Battista Borsato"Pensare al cielo o alla terra?"

Ascensione del Signore 2016
Pensare al cielo o alla terra?
Gesù disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome
saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
(Lc. 24, 46-53)

In questa festa dell’ascensione di Gesù al cielo vorrei riflettere su due espressioni:  una presa dalla prima lettura (”Uomini di Galilea perché ve ne state a guardare il cielo?”) e l’altra  dal Vangelo (“Tornarono a Gerusalemme con grande gioia”).

Uomini di Galilea perché ve ne state a guardare il cielo?”. Gesù sale in cielo. Certo è un’immagine simbolica, Gesù lascia la terra, il mondo e si immerge nell’immenso mistero della Trinità; Gesù in termini inappropriati, ma significativi, riceve l’abbraccio del Padre.
Il Gesù che verso Betania si stacca dai discepoli e viene portato verso il cielo, ci può indurre a pensare che ciò che ha valore è il cielo, la terra sarebbe una realtà da sopportare in vista del cielo. Quando, una volta da ragazzi, si studiava il catechismo di San Pio X si leggeva che la parte più importante dell’uomo è l’anima perché essa non muore mentre il corpo non è importante perché è destinato a morire. Ed è nata così una teologia e una cultura di disprezzo o di deprezzamento del corpo. La teologia cristiana si è impregnata di pessimismo corporeo e terreno. Meno si pensava al corpo e più si era  credenti come se il corpo non fosse stato creato da Dio e quindi non fosse una cosa buona.
E non soltanto c’era la disistima nei riguardi del corpo, ma anche nei riguardi della terra. Più ci si staccava dalla terra e ci si elevava verso il cielo più si manifestava la fede. La fede, come la preghiera erano intese come l’elevarsi verso il cielo. Possiamo dire che l’immagine più proclamata e più stimata era quella del cielo, mentre quella meno apprezzata riguardava la terra. C’era, è c’è ancora, una preghiera liturgica che recita: “Insegnaci, Signore, a disprezzare le cose terrene e a valutare quelle celesti”.  I veri credenti o i veri cristiani erano i monaci che lasciando gli impegni terrestri si dedicavano alla preghiera e quindi al cielo. Ora viene la domanda: un cristiano che lascia il mondo per non inquinarsi e si dedica solo alla preghiera è un vero cristiano? È un cristiano secondo Gesù e nella scia del Vangelo? In questi ultimi tempi questa domanda ha inquietato non soltanto molti cristiani ma pure i papi stessi, tra cui Paolo VI, il quale ha obbligato i monaci ad avere relazioni con la Chiesa e con il mondo.
Pensare alla terra, vivere con impegno sulla terra è contro il messaggio di Gesù o è il modo più vero di viverlo?
Proprio nella prima lettura di fronte al salire di Gesù gli angeli si rivolgono ai presenti e dicono: “Uomini di Galilea perché ve ne state a guardare il cielo?”.  Il rischio di guardare il cielo e non guardare la terra è sempre presente. C’è un bellissimo libro, anche se scritto con un linguaggio difficile, che ha questo titolo: “Una mistica dagli occhi aperti”, parla di una fede che ha occhi per vedere i bisogni, le ingiustizie, le sofferenze degli uomini e cerca di impegnarsi per trovare soluzioni. La fede non è evasione . Oggi c’è il problema spinoso dei profughi. Il Papa ha ricevuto il premio “Carlo Magno” per il suo impegno a lottare contro le ingiustizie e le sofferenze e per l’integrazione dei profughi in Europa. La fede, prima o più che guardare al cielo, è farsi carico della terra. Diceva Oscar Romero che i cristiani sono chiamati a far in modo che la terra diventi cielo.

“Tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Vorrei accentuare le due parole: Gerusalemme e gioia. Gerusalemme era il centro religioso per eccellenza, qui dimoravano il sinedrio e i sacerdoti che avevano fatto uccidere Gesù. Quindi era un luogo rischioso, perché le idee di Gesù erano avversate, anzi combattute con violenza. Ritenevano i seguaci di Gesù dei pericolosi eretici, che distruggevano le tradizioni religiose e mettevano in pericolo tutto l’impianto dottrinale e disciplinare della religione. Addirittura erano chiamati atei. Nonostante Gerusalemme fosse un luogo avverso e compromettente ci vanno e ci vanno con gioia. Affrontano il pericolo , affrontano la paura. Perché vanno con gioia? Perché sono rassicurati dalla presenza di Gesù o meglio dalla sua benedizione. È bellissima e confortante l’espressione: “li benedisse”. La benedizione di Gesù è un aiuto a non aver paura, a credere in se stessi, a credere che non sono soli. La benedizione è un flusso di energia più grande di noi che ci incalza  e ci sospinge. Nella Bibbia troviamo che Dio “benedì Adamo ed Eva e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”. La benedizione non è un giudizio o una condanna, ma una promessa di presenza, è una parola di fiducia, di spinta, di speranza. Anche Abramo è chiamato ad essere benedizione per tutti i popoli, anche Maria è chiamata “Benedetta”. C’è molto bene in te e anche in tutti gli uomini anche nei nemici: occorre credere a questo bene.

Vivere con gioia. Occorre appropriarsi della gioia e vincere l’angoscia del futuro. L’angoscia sta penetrando insidiosamente l’animo delle persone e dei gruppi: essa è il nemico da abbattere. Il teologo Drewermann dice che la fede è la vittoria sulla propria angoscia, è un riconoscere che c’è un Padre che guida gli avvenimenti e strappa l’uomo dal suo sentirsi solo e dalla vertigine del caos.
Proprio perché viviamo in una società senza padre e senza padri nasce l’angoscia. E quando si è presi dall’angoscia ci si chiude e non si lotta più. Solo la liberazione da questo stato d’animo restituisce fervore di impegno e freschezza alle relazioni umane.
I discepoli nell’ascensione di Gesù hanno scoperto la presenza di un Padre che si è preso cura del figlio e quindi anche di tutti gli uomini. Ha dischiuso il loro animo alla fiducia e alla speranza espresse con le parole “tornarono a Gerusalemme con grande gioia”.

Due piccoli impegni

Sentirsi responsabili della terra.
La gioia è una forza che vince la paura. .



Battista Borsato

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