MONASTERO MARANGO, "La carne di Gesù trasfigurata dall'amore"

"2à Domenica di Pasqua (anno C)
Letture: At 5,12-16; Ap 1,9-19; Gv 20,19-31
La carne di Gesù trasfigurata dall'amore
1«La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana».
I vangeli sono stati scritti dopo quaranta o cinquanta anni dagli avvenimenti narrati.

I racconti di risurrezione evocano, con un linguaggio pieno di fascino e di forza, i primi incontri tra i discepoli e Gesù risorto. Sono racconti che raccolgono tradizioni precedenti e che ogni evangelista ha elaborato in base alla sua visione teologica. Non pretendono di offrirci la cronaca dei fatti, ma sono invece una approfondita catechesi sull’evento della risurrezione di Gesù, che avrà una importante conseguenza nella vita dei discepoli. Non sono racconti sorti dal nulla, senza alcuna base nella realtà, ma raccolgono molteplici esperienze che vengono ancora ricordate tra i cristiani: la presenza inattesa di Gesù dopo la sua morte, i dubbi e le incertezze dei primi momenti, i processi di conversione, le riflessioni sulle Scritture per comprendere sempre meglio quanto si vive…Lo scopo degli evangelisti è quello di farci comprendere che la vita e la morte di Gesù devono essere intese in una dimensione nuova. Gesù non è morto per sempre: è stato risuscitato da Dio e, colmo di vita, continua ad essere presente in mezzo ai suoi.
Così scrive Giovanni nell’Apocalisse: «Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi».
Il nucleo centrale dei racconti di Resurrezione è l’incontro personale con Gesù; il resto viene in un secondo momento.
«mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei».
Il Risorto si rende presente in una comunità di credenti: solo la fede, resa feconda dall’amore, comunica ciò che l’occhio distratto non può vedere. Solo attraverso lo Spirito si può riconoscere nella Scrittura la Parola del Signore vivente. Solo mediante lo Spirito l’offerta del pane e del vino nell’Eucaristia diventano per noi presenza reale e vivificante di Cristo. Solo una comunità che crede può vedere il Risorto. Questo è il primo significato delle “porte chiuse”.
Ma ce n’è un altro: le porte chiuse sono anche la paura, il dubbio, la resistenza alla fede, che accompagnano sempre i nostri percorsi, pure aperti alla novità di Dio.
«venne Gesù e stette in mezzo a loro».
Nulla e nessuno può impedire a Gesù risorto di tornare a essere in contatto con i suoi. Questo incontro con Gesù risorto è un dono; i discepoli, prigionieri della loro paura, non fanno nulla per provocarlo.
«disse loro: Pace a voi!».
Per tre volte risuona in questo racconto evangelico l’augurio che reca pace: l’esperienza con il Risorto è un’esperienza pacificante. I discepoli sanno di aver tradito Gesù, di averlo abbandonato. Tutti. L’amarezza che hanno in cuore non è soltanto tristezza per la morte di Gesù: è la tristezza di chi sa di essere colpevole. Tuttavia nei racconti pasquali non c’è alcun cenno di rimprovero o di condanna; l’esperienza con Gesù è un’esperienza di perdono. Il Risorto porta la pace e la benedizione di Dio. I discepoli si sentono perdonati e nuovamente accettati nella comunione con lui. L’infedeltà dei discepoli viene curata dal perdono; possono ora cominciare una vita nuova, perché con Gesù tutto è possibile. Fare esperienza del perdono dei peccati, è come aver parte ad un resurrezione dai morti, al dono di una vita nuova.
«Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi».
Gli Undici non solo si devono sentire perdonati, ma anche “inviati”. Il testo di Giovanni non dice per che cosa vengono mandati né a chi; andando, devono fare quello che hanno visto fare da lui; la loro missione è la stessa che egli ha ricevuto dal Padre: portare ai poveri l’evangelo, proclamare la liberazione ai prigionieri, rimettere in libertà gli oppressi, predicare un anno di misericordia del Signore.
«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Tommaso è colui che dubita, che stenta a credere; è colui che, inizialmente si tira fuori, non è presente. E’ come noi: vuole toccare per credere.
Io ho sempre pensato che il dubbio di Tommaso aiuti invece la fede della Chiesa, spesso portata ad entusiasmi che non trovano poi corrispondenza nella concretezza della vita. Tommaso, alla fine, ci insegna che è il crocifisso ad essere risorto. E’ risorto proprio perché è passato attraverso il supplizio della croce.
E’ risorto perché il suo amore è stato più forte della nostra incredulità, dei nostri tradimenti. Più forte della morte. Credo nella risurrezione della “carne” di Gesù perché è una carne trasfigurata dall’amore.
Nella morte gloriosa di Gesù ci sono rimessi i peccati.
L’esperienza spirituale della remissione dei peccati può essere più profonda e reale di quanto possano offrire i sensi, che sempre hanno bisogno di vedere e di toccare.
«Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Giorgio Scatto



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