FIGLIE DELLA CHIESA Lectio Divina "Ascensione del Signore"

Ascensione del Signore
Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo (Lc 24,46-53) 
Antifona d'ingresso
“Uomini di Galilea,
perché fissate nel cielo lo sguardo?

Come l’avete visto salire al cielo,
così il Signore ritornerà”. Alleluia. (At 1,11)

Colletta
Esulti di santa gioia la tua Chiesa,
o Padre,
per il mistero che celebra
in questa liturgia di lode,
poiché nel tuo Figlio asceso al cielo
la nostra umanità è innalzata accanto a te,
e noi, membra del suo corpo,
viviamo nella speranza
di raggiungere Cristo,
nostro capo, nella gloria.

PRIMA LETTURA (At 1,1-11)
Fu elevato in alto sotto i loro occhi.
Dagli Atti degli Apostoli

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

SALMO RESPONSORIALE (Sal 46)
Rit: Ascende il Signore tra canti di gioia.

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra. Rit:

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni. Rit:

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo. Rit:

SECONDA LETTURA (Eb 9,24-28;10,19-23)
Cristo è entrato nel cielo stesso.
Dalla lettera agli Ebrei

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

Canto al Vangelo (Mt 28,19.20)
Alleluia, alleluia.
Andate e fate discepoli tutti i popoli, dice il Signore,
ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo.
Alleluia.

VANGELO (Lc 24,46-53)
Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Preghiera sulle offerte
Accogli, Signore, il sacrificio che ti offriamo
nella mirabile ascensione del tuo Figlio,
e per questo santo scambio di doni
fa’ che il nostro spirito si innalzi alla gioia del cielo.

PREFAZIO DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE I
Il mistero dell’Ascensione

È veramente cosa buona e giusta,
che tutte le creature in cielo e sulla terra
si uniscano nella tua lode, Dio onnipotente ed eterno.
Il Signore Gesù, re della gloria,
vincitore del peccato e della morte,
oggi è salito al cielo tra il coro festoso degli angeli.
Mediatore tra Dio e gli uomini,
giudice del mondo e Signore dell’universo,
non si è separato dalla nostra condizione umana,
ma ci ha preceduti nella dimora eterna,
per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito,
saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria.
Per questo mistero, nella pienezza della gioia pasquale,
l’umanità esulta su tutta la terra,
e con l’assemblea degli angeli e dei santi
canta l’inno della tua gloria: Santo...

PREFAZIO DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE II
Il mistero dell’Ascensione

È veramente cosa buona e giusta,
che tutte le creature in cielo e sulla terra
si uniscano nella tua lode, Dio onnipotente ed eterno,
per Cristo nostro Signore.
Dopo la risurrezione
egli si mostrò visibilmente a tutti i discepoli,
e sotto il loro sguardo salì al cielo,
perché noi fossimo partecipi della sua vita divina.
Per questo mistero, nella pienezza della gioia pasquale,
l’umanità esulta su tutta la terra,
e con l’assemblea degli angeli e dei santi
canta l’inno della tua gloria: Santo...

Antifona di comunione
“Nel nome del Signore Gesù
predicate a tutte le genti
la conversione e il perdono dei peccati”. Alleluia. (cf. Lc 24,47)

Preghiera dopo la comunione
Dio onnipotente e misericordioso,
che alla tua Chiesa pellegrina sulla terra
fai gustare i divini misteri,
suscita in noi il desiderio della patria eterna,
dove hai innalzato l’uomo accanto a te nella gloria.

