Monsignor Francesco Follo, Lectio Divina"Il Pastore della vita e i mercenari della morte.

Il Pastore della vita e i mercenari della morte.
Rito Romano
IV Domenica di Pasqua o della divina Misericordia – Anno C – 17 aprile 2016
At 13,14.43-52; Sal 99; Ap 7,9.14-17; Gv 10, 27-30
Rito Ambrosiano
At 21,8b-14; Sal 15; Fil 1,8-14; Gv 15, 9-17.
Premessa.

Nel Vangelo di San Giovanni Cristo parla di se stesso come Pane di vita (cap. 6), Luce del mondo (cap. 8) e nel breve brano di oggi (cap. 10) come buon Pastore.
Per capire quest’immagine chiara nel passato e per gli appartenenti al mondo rurale, ma non così evidente per chi vive oggi in aeree urbane, è utile ricordare che ai tempi della vita terrena di Cristo, al calare della sera, i pastori conducevano i loro greggi in un grande recinto comune per passarvi la notte. Al mattino ogni pastore gridava il suo particolare richiamo e le pecore, riconoscendone la voce, lo seguivano fiduciosamente fuori dal recinto senza affatto sbagliare.

1) Il Pastore vero dà la vita.
La figura del pastore e del gregge a cui Gesù si ispira, si trova già nell’Antico Testamento. Jahvé è il pastore che fa pascolare il suo gregge (Is 40,11) e nel corso della storia lo affida successivamente ai suoi servi Abramo, Mosè, Giosuè, i Giudici e i re di Israele. Questi ultimi però spesso e volentieri non hanno ottemperato al loro compito e allora Ezechiele, in un testo che si leggeva durante la Festa della Dedicazione, pronuncia il famoso oracolo: “Guai ai pastori di Israele, che pascolano se stessi! … Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura ... Ricondurrò all’ovile la pecora smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata … Susciterò per loro un pastore che le pascerà”(Ez 34, 1, 11, 16, 23).
Ed ecco la realizzazione di questa profezia: secoli dopo, durante la Festa della Dedicazione, Gesù definisce se stesso come il vero Pastore buono, che finalmente si prende cura con amore del gregge di Israele. A differenza del mercenario, cui non importa nulla delle pecore, Lui, il Pastore vero, conosce bene quelle che gli appartengono, se ne prende cura con amore e loro ascoltano la sua voce.
Conoscere e ascoltare sono verbi che indicano un dialogo profondo, una comunione nell'esistenza, non soltanto nelle idee. Dunque, tra Gesù, Pastore, e i suoi discepoli, le pecore che il Padre gli ha dato, c’è una profonda comunione. Gesù è il Pastore perché dà (=offre) la vita per le sue pecore, per dare loro la vita eterna e nessuno può strappargliele.
Nessuno, né angeli né uomini, né vita né morte, né presente né futuro, nulla potrà mai separarci dall'amore di Cristo, ci ripete l'apostolo Paolo (cfr. Rm 8, 38). La forza e la consolazione di questa parola assoluta, “nessuno”, è subito raddoppiata: “le strapperà”. Verbo, questo, che non è al presente, ma al futuro per indicare un’intera storia, lunga quanto il “tempo” di Dio. L’uomo, ogni “umana pecorella” è, per Cristo, una passione eterna.
Per tutte e per ciascuna ha “pagato” con la sua vita e le tiene con il suo amore che la condotto come agnello al macello. Il Buon Pastore è nello stesso tempo l’Agnello. Così leggiamo in Gv 2,36: “Ecco l’agnello di Dio!”; e così ci rivela l’Apocalisse: “L’Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita”(Ap 7,17). Gesù svolge la sua vocazione di pastore che guida e custodisce le sue pecore, non dal di fuori, ma dall'interno della condizione umana di debolezza e di prova, simboleggiata dall’agnello: lui stesso l’ha condivisa fino in fondo, fino alla morte di croce. Vivendola con amore, ne ha fatto scaturire una possibilità di vita, e di vita piena ed eterna.
Il fatto che l’Agnello Gesù si identifichi con il Pastore è perché nessuno può guidare alla fonti della vita se non facendosi modello del gregge. Questa Guida, che conduce le pecore a pascoli di vita, è l’Agnello che si è immolato perché le sue pecore che ama singolarmente (di ciascuna conosce il nome e di ciascuna ha cura) esprime la comunione fra Gesù e i suoi discepoli, le cui persone sono coinvolte nella loro integralità: intelligenza, cuore, modo di essere e di agire.

2) Ascoltare e seguire chi ci conosce.
Nel breve brano evangelico di oggi Gesù, Agnello-buon Pastore indica due caratteristiche delle sue pecore: l’ascolto e la sequela. Dunque, se vogliamo essere sale e luce anche in un mondo che cambia, come oggi si è abituati dire, non dobbiamo principalmente affannarci in ricerche e progetti diversi: la voce di Gesù è già risuonata e la direzione del suo cammino è già tracciata. A noi singolarmente e in comunione tra noi è richiesta anzitutto la fedeltà alla sua presenza da portare nel mondo.
Noi pecorelle di Cristo lo ascoltiamo perché solo Lui ha parola di vita eterna, di vita piena, di vita che non muore e umilmente lo seguiamo perché sappiamo che siamo da lui amati. Lui ancora oggi e fino alla fine dei tempi, presenta se stesso come offerta inesauribile di vita: “Io do loro la vita eterna”. Entrare in rapporto con Lui significa gustare la vita nella sua pienezza: pur nella fragilità, nel peccato, nel dolore, nella violenza subita, Lui è offerta di Amore. Lui per primo, nella sua condizione umana ha sperimentato che persino nella morte è presente un Amore che ridona la Vita. Ed è Lui solo il dono di Amore che non abbandona nessuno, il dono di vita che non muore, il dono di Amore più forte di tutto perfino della morte.
Questo Amore per essere conosciuto ci chiede che il nostro cuore si impegni. Non si conosce veramente se non Chi si ama. E’ l’amore che è capace di andare oltre ad ogni evidenza. E’ un conoscere dal di dentro, dall'intimo. E' un conoscere l'Essere. E' una conoscenza nell'Amore. Ma il buon Pastore chiede pure di essere ascoltato. Nell’ascoltare è impegnata la mente, l’intelligenza, la virtù dell’obbedienza. Il vero ascolto si fa obbedienza che implica il seguire.
Nel seguire è impegnata la volontà, capace di far muovere i nostri passi dietro Colui che ascoltiamo e amiamo. SeguendoLo i nostri passi non vacillano, Lui ci porterà ai verdi pascoli, anche se dovessimo attraversare una valle oscura... non temeremo perché lui è con noi (cfr. Sal 23).
Questo andare dietro a Cristo buon Pastore ha una dimensione sponsale. Il tema dell’alleanza nuziale arricchisce quello del Pastore buono da seguire vivendo con Lui un’unità profonda.
Nell’Antico Testamento (cfr. Osea 1-3; Is 54 e 62; Ger 2 e 3; Ez 16 e 23; Mal 2, 13-17; Rut, Tobia, Cantico dei Cantici), per esprimere il rapporto tra Dio e il popolo si trova spesso l’immagine dell’alleanza nuziale.
Anche nel Nuovo Testamento, si parla di questa alleanza nuziale e il tema di Cristo sposo emerge soprattutto nelle parabole del Regno (cfr. Mt 22, 2; 25, 1; Lc 12, 38). Nessuna meraviglia, dunque, che anche Paolo ricorra all’immagine sponsale per illustrare il rapporto tra Cristo e la comunità cristiana: “Provo per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo” (2Cor 11, 2).
Di questa alleanza San Paolo ha messo in evidenza la fedeltà assoluta di Dio: “Anche se noi manchiamo di fedeltà, egli però rimane fedele” (2Tim 2, 13); “Senza pentimenti sono i doni e la chiamata di Dio” (Rm 11, 29; 1,9)
Un modo specifico e speciale di seguire Cristo Pastore e Sposo è quello delle Vergini consacrate nel mondo. Queste donne testimoniano con il dono totale di sé e con l’accoglienza totale di Cristo che l’amore sponsale tra Cristo e la Chiesa è riconoscibile da ciò che l’Uno compie per l’Altra. Cristo dona tutto se stesso per lei - sua carne -, purificandola e santificandola con il lavacro battesimale e la Parola, amandola come il proprio corpo, da lui nutrito (Eucaristia, banchetto nuziale) e curata (sotto la guida del Buon Pastore).
A questo riguardo sono illuminanti le parole che il Papa emerito ha rivolto a loro in occasione del congresso del 2008. Benedetto XVI, alludendo al tema “Un dono nella Chiesa e per la Chiesa”, disse: “In questa luce desidero confermarvi nella vostra vocazione e invitarvi a crescere di giorno in giorno nella comprensione di un carisma tanto luminoso e fecondo agli occhi della fede, quanto oscuro e inutile a quelli del mondo”. E aggiunse: “La vostra vita sia una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro (cfr. Rito della consacrazione delle Vergini, 30). Fate in modo che la vostra persona irradi sempre la dignità dell'essere sposa di Cristo, esprima la novità dell'esistenza cristiana e l'attesa serena della vita futura. Così, con la vostra vita retta, voi potrete essere stelle che orientano il cammino del mondo”.
Le Vergini consacrate testimoniano che non ci sono due amori, quello divino e quello umano, ma solo due aspetti dello stesso amore. Dunque, è giusto affermare che amore sponsale e amore verginale sono due volti dell’unico amore di Gesù Cristo.
       Queste donne sono spose per appartenere unicamente nel puro ed esclusivo amore nuziale a Cristo-Sposo (castità), per essere guidate da Cristo-buon Pastore (obbedienza) e per fare affidamento solamente in Cristo Signore (povertà).

Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 -430)
Comment. in Ioan., 48, 4-6


La vita eterna

       I Giudei attribuivano una grande importanza a quanto avevano domandato a Cristo. Se infatti egli avesse detto: Io sono Cristo, dato che essi ritenevano che Cristo fosse soltanto figlio di David, lo avrebbero accusato di volersi arrogare il potere regale. Ma più importante è quanto egli rispose loro: a quelli che volevano far passare come delitto il dichiararsi figlio di David, egli dichiarò di essere Figlio di Dio. In qual modo? Ascoltate: "Rispose loro Gesù: «Già ve l’ho detto e non credete; le opere che io faccio in nome del Padre mio, rendono testimonianza in mio favore. Ma voi non credete perché non siete delle mie pecore»" (Jn 10,25-26).

       Già avete appreso chi siano le pecore: siate nel numero delle sue pecore! Le pecore sono tali in quanto credono, in quanto seguono il loro pastore, non disprezzano colui che le redime, entrano per la porta, ne escono e trovano i pascoli: e sono pecore perché godono della vita eterna. E perché allora disse a costoro: «Non siete delle mie pecore»? Perché egli li vedeva predestinati alla morte eterna, e non riacquistati alla vita eterna col prezzo del suo sangue.

       "Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna" (Jn 10,27-28).

       Ecco quali sono i pascoli. Se ben ricordate, egli aveva detto prima: «Ed entrerà e uscirà e troverà i pascoli». Siamo entrati credendo, usciamo morendo. Ma nello stesso modo in cui siamo entrati per la porta della fede, da fedeli anche usciamo dal corpo: usciamo per la stessa porta per poter trovare i pascoli. Questi eccellenti pascoli sono la vita eterna: qui l’erba non si inaridisce, sempre verdeggia, sempre è piena di vigore. Si dice di una certa erba che è sempre viva: essa si trova solo in quei pascoli. «La vita eterna - dice - do loro», cioè alle mie pecore. Voi cercate motivi per accusarmi, perché non pensate che alla vita presente.

       "E non periranno in eterno" (Jn 10,27-28); sottintende: voi invece andrete nella morte eterna, perché non siete mie pecore. "Nessuno le rapirà di mano a me ()". Raddoppiate ora la vostra attenzione: "Il Padre mio che me le ha date, è più potente di tutti" (Jn 10,29).


       Che può fare il lupo? Che possono fare il ladro e il brigante? Essi non possono perdere che quelli che sono predestinati alla rovina. Ma quelle pecore di cui l’Apostolo dice: "Il Signore conosce i suoi" (2Tm 2,19), e ancora: "Quelli che ha conosciuti nella sua prescienza, quelli ha predestinati, e coloro che ha predestinati, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati" (Rm 8,29-30), queste pecore, dicevo, non potranno né essere rapite dal lupo, né asportate dal ladro, né uccise dal brigante. Colui che sa cosa ha pagato per esse, è sicuro delle sue pecore. È questo il senso delle parole: «Nessuno le rapisce di mano a me».


Fonte:Monsignor Francesco Follo,





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