CIPRIANI SETTIMIO SDB SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO "Fate questo in memoria di me"


29 maggio 2016 | 9a Domenica: Corpus Domini - Anno C | Appunti per la Lectio
SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO
"Fate questo in memoria di me"
Parlando dell'Eucaristia e rifacendosi a san Tommaso d'Aquino, il Concilio Vaticano II dice che "in
essa è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo". Proprio per questo essa si presenta anche come "fonte e culmine di tutta la evangelizzazione". Il che significa che l'Eucaristia rappresenta la "sintesi" non solo della nostra fede, ma anche il polo di attrazione e il modulo espressivo della nostra vita cristiana.
Ciò sta a dire la solennità e l'importanza della festa che oggi celebriamo, come anche la difficoltà di parlarne esaurientemente, data la molteplicità degli aspetti e degli elementi che formano della Eucaristia il "mistero della fede" per eccellenza, come appunto proclamiamo nella celebrazione liturgica, subito dopo la consacrazione. Cercheremo perciò di cogliere qualcuna delle più stimolanti intuizioni teologiche, che le letture bibliche odierne ci suggeriscono.

"Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane..."

Incominciamo dalla seconda lettura (1 Cor 11,21-26), che mi sembra la più ricca di teologia eucaristica, dato che, oltre tutto, essa sola parla direttamente di questo mistero.
Giova richiamare brevemente il contesto in cui si inserisce questo racconto così lapidario della istituzione della Eucaristia.
Nella comunità di Corinto era invalso l'uso di far precedere la celebrazione eucaristica da un banchetto, forse per creare un clima di fraternità attorno al "memoriale" più grande dell'amore di Dio verso di noi. Sta di fatto, però, che tutto questo non contribuiva alla edificazione della comunità, anzi ne esasperava le "divisioni" e umiliava i più poveri e i meno abbienti. Per questo Paolo taglia corto e condanna tale prassi liturgica, che non aiutava a penetrare meglio il senso vero della Eucaristia, che si capisce invece molto più facilmente se si ricrea, narrandolo, l'"ambiente" di austerità e di dramma in cui essa venne istituita.
Per dare maggiore autorità a quello che afferma, l'Apostolo si rifà a quanto egli stesso ha ricevuto per "tradizione", risalente direttamente a Cristo (v. 23): "Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me"" (vv. 23b-25).
Gli studiosi sono d'accordo nel dire che qui Paolo non compone direttamente, ma piuttosto riporta dalla prassi liturgica, quale forse egli aveva appreso nella Chiesa di Antiochia. È risaputo anche che la narrazione eucaristica di Luca (22,14-20), discepolo di Paolo, è molto simile alla nostra. Paolo vi aggiunge di proprio solo la connotazione storica iniziale: "Nella notte in cui veniva tradito", quasi a mettere a confronto il gesto e le parole di Gesù, che esprimono il massimo di donazione, con il "tradimento" di Giuda.
E questo non solo per rievocare un fatto del passato, ma per ammonire i Corinzi che lo stesso poteva capitare (anzi già stava capitando!) anche a loro: la "notte" della incomprensione, della rivalità e del tradimento stava già avvolgendo la loro comunità, dal momento che essi con il loro comportamento dimostravano di "non riconoscere più il corpo del Signore" (v. 29) in quanto segno di amore e di fraternità!
Questa palese sottolineatura dell'"amore", oltre che dalla circostanza storica, è messa in evidenza anche da altri particolari propri della tradizione liturgica seguita da Paolo o, comunque, da lui rielaborata. Per esempio, il fatto che egli soltanto dice del "corpo" di Cristo: "che è per voi" (Luca completa: "che è dato per voi"), cioè consegnato alla morte "in favore" degli uomini. L'Eucaristia perciò non riproduce il mistero della "presenza" di Cristo semplicemente, ma il mistero della sua vita "offerta" per noi sulla croce, cioè nel momento del suo massimo amore per gli uomini. Lo stesso discorso ovviamente vale per il sangue, in cui la cosa è anche più evidente; e forse per questo S. Paolo omette la formula: "che è versato per voi", che ritroviamo invece in Luca (22,20), oltre che in Matteo (26,28) e in Marco (14,24).