Lectio

Il Vangelo secondo Luca inizia con il racconto di una benedizione mancata (cfr. Lc 1, 5-22); e termina invece con l’immagine di Gesù che conduce i suoi discepoli verso Betania e, “alzate le mani, li benedisse” (Lc 24, 50).
La prima scena dell’inizio del Vangelo è questa: nel tempio di Gerusalemme ci sono i cortili pieni della folla che aspetta la benedizione di Dio; il sacerdote Zaccaria è entrato nel santuario per fare l’offerta, e dovrebbe uscire per benedire il popolo. Ma nel santuario ha un’esperienza straordinaria della presenza di Dio e quando esce è muto. Quindi non riesce a benedire la folla.
La conclusione è invece quella che abbiamo ascoltato: Gesù benedice i discepoli prima di lasciarli per quella che noi chiamiamo la sua “Ascensione”. La benedizione arriva adesso perché solo ora la vita di Gesù ha raggiunto il suo compimento – la sua pienezza – attraverso il dono di sé, l’offerta della croce e del calvario.
Quando sulla croce Gesù ha trasformato la sua vita in dono, in obbedienza a Dio, ha fatto dono di sé stesso, lì Gesù è diventato perfetto e completo e diventa sorgente di benedizione per noi.

v. 46:
L’Ascensione rappresenta il passaggio di Gesù da questo mondo a Dio. L’umanità di Gesù, Gesù uomo, che appartiene alla nostra storia, al nostro mondo, quell’uomo concreto con la sua umanità è entrato nella bellezza e nello splendore della vita di Dio. E c’è entrato perché la sua vita è stata coerente di amore e di dono; perché non si è preoccupato di difendere se stesso, ma si è preoccupato di donare se stesso agli altri.
Per questo il traguardo, il culmine della sua vita è l’ingresso nel mistero di Dio, ciò che noi chiamiamo Ascensione. Ma se Gesù è salito a Dio certamente non ci ha per questo abbandonato. Quella benedizione che Gesù dà ai suoi discepoli è il segno di una corrente di vita che da lui risuscitato arriva agli uomini, e che permette agli uomini di continuare la sua opera.
Se la vita di Gesù è stata un dono di amore agli altri, noi siamo chiamati a fare della nostra vita un dono di amore agli altri. E quel Gesù che è salito alla destra di Dio è semplicemente lì per trasmettere a noi la ricchezza di vita e di amore che possedeva, perché questo amore si dilati nella storia e nel mondo e possa raggiungere ogni uomo, ogni bisognoso.
Il vangelo di Luca, diversamente dagli Atti, concentra in un unico giorno, il primo dopo il sabato, i fatti pasquali, a indicare che l’esaltazione è inseparabile dalla risurrezione. Al mattino pone l’incontro al sepolcro delle donne con i due uomini in vesti sfolgoranti, poi identificati come angeli e la visita di Pietro; durante il giorno avviene l’apparizione ai discepoli di Emmaus e alla sera l’apparizione agli Undici e agli altri riuniti.
Il racconto dell’Ascensione non ha indicazione di tempo ed inizia con il riferimento di Gesù alla passione e risurrezione, alla predicazione universale e alla testimonianza con la forza dello Spirito. Tutto è desunto dalla Scrittura; Gesù, infatti, sta aprendo la mente dei discepoli alla sua comprensione.

C’è uno stretto legame tra Ascensione e Risurrezione.
Con l’Ascensione si vuole sottolineare il compimento del percorso che Gesù ha compiuto, di discesa (incarnazione, passione e morte) e di ascesa (risurrezione e ascensione al cielo), movimento che ha lo scopo di recuperare tutto il mondo alla comunione con Dio.
Nella Scrittura l’Ascensione viene anche interpretata in senso sacerdotale (vedi seconda lettura): Gesù sale al cielo come sommo sacerdote.
In Eb 8,24ss è scritto che una sola volta all’anno, nel giorno dell’espiazione, il sommo sacerdote poteva entrare nel luogo del tempio detto “santo dei santi” con un capro espiatorio. Il sangue, l’offerta della vita, era lo strumento della comunione tra Dio e il popolo. Attraverso questi riti si compiva la espiazione del peccato che era sempre in funzione della comunione con Dio.
L’Ascensione è l’ingresso del Sommo Sacerdote (Gesù) nel santuario celeste per offrire a Dio il sacrificio perfetto con il suo sangue.
È offerta unica, che vale per sempre, perché è perenne. Gesù è in atteggiamento sacerdotale davanti al Padre per salvare gli uomini. L’offerta di Gesù è perenne e il suo sangue è offerto in modo permanente.

