Alessandro Cortesi op Ss. Trinità – anno C – 2016

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(William J.Congdon - Tre alberi venerdì santo 1998

Prov 8,22-31; Rom 5,1-5; Gv 16,12-1
Gesù nel suo agire ha sempre rinviato alla presenza del Padre nella linea di accogliere e custodire
tutto e tutti quale dono proveniente da Dio, il Padre. Ha inteso la sua vita non nei termini di un possesso o di conquista, ma nella radicale accoglienza e vivendo lo spirito del povero che tutto riceve.

Il IV vangelo ha scorto così in Gesù il profilo dell'inviato. La sua esistenza terrena trova modo di essere racchiusa nelle parole: ‘Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me; colui che viene a me non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha mandato’ (Gv 6,38; cfr 4,34; 5,30). La richiesta di Gesù ai suoi discepoli si pone nella medesima linea, per essere suoi fratelli e sorelle: ‘chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre’ (Mc 3,35).

Il IV vangelo ha posto attenzione particolare alla comunione tra Gesù e il Padre: sta qui una fessura luminosa per entrare nel mistero della persona di Gesù. Nel suo volto si manifesta l’espressione del Padre: Gesù è così indicato la Parola fatta carne che comunica la vita di Dio, e in lui si rende vicina la sapienza del Padre. Tutto viene dal Padre e da sempre colui che tutto riceve è la Parola. Il loro rapporto è reciprocità del dono: ‘in principio era la Parola e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio…’ (Gv 1,1). Nella vicenda di Gesù, il IV vangelo scorge come questa Parola, sapienza del Padre, ha posto la sua tenda in mezzo a noi, si è fatta carne. L'incontro con Dio si rende così possibile nella concretezza dell'esistenza.

Gesù, prima di morire, ha affidato ai suoi la promessa di non lasciarli soli, e l'apertura di un cammino ancora da compiere, non da soli, ma con una guida: ‘quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto ciò che il Padre possiede è mio’ (Gv 16,14-15). In questa promessa è indicata una presenza viva e personale di qualcuno che starà accanto. Verità, in coerenza con la tradizione biblica, indica la persona stessa di Gesù Cristo: “Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6).

In rapporto a lui, alla sua presenza come ‘farsi vicino’ del volto di Dio, compito dello Spirito nel tempo della chiesa sarà quello di accompagnare e di guidare ad entrare in un rapporto vivo con Cristo. Così il IV vangelo individua la funzione dello Spirito nel guidare in un rapporto nuovo vivente con Gesù. Gesù presenta nel suo agire il volto di Dio Padre: è Lui la sorgente che riversa il suo amore. Il Figlio fatto uomo, ha vissuto la sua vita nella via del servizio. Lo Spirito è dono della Pasqua, presenza di colui che ‘insegnerà ogni cosa’, e conduce a Cristo. La sua azione sta nel ricordare il dono di Gesù, nel rinviare alle sue parole per accogliere la sua presenza come via di incontro con il Padre.

Il volto di Dio assume i tratti di una relazione in se stesso: il Padre il Figlio e lo Spirito, distinzione e unità nella comunione. La profondità dell'esistenza di Dio apre orizzonti di stupore, di invocazione ma anche di comprensione nuova della nostra esistenza come uomini e donne. L’esperienza dell’incontro con l’altro e il luogo della relazione è strada in cui scoprire che siamo costituiti ad immagine di Dio amore, fonte e orizzonte ultimo del nostro esistere.

La festa della Trinità ci spinge a riflettere sul volto di Dio, sul rapporto di Gesù con il Padre, Abbà, e sul dono dello Spirito, centro dell’esperienza cristiana. Lo Spirito rende figli di Dio, apre cammini di cambiamento, e di novità di vita.

La seconda lettura di quest’oggi ci dice che la pace è dono del Padre che viene a noi per mezzo di Gesù Cristo: la pace sta al centro del disegno del vangelo, e non è ‘qualcosa’ ma è qualcuno: è Lui, Gesù Cristo, la nostra pace. “Noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo… L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”.

La pace da costruire con scelte politiche, istituzioni, percorsi di dialogo è in radice superamento dell’odio e dell’inimicizia, è lasciarsi cambiare da Gesù, è vivere sulla via che Gesù ci ha indicato. Per questo Paolo dice: ‘Noi siamo in pace per mezzo del Signore Gesù Cristo’. Pace è possibilità i rapporti tra le persone, i popoli. La vita umana è chiamata ad una comunione, che ha la sua fonte nella relazione che lega Padre e Figlio e Spirito nella pace.

Alessandro Cortesi op



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Chiesa di Dio Padre misericordioso - Roma quartiere Tor Tre Teste - (2000) progetto dell'architetto Richard Meier (le tre vele sono simbolo della Trinità)

In tutto il cuore, in tutto il fiato, in tutte le forze…

Per pensare il rapporto con Padre, Figlio e Spirito può essere utile sostare sullo scavo che Erdi De Luca propone del duplice comandamento: amerai con tutto il cuore, con tutto il fiato (egli traduce) con tutte le forze e amerai il tuo compagno. C'è una trinità nascosta nell'immagine custodita nel cuore umano (come Agostino osservava pensando alla struttura umana) e l'incontro con il Padre il Figlio e lo Spirito solo si attua nella concretezza dei gesti dell'amore.

