MONASTERO MARANGO,"Vivere la sequela dentro i sentieri esigenti e difficili della storia"

4° Domenica di Pasqua (anno C)
Letture: At 13,14.43-52; Ap 7,9.14-17; Gv 10,27-30
Vivere la sequela dentro i sentieri esigenti e difficili della storia
1)Ascoltare.«Le mie pecore ascoltano la mia voce», dice il Signore. Chi è il discepolo? E’ anzitutto
uno che ascolta.
«Ascoltare» è attenzione all’altro, alla sua persona prima ancora che alle sue parole. Diventare umani è realizzare un vero incontro con l’altro, fondato su un reciproco ascolto.
Nell’ambito della fede non si crede finché non si ascolta. Il sacerdote Zaccaria è incapace di proferire parole, diventa muto, perché ha chiuso il suo orecchio alla parola del Signore, portatrice di una inaspettata novità.  I Giudei non credono perché «non ascoltano» la voce di Gesù. Se parlano, lo fanno per tendere insidie, per mettere alla prova, per avere motivi di cui accusare Gesù. Il discepolo, allora, è anzitutto colui che ascolta. Elisabetta dirà a Maria, discepola della Parola: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Ascoltare per conoscere.
«Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco».
Poco prima, nel testo di Giovanni, Gesù aveva espresso tale conoscenza in termini di reciprocità: «Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me» (10,4).
Nella bibbia “conoscere” significa avere passione e amore per qualcosa o qualcuno, vivere di un incontro, provare un sentimento. Dio “conosce” Israele perché si è unito a lui con un legame d’amore, con un’alleanza sempre rinnovata, fino all’alleanza nuova e definitiva, sigillata nel sangue dell’Agnello. Dire che Gesù “conosce” le sue pecore significa che c’è una storia profondamente condivisa, una prossimità che nemmeno il peccato può distruggere, un amore carico di passione che lo porterà a consegnarsi per noi fino alla morte di croce: «Dò la mia vita per le pecore» (10,15). Quello di Gesù è un amore che raggiunge ogni singola persona: «Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome» (10,3). Non siamo amati genericamente, ma siamo amati da Dio dentro la nostra concreta esistenza umana, personale, fatta di speranze e di delusioni, di luce e di tenebre. Il Signore abita con tenerezza in mezzo alle nostre storie, non sempre degne di essere raccontate.
Conoscere e seguire.
«Io le conosco ed esse mi seguono».
Noi conosciamo, attraverso lo studio delle Scritture, lette nella viva tradizione della comunità credente, la rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Dio si rivela nella storia, attraverso le parole e la testimonianza dei profeti, e attraverso “segni e prodigi” interpretati alla luce della fede. Di questa rivelazione, Gesù è il termine e il compimento. Aver fede significa essere partecipi di questa storia, essere chiamati ad abitare una geografia dello Spirito che determinerà le nostre scelte fondamentali, riempiendo di senso l’orizzonte della nostra vita.
Essere discepoli è mettersi alla sequela di Gesù, il Pastore che si è fatto Agnello, la guida spirituale che si è messa in fila con i peccatori per ricevere un battesimo di penitenza da Giovanni Battista, un Figlio di Dio che si è fatto servo dell’uomo.
«Ascoltare la voce» si traduce alla fine in una esigente sequela: il discepolo è lì dove è il suo Signore, il Crocifisso Risorto. E’ allora interessante coniugare il tema della sequela con i capitoli evangelici delle beatitudini: «Beati voi, poveri; beati voi, che ora avete fame; beati voi che ora piangete» (Lc 6,20-21).
Chi è povero, chi ha fame, chi piange, non è beato a motivo della sua penosa situazione, ma perché un Altro è entrato nella sua vita, ferita mortalmente, e se ne è preso cura. Felice quell’uomo che ha trovato lungo la strada, dove l’avevano abbandonato, un Samaritano capace di misericordia: è stato davvero fortunato!
Sequela vuol dire vivere le beatitudini come le ha vissute Gesù, che si è fatto carico della miseria altrui.
Sequela vuol dire dare da mangiare e da bere all’affamato e all’assetato; accogliere con amore lo straniero; visitare chi è in carcere, senza condannare con il proprio giudizio; prendersi cura degli ammalati, nelle loro insopportabili solitudini.
Saremo giudicati su questo da Cristo, che si è fatto mendicante, straniero, carcerato, debole fino alla morte. Sogno una Chiesa che non si lascia intimorire dai potenti del modo: uno solo è il suo Pastore. Sogno una Chiesa che non segue le parole d’ordine dei nuovi capi-popolo, che non innalza muri di divisione, ma apre instancabilmente corridoi di speranza.
Ad una Chiesa che vive la sequela, dentro i sentieri esigenti e difficili della storia, Gesù promette «vita eterna». E’ una vita piena, divina, che ci è dato di gustare fin da ora.
E non saremo perduti, perché saremo custoditi nelle mani forti di Gesù e del Padre suo.

Giorgio Scatto

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