v. 47:
Vengono messe insieme due realtà, la conversione e il perdono dei peccati. A tutte le genti viene annunciata la conversione a cui fa seguito il perdono dei peccati. È importante non disgiungere mai la conversione e il perdono.
Quello che stupisce però è questo: innanzitutto l’essenzialità della predicazione che deve vertere su questo invito alla conversione e al perdono dei peccati. Ma accostando la conversione e il perdono dei peccati, vengono indicate queste due realtà come dono. Sia la conversione che il perdono non dipendono dalle capacità delle genti (e qui sta l’universalità, dal momento che per “gente” s’intende la non esclusione di nessuno da questo annuncio), ma sono frutto, ancora una volta, della Pasqua, del dono dello Spirito.
Si sottolinea la centralità di Gerusalemme. Non può che cominciare da Gerusalemme la predicazione a tutte le genti e la conversione e il perdono dei peccati. Ogni tentativo di abbandonare Gerusalemme finisce miseramente. Pensiamo ad esempio alla parabola del Samaritano. Incappare nei briganti è la causa del cammino inverso di quello che ha fatto il Signore. Quindi si sta lì. Non possiamo andare in altri posti; la nostra permanenza a Gerusalemme, cioè nei luoghi della Pasqua, è garanzia per non fallire. È da lì che si comincia ed è lì che bisogna ritornare.

v. 48:
Il Signore Gesù, allorché sta per ascendere in cielo, investe i suoi apostoli di questa funzione importantissima: proclamare il suo vangelo a tutti i popoli, per invitarli alla conversione e alla fede.
Perciò i credenti debbono rendere testimonianza al Cristo risorto non solo con la vita ma anche con la parola, con l’annuncio del vangelo. La missione evangelizzatrice del mondo intero forma uno dei compiti fondamentali della chiesa.

v. 49:
Tradotto anche: “E io mando su di voi la Promessa del Padre mio; ma voi rimanete nella città, finché non siate rivestiti dalla Forza dall’alto”. La “Promessa del Padre” e la “Forza dall’alto” indicano la persona dello Spirito.
In verità la testimonianza coraggiosa al Signore risorto con la parola e soprattutto con la vita sarà resa possibile dalla persona divina dello Spirito che è la potenza del Padre. Gli Atti degli apostoli documentano concretamente questa azione potente dello Spirito di Dio nella chiesa nascente.

v. 51:
La prima azione di Gesù al momento di essere innalzato è la benedizione; in lui i discepoli ricevono la benedizione stessa di Dio. È l’atto di commiato che richiama le benedizioni patriarcali sulla famiglia o sul popolo dopo aver detto le ultime parole. Benedicendo i discepoli, Gesù benedice e feconda Israele e in essi tutti i popoli.
Dopo che Gesù ha benedetto i suoi, Luca descrive l’Ascensione come “distacco” e “innalzamento” verso il cielo, verso il Padre. Alla benedizione di Gesù corrisponde la benedizione riconoscente della chiesa (il verbo “lodare”, eulogheo, è lo stesso della benedizione con cui iniziano molte preghiere ebraiche e cristiane: “Benedetto sei tu…”).

Appendice
Li portò fuori, verso Betania, e, alzate le mani, li benedisse. Il nostro redentore è apparso nella carne per togliere i peccati, portare via la pena della prima maledizione, donare ai credenti l’eredità dell’eterna benedizione: perciò giustamente concluse la sua opera nel mondo con parole di benedizione, dimostrando di essere colui del quale era stato detto: Darà la benedizione colui che ha dato la legge. (Sal 83.8).
E ben a ragione condusse a Betania, che significa “casa dell’obbedienza”, quelli che avrebbe benedetto, perché il disprezzo e la superbia meritano la maledizione, l’obbedienza la benedizione. Perciò anche il Signore per restituire al mondo la grazia della benedizione che aveva perduto, si fece obbediente al Padre fino alla morte, e nella Chiesa la benedizione della vita celeste viene concessa solo a quelli che si adoperano di obbedire ai precetti. Non dobbiamo neppure trascurare il fatto che Betania era situata sul fianco del Monte degli Ulivi. (…) Dato che la Chiesa per potersi perfezionare è anche segnata nel giorno della redenzione dall’unzione dello Spirito Santo, giustamente è chiamato Monte degli Ulivi il monte sul cui lato è situata la città santa, nella quale viene data la grazia della benedizione. (Beda, Omelie sui Vangeli II. 15)