"L'antico ebraico sapeva che la conoscenza si radica nel cuore, non nel remoto cervello, sede di organi di superficie, naso, occhi, orecchie, gusto. Sa che senza uno scatto di cuore, non si fissa esperienza. Solo il cuore conosce la profondità e non si concede pausa, a differenza della testa che ha bisogno di spegnersi nel sonno. Di questo sta parlando la divinità quando chiede di essere amata «in tutto il tuo cuore». Come misurare questo tutto? Non si dà scale di valori, non va a litri, a chili. Misura è il riempimento dei bordi, sentire che tracimano. L'esperienza di avere superato la capienza del proprio cuore è l'unità di misura. La certezza di essere arrivati al colmo della capacità di amare è l'esperienza richiesta. È estremista la divinità che la richiede. Ma essa sa che l'amore è una strana provvista: solo quando è al suo colmo ed è tutta versata fino allo svuotamento, solo a quel punto aumenta. (…) Rimesso il pezzo al centro, non suona più estremista la richiesta di amare «in tutto il tuo cuore». «E in tutto il tuo fiato»? Pure. Con la pienezza di voce e di polmoni, con parole e con canti, con sospiri e singhiozzi e sorrisi, con tutta la varietà degli strumenti a fiato, con tutte le sfumature di volume dal bisbiglio al grido. La divinità vuol essere chiamata. Serve l'intera scorta di fiato fino all'apnea per poi riempire di nuovo gli alveoli. Ogni sportivo sa che la sua riserva è accumulata dall'allenamento che forza i limiti di tenuta e di resistenza. Così è la richiesta di amore «in tutto il tuo fiato»: ogni volta svuotato fino al bisogno violento di inghiottire altra aria da naso e bocca per proseguire, sollevando il torace per accogliere la nuova scorta, il fiato è forza di vita indipendente dalla volontà. Chi ama così, in tutto il fiato, non ha resto per altri pensieri, altre mosse. Chi ama così è intero, un'unica intenzione. È uno, come una è la divinità. Questo modo di amare, è il suo «uno a uno», che non è una x sulla schedina, non è pareggio, è saccheggio di ogni risorsa. In matematica uno per uno dà risultato uno. In amore uno per uno fa avvenire lo scambio, l'andata e ritorno da uno a uno. «In tutte le tue forze»: anche il resto del corpo, nervi, ossa, muscoli, organi, tessuti sono coinvolti dalla piena d'amore. Dopo cuore e fiato, fornitori d'ossigeno, tocca alle forze far reagire il corpo all'unisono. È un coro il corpo umano e solo nell'amore raggiunge la stessa nota, tonalità e volume. È strano come sia così esperta di fisiologia la notizia sacra. Esercita la sua presa sul corpo intero, lo coinvolge non come strumento, ma come fine dell'esperimento dell'amore, massimo sentimento estraibile dal giacimento delle risorse umane. Dopo cuore e fiato arriva il turno di prontezza del resto della persona. Le sue forze vanno ad aggiungersi spontaneamente alle altre due indipendenti. Non so se la teologia cristiana si sia già impadronita di questa trinità del corpo impegnata nell'amore. Dal mio punto di vista la somiglianza è fatta: padre è il cuore, figlio il fiato, spirito santo le forze riunite. Sono tre punti di un'unità tenuta insieme dal comando di amare. Senza questa energia che li concentra; cuore, fiato e forze si disperdono nei loro circuiti separati. «E amerai Iod tuo Elohìm»: il verbo imperativo è al futuro perché il traguardo di questa perfezione è fuori portata, ma chiama lo stesso in quella direzione. La divinità chiede amore perché esso colma chi lo dà, non chi lo riceve. Chiede amore non per riceverlo, ma per addestrare la creatura a darlo. Così il monoteismo ha fatto breccia nel fitto degli idoli e ha sbaragliato la loro concorrenza accampandosi in cuore, fiato e forze della persona. Ma non è solo affare tra divinità e creatura, questo amore. «E amerai il tuo compagno come te stesso», è scritto in Levitico/Vaikrà (19,18). È opera difficile. Qui per compagno s'intende il vicino, anzi il prossimo che è superlativo di vicino, cioè il più vicino a te. Perché non ti è imposto di amare tutta l'umanità, però quella che sta nel tuo raggio, che inciampa un metro avanti, quella persona sì. Nel comandamento c'è un tu e c'è una persona da amare, perché l'amore avviene da uno a uno". (Erri De Luca Penultime notizie circa Ieshu/Gesù, ed. Messaggero 2009, 73-79)


Fonte:alessandrocortesi2012.wordpress.com

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