mondo - o ci siamo ormai abituati al peccato di Caino, all'omicidio, all'odio? -, dovrebbe armarci di speranza, scoprire nuovi compiti da fare ed impegni da realizzare. Finché la pace non diviene realtà, non avremo assolto al mandato che Cristo ci ha lasciato quando si è allontanato da noi; finché non ci sarà la pace, dobbiamo fare qualcosa noi che crediamo che Cristo ce l'ha lasciata come patrimonio. Siamo chiamati ad essere, mentre Gesù è assente, uomini di pace, pacifici e pacificatori; solo così supereremo le nostre paure e la codardia; la solitudine che soffriamo e il sentimento di insufficienza che sopportiamo, il sentimento di insignificanza con il quale viviamo, li vinceremo quando godremo della pace che Cristo ci ha offerto. Solo così sapremo che abbiamo il suo Spirito e che stiamo compiendo la sua volontà: abbandonare la missione di pacificare il nostro cuore porterebbe il mondo ad aumentare il sentimento di abbandono di Dio, perché non vivremmo come Cristo ci ha lasciati. Non tema il vostro cuore né si scoraggi, disse Gesù ai suoi; ci ha lasciato la sua pace quando ci ha lasciati nel mondo; conservarla significa, allora, mantenere intatto il suo ricordo e conservare la sua eredità, obbedirgli e vivere del suo Spirito. Potremo gioire di essergli fedeli se godiamo della pace che ci ha lasciato e viviamo rendendola possibile a coloro che vivono con noi.
Non abbiamo alcun diritto di sentirci abbandonati da Dio: ci ha lasciato il suo Spirito e la sua pace, ci ha proibito la paura e ci ha promesso di preparare già un posto insieme al Padre. Se questi sono i motivi della sua assenza, non abbiamo alcun motivo di reclamo: la lontananza apparente di Gesù è momentanea, si sta occupando di prepararci un posto con Dio. Solo chi ama Gesù, sopporta la sua lontananza senza disperazione o sfiducia nella sua pace; solo chi ama Cristo, non si sa abbandonato né abbandona il mondo travagliato. Noi cristiani dobbiamo dare, a coloro che non credono, la testimonianza della nostra pace personale e lo sforzo per renderla presente nei loro cuori; perché tornino a fidarsi di un Dio che non abbandona mai, dobbiamo ritrovare il coraggio della nostra fede e tornare a compiere la volontà di Dio. Chi ha lo Spirito di Gesù e la sua pace, non vive intimidito. Questa è la differenza.
Juan J. BARTOLOME sdb
Fonte:Fonte:  www.donbosco-torino.it

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