DON PaoloScquizzato, “Corpus Domini”

OMELIA Corpo e Sangue di Cristo. Anno C
«In quel tempo, Gesù prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di
cure.12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”. 13Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”. 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: “Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa”. 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste». (Lc 9, 11b-17)


Credo vi sia un rischio sotteso alla celebrazione di questa grande festa che va sotto il nome di “Corpus Domini”, quello cioè di concentrarsi unicamente su una realtà estrinseca all’uomo, ossia su quel pane e quel vino consacrati,  divenendo così oggetto da adorare e dinanzi cui bruciare incensi e magari da portare in processione.
Ma qualsiasi adorazione – civile o sacrale – è sempre pericolosa.
«Il Corpo del Signore non lo dobbiamo pensare negli schemi sacrali. Ricordate le processioni con gli ostensori e gli incensi? Di quel pane che deve essere un pane a tavola noi abbiamo fatto un idolo. È l’astuzia dell’uomo! Quando l’uomo fa di un santo una realtà da adorare, se ne è già liberato. Adorare significa metterla fuori. Messa fuori, viviamo più tranquilli nella nostra malvagità» (E. Balducci).

La festa di oggi, ci pone una domanda irrinunciabile e capitale: cos’è, anzitutto, il corpo e sangue di Cristo? O meglio, chi è il corpo e sangue di Gesù?
L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, è inscritto in un contesto di ‘guarigione’. Gesù, in mezzo al ‘deserto’, guarisce tutti coloro che avevano bisogno di cure (cfr. v. 11).
L’umanità è questo immenso corpo che in mezzo ad un deserto esistenziale, ha bisogno di essere preso in carico ed essere guarito. Ciascuno di noi ha bisogno di essere curato nelle sue ferite più profonde, esistenziali.  Ciascuno di noi soffre una fame che non si estingue col semplice pane che mettiamo sulla tavola, ma di una molto più profonda, fame di una vita piena, che conosca finalmente la dignità, che sperimenti cosa vuol dire vivere da uomo e da donna e non solo come straccio usato e buttato in un angolo.  Fame di senso, di sapere se la propria vita merita di essere vissuta, se è possibile ricominciare dopo ogni sconfitta, se c’è qualcuno ai cui occhi io possa essere prezioso e che la mia vita valga la pena di essere abbracciata, anche senza alcun merito.
Gesù, in questa terra desolata, vede e si prende cura proprio di questa umanità addolorata.
E invita poi ciascuno a sfamare questa umanità in attesa, rivelandoci così la preziosa logica che la propria fame si estinguerà solo sfamando quella degli altri.
Egli invita non tanto a dare cose, denari o altro per compiere la sazietà dell’altro, bensì se stessi: «Voi stessi date loro da mangiare», ossia ‘datevi in cibo a questa umanità affamata’ (v. 13a).
È interessante notare come nel momento in cui si entra in questa logica del dono di sé, il deserto comincia a fiorire (cfr. Is 32, 15). Nel Vangelo di Giovanni, riguardo il passo parallelo, si dice che ci fosse “molta erba in quel luogo” (Gv 6, 10b) e Marco aggiunge come quell’erba fosse ‘verde’ (Mc 6, 39). Un luogo con molta erba verde, richiama ovviamente un giardino, e il giardino nella Bibbia è sinonimo di paradiso. Insomma: il condividere, il prendersi cura della vita dell’altro fa fiorire ogni deserto esistenziale e trasforma lentamente questo nostro mondo incolto, in un anticipo di paradiso.

Detto questo, la grande festa del Corpo e Sangue di Gesù, cosa può dire a noi oggi?
Credo anzitutto che funga da memoria del mistero dell’incarnazione, o se vogliamo, di come Cristo si incarni oggi nella nostra storia: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).
Prima di farsi ostia, Dio s’è fatto carne, e ogni carne.
La festa odierna è memoria di dove sta di casa il nostro Dio, di come i più preziosi tabernacoli siano i corpi martoriati dei poveri, le carni consunte di migliaia di profughi, degli esclusi, degli allontanati.
Adorare e venerare l’ostia consacrata e poi calpestarla, denigrarla e rigettarla nel fratello cosa vuol dire?
Non è il medesimo Dio? C’è più Dio in un’ostia che in un uomo?

«Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo”, confermando il fatto con la parola, ha detto anche: “Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare” e “ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli fra questi, non l’avete fatto neppure a me.  Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l’onore più gradito, che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare, è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi.
Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato, e solo in seguito orna l’altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice d’oro e non gli darai un bicchiere d’acqua? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d’oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe, o piuttosto non s’infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, e, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce? Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell’edificio sacro. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questo è il tempio vivo più prezioso di quello» (San Giovanni Crisostomo, IV sec. d.C.).

Fonte:http://www.paoloscquizzato.it/

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