L'Eucaristia come "memoriale" del Signore

È poi caratteristico il fatto che solo in Paolo abbiamo per ben due volte il comando di Gesù: "Fate questo in memoria di me" (vv. 24.25). Anche Luca (22,19) ci riporta la stessa formula, ma riferita solo al "corpo".
Che cosa significa questa espressione, su cui Paolo sembra insistere con compiacenza? Certamente essa vuol esprimere la volontà di Cristo che quanto egli sta in quel momento compiendo, con il significato che egli dà ai suoi gesti (ad esempio lo spezzare il pane, l'offrirlo come suo "corpo" dato alla morte, ecc.), debba essere "ripetuto" dai suoi fino alla sua "venuta" (v. 26).
Se questo è, vuol dire che la ripetizione dei suoi gesti non può essere meramente "rievocativa": io, infatti, perderei il "significato" di quello che Gesù ha compiuto allora, se non riuscissi a rendere presente tutta la "forza" salvante di ciò che egli intendeva realizzare in quel momento. Io non celebro la sua "memoria", se non a condizione di renderla totalmente operante anche oggi, per me e per tutti gli uomini. La "anámnesis" (= memoria), a cui ci rimanda san Paolo, perciò, è la riproduzione, nel presente, dei gesti eucaristici di Cristo con la "pienezza di significato" che ha voluto loro annettere: il che presuppone che egli sia ancora colui che presiede alla mensa, che ridice quelle parole, ecc. Il sacerdote celebrante è solo la "trasparenza" di Cristo!
Del resto, tutti gli studiosi rimandano a una espressione ebraica, relativa al "rinnovarsi" della Pasqua vetero-testamentaria, come fonte della formula paolina. Nel racconto della istituzione della Pasqua, infatti, si legge: "Questo giorno sarà per voi un memoriale (in ebraico: le-zikkarôn); lo celebrerete come festa del Signore; di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne" (Es 12,14). Questa formula passò ben presto nel rituale della celebrazione della Pasqua ebraica, che Gesù sicuramente seguì nell'ultima Cena: "Che Tu sia benedetto, Signore, Dio nostro e re della terra, che hai dato al popolo tuo Israele questi tempi di festa per la gioia e per il memoriale" (le-zikkarôn).
Nel mistero del banchetto pasquale si produceva come una sovraimpressione di due tempi della storia, il presente e la lontana uscita degli Ebrei dall'Egitto: l'avvenimento passato diventava presente, o meglio, ognuno diventava contemporaneo all'avvenimento passato. "E in questa celebrazione veniva affermata l'unità dell'atto redentore del Signore; la Chiesa di Cristo designerà questo mistero dell'unità dell'opera redentrice, compiuta una volta per tutte e tuttavia sempre nuova, attuale, operante, con la parola mystérion o sacramentum. Il mistero sacramentale appartiene alla tradizione giudaica e cristiana ed esprime il senso biblico della storia della salvezza, che si compie nel tempo una volta per tutte, ma che è ugualmente presente in tutti i tempi attraverso la Parola e il Sacramento".
Alla luce di queste riflessioni si capiscono molto bene le parole conclusive che Paolo aggiunge, a modo di commento, al racconto della istituzione della Eucaristia: "Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga" (v. 26). Si noti quel presente ("voi annunciate"): ogni celebrazione eucaristica è la "proclamazione" di un mistero di morte, come pienezza di amore, e perciò dilatantesi lungo tutto l'arco della storia con la stessa pienezza di efficacia. Perciò essa non può non coinvolgerci, rinnovandoci nell'amore, in questa capacità di donarsi fino ad esaurirci per Dio e per i fratelli, come ha fatto Cristo: se no, rimarrebbe solo "ricordo" del passato e non sarebbe più una "anámnesis" creativa di situazioni sempre nuove e inedite. Ed a questi "inediti" di esperienza e di vita ci rimanda l'ultimo accenno di Paolo: "finché egli venga".
L'Eucaristia dunque è tesa fra il passato e l'avvenire, è "ricordo" e "profezia" nello stesso tempo. Il che significa che essa neppure è l'ultima parola dell'amore. L'ultima parola sarà detta soltanto quando, insieme a Cristo, anche noi berremo "il vino nuovo nel regno di Dio" (cf Mc 14,25), che nella sua pienezza ha ancora da "venire"!

"Allora egli prese i cinque pani e i due pesci..."

Il brano di Vangelo, che ci descrive la prima moltiplicazione dei pani secondo il racconto di Luca (9,11-17), pur non essendo direttamente un racconto eucaristico, ci aiuta tuttavia a penetrare più a fondo il mistero dell'Eucaristia, nel senso che è lo stesso Evangelista a mettere in rapporto fra di loro i due avvenimenti. Egli infatti fa compiere a Gesù, nel moltiplicare i pani, gli stessi gesti che farà durante l'ultima Cena: "Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai suoi discepoli perché li distribuissero alla folla" (v. 16. Cf Lc 22,19). Anche Govanni, del resto, ha visto nella moltiplicazione dei pani il "segno" della Eucaristia (6,26).
Importante poi è, in questo racconto, il coinvolgimento diretto degli Apostoli, che Cristo invita a prestare almeno la loro azione per "distribuire" alla folla il cibo da lui prodigiosamente procurato. È quanto anche oggi fanno coloro che presiedono alla Eucaristia, che solo la "parola" di Cristo riproduce in mezzo a noi che abbiamo ancora "fame" della sua bontà, del suo amore, di una sicurezza che lui solo può darci.
Ma il coinvolgimento degli Apostoli va molto oltre queste indicazioni, pur così trasparenti: afferra tutti coloro che dalla Eucaristia in qualsiasi maniera vengono come contrassegnati.
Se essa per tutti noi rappresenta l'anámnesis dell'amore e della donazione per gli altri, c'è da domandarsi in che misura le nostre celebrazioni eucaristiche riescono a diventare "ricordo" vissuto, per coloro che osano chiamarsi "cristiani", dell'amore gratuito e generoso del loro Signore per tutti. È qui che possiamo confermare o smentire quello che noi crediamo quando proclamiamo solennemente la Eucaristia "memoriale della Pasqua del Signore" (Orazione). Un "memoriale" non reso vivo e presente è solo un "ricordo" del passato!

Melchisedek "re e sacerdote"

In questo senso diventa attuale perfino il gesto remoto del misterioso Melchisedek, "re di Salem" e "sacerdote del Dio altissimo", che "offrì pane e vino" e "benedisse" Abramo che ritornava vittorioso dalla sua campagna contro i re orientali (Gn 14,18-20).
Un atto di culto, o solo un atto di umanità per "rifocillare" chi aveva bisogno delle cose più elementari per sopravvivere, come sono appunto il pane e il vino? Sono problemi che non possiamo qui affrontare e che, del resto, sia la tradizione biblica (Sal 110,4; Eb 7) sia quella patristica hanno letto in chiave "profetica" e "cristologica". A noi interessa dire che l'Eucaristia è vera soltanto se diventa "offerta" di quello che siamo e di quello che abbiamo, servizio, compartecipazione, amore, fraternità.
Soltanto così essa sarà vera "anámnesis" e "annunzio" della morte di Cristo "finché egli venga" (1 Cor 11,26) nella gloria definitiva del suo regno.

Settimio CIPRIANI

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