Il Signore non ritenne sufficiente farsi toccare dagli apostoli: volle fare appello alle Scritture per confermare i loro cuori nella fede. In anticipo egli vide noi che non eravamo ancora nati: noi che di Cristo non abbiamo nulla da toccare, ma che su Cristo abbiamo qualcosa da leggere. Se gli apostoli credettero perché l’avevano toccato, che possiamo fare noialtri? Ormai Cristo è salito al cielo e tornerà solo alla fine per giudicare i vivi e i morti. Su che si baserà la nostra fede, se non su quelle Scritture con le quali il Signore volle confermare la fede di coloro che lo toccavano? Egli dischiuse loro il senso delle Scritture e mostrò come fosse necessario che il Cristo soffrisse e che venisse adempiuto tutto ciò che era stato scritto al suo riguardo nei libri della Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi. Il Signore percorse tutto l’Antico Testamento; sembrava lo abbracciasse. Nelle scritture infatti qualsiasi brano canta Cristo. A condizione che ci siano orecchie capaci di ascoltarne il suono. (Agostino, Su 1Gv 2.1)

Da Gerusalemme uscirono degli uomini per il mondo, dodici di numero; e questi erano ignoranti; non sapevano parlare, ma grazie alla potenza di Dio rivelarono a tutto il genere umano che erano stati inviati da Cristo per insegnare a tutti la Parola di Dio. (Giustino, I Apologia 39,3)

Questo congedo non ha niente dell’addio: la tristezza, come il vecchio fermento, viene spazzata via dalla Pasqua…; l’ascensione lascia nel cuore degli apostoli una grande gioia L’angoscia per la partenza del Signore si colloca cronologicamente prima della Passione; allora i discepoli si rattristano come la donna la cui ora è venuta; il Signore li consola dicendo loro che la sua partenza sarà un bene per loro (cfr Gv 16,6-7). Ora voi soffrite, ma io vi rivedrò e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia (Gv 16,22). Qui si allude al rivedersi della Pasqua, e la gioia pasquale non è turbata dall’ascesa al cielo. (H.U. von Balthasar, Il tutto nel frammento pp. 232)

Vi invito, cari fratelli, dal guardarci dal non meditare una parola disincarnata dalla realtà, poiché è molto facile predicare un Vangelo che possa essere lo stesso qui nel Salvador o là in Guatemala, o in Africa… Predicare un Vangelo senza impegnarsi nella realtà non causa problemi ed è molto facile adempiere in tal modo la missione del predicatore. Ma illuminare con questa luce universale del Vangelo le nostre miserie del Salvador – e anche le nostre gioie e i nostri successi - questa è la cosa più bella della Parola di Dio, perché così sappiamo che Cristo sta parlando a noi (…).
Facciamo in modo che Cristo non si allontani dalla nostra storia. Ciò è quanto più interessa in questo momento della patria, che Cristo sia gloria di Dio, potere di Dio, e che lo scandalo della Croce e del dolore non ci faccia fuggire da Cristo, espellere la sofferenza, ma abbracciarla. (O. Romero, La violenza dell’amore pp. 66-7; 200-1)

A dire il vero ci risulta difficile credere all’elevazione fisica al cielo, allo staccarsi da terra davanti agli occhi adoranti degli apostoli; questo perché in tante occasioni Gesù ci è sembrato più quello che ha “tirato giù” Dio tra di noi, in mezzo alla melma di questo mondo, più che uno che si separa dagli uomini per ritornare a Dio. Se questo movimento “fisico” ci è di ostacolo, fatica ad essere accolto se non come mistero di fede, non interpretabile con la concretezza della nostra esperienza, è per diversi motivi.
Il primo è che tocca un nodo davvero fondamentale: la risurrezione della carne. C’è, nell’ascensione di Cristo risorto, la verità stessa della promessa di salvezza. Il secondo è l’inadeguatezza del nostro cuore, ancor più della nostra intelligenza, a comprendere il segno di questo atto. Ci sembra, infatti, che, se ci accostiamo con cuore sincero (Eb 10,22), dobbiamo sinceramente constatare le nostre continue infedeltà. Anche l’autore della lettera agli Ebrei nota che il fedele è Dio, è colui che ha promesso, quasi che la pienezza della nostra fede sia nella nostra speranza (Eb 10,23) più che delle nostre possibilità. Con l’atteggiamento umile di chi riceve un dono inaspettato e incomprensibile e immenso cerchiamo la gioia che nasce da questo nuova comunione tra Gesù, il Padre e noi tutti coi piedi per terra. (Gruppo OPG)

Cari fratelli e sorelle,
l’Anno Santo della Misericordia ci invita a riflettere sul rapporto tra la comunicazione e la misericordia. In effetti la Chiesa, unita a Cristo, incarnazione vivente di Dio Misericordioso, è chiamata a vivere la misericordia quale tratto distintivo di tutto il suo essere e il suo agire. Ciò che diciamo e come lo diciamo, ogni parola e ogni gesto dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio per tutti. L’amore, per sua natura, è comunicazione, conduce ad aprirsi e a non isolarsi. E se il nostro cuore e i nostri gesti sono animati dalla carità, dall’amore divino, la nostra comunicazione sarà portatrice della forza di Dio.
Siamo chiamati a comunicare da figli di Dio con tutti, senza esclusione. In particolare, è proprio del linguaggio e delle azioni della Chiesa trasmettere misericordia, così da toccare i cuori delle persone e sostenerle nel cammino verso la pienezza della vita, che Gesù Cristo, inviato dal Padre, è venuto a portare a tutti. Si tratta di accogliere in noi e di diffondere intorno a noi il calore della Chiesa Madre, affinché Gesù sia conosciuto e amato; quel calore che dà sostanza alle parole della fede e che accende nella predicazione e nella testimonianza la “scintilla” che le rende vive.
La comunicazione ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione, arricchendo così la società. Com’è bello vedere persone impegnate a scegliere con cura parole e gesti per superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia. Le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale. Pertanto, parole e azioni siano tali da aiutarci ad uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono ad esprimersi con messaggi di odio. La parola del cristiano, invece, si propone di far crescere la comunione e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione.
Vorrei, dunque, invitare tutte le persone di buona volontà a riscoprire il potere della misericordia di sanare le relazioni lacerate e di riportare la pace e l’armonia tra le famiglie e nelle comunità. Tutti sappiamo in che modo vecchie ferite e risentimenti trascinati possono intrappolare le persone e impedire loro di comunicare e di riconciliarsi. E questo vale anche per i rapporti tra i popoli. In tutti questi casi la misericordia è capace di attivare un nuovo modo di parlare e di dialogare, come ha così eloquentemente espresso Shakespeare: «La misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia benedizione: benedice chi la dà e chi la riceve» (Il mercante di Venezia, Atto IV, Scena I).
E’ auspicabile che anche il linguaggio della politica e della diplomazia si lasci ispirare dalla misericordia, che nulla dà mai per perduto. Faccio appello soprattutto a quanti hanno responsabilità istituzionali, politiche e nel formare l’opinione pubblica, affinché siano sempre vigilanti sul modo di esprimersi nei riguardi di chi pensa o agisce diversamente, e anche di chi può avere sbagliato. È facile cedere alla tentazione di sfruttare simili situazioni e alimentare così le fiamme della sfiducia, della paura, dell’odio. Ci vuole invece coraggio per orientare le persone verso processi di riconciliazione, ed è proprio tale audacia positiva e creativa che offre vere soluzioni ad antichi conflitti e l’opportunità di realizzare una pace duratura. «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia [...] Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,7.9).
Come vorrei che il nostro modo di comunicare, e anche il nostro servizio di pastori nella Chiesa, non esprimessero mai l’orgoglio superbo del trionfo su un nemico, né umiliassero coloro che la mentalità del mondo considera perdenti e da scartare! La misericordia può aiutare a mitigare le avversità della vita e offrire calore a quanti hanno conosciuto solo la freddezza del giudizio. Lo stile della nostra comunicazione sia tale da superare la logica che separa nettamente i peccatori dai giusti. Noi possiamo e dobbiamo giudicare situazioni di peccato – violenza, corruzione, sfruttamento, ecc. – ma non possiamo giudicare le persone, perché solo Dio può leggere in profondità nel loro cuore. È nostro compito ammonire chi sbaglia, denunciando la cattiveria e l’ingiustizia di certi comportamenti, al fine di liberare le vittime e sollevare chi è caduto. Il Vangelo di Giovanni ci ricorda che «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Questa verità è, in definitiva, Cristo stesso, la cui mite misericordia è la misura della nostra maniera di annunciare la verità e di condannare l’ingiustizia. È nostro precipuo compito affermare la verità con amore (cfr Ef 4,15). Solo parole pronunciate con amore e accompagnate da mitezza e misericordia toccano i cuori di noi peccatori. Parole e gesti duri o moralistici corrono il rischio di alienare ulteriormente coloro che vorremmo condurre alla conversione e alla libertà, rafforzando il loro senso di diniego e di difesa.
Alcuni pensano che una visione della società radicata nella misericordia sia ingiustificatamente idealistica o eccessivamente indulgente. Ma proviamo a ripensare alle nostre prime esperienze di relazione in seno alla famiglia. I genitori ci hanno amato e apprezzato per quello che siamo più che per le nostre capacità e i nostri successi. I genitori naturalmente vogliono il meglio per i propri figli, ma il loro amore non è mai condizionato dal raggiungimento degli obiettivi. La casa paterna è il luogo dove sei sempre accolto (cfr Lc 15,11-32). Vorrei incoraggiare tutti a pensare alla società umana non come ad uno spazio in cui degli estranei competono e cercano di prevalere, ma piuttosto come una casa o una famiglia dove la porta è sempre aperta e si cerca di accogliersi a vicenda.
Per questo è fondamentale ascoltare. Comunicare significa condividere, e la condivisione richiede l’ascolto, l’accoglienza. Ascoltare è molto più che udire. L’udire riguarda l’ambito dell’informazione; ascoltare, invece, rimanda a quello della comunicazione, e richiede la vicinanza. L’ascolto ci consente di assumere l’atteggiamento giusto, uscendo dalla tranquilla condizione di spettatori, di utenti, di consumatori. Ascoltare significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune.
Ascoltare non è mai facile. A volte è più comodo fingersi sordi. Ascoltare significa prestare attenzione, avere desiderio di comprendere, di dare valore, rispettare, custodire la parola altrui. Nell’ascolto si consuma una sorta di martirio, un sacrificio di sé stessi in cui si rinnova il gesto sacro compiuto da Mosè davanti al roveto ardente: togliersi i sandali sulla “terra santa” dell’incontro con l’altro che mi parla (cfr Es 3,5). Saper ascoltare è una grazia immensa, è un dono che bisogna invocare per poi esercitarsi a praticarlo.
Anche e-mail, sms, reti sociali, chat possono essere forme di comunicazione pienamente umane. Non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione. Le reti sociali sono capaci di favorire le relazioni e di promuovere il bene della società ma possono anche condurre ad un’ulteriore polarizzazione e divisione tra le persone e i gruppi. L’ambiente digitale è una piazza, un luogo di incontro, dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o un linciaggio morale. Prego che l’Anno Giubilare vissuto nella misericordia «ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione» (Misericordiae Vultus, 23). Anche in rete si costruisce una vera cittadinanza. L’accesso alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che non vediamo ma è reale, ha la sua dignità che va rispettata. La rete può essere ben utilizzata per far crescere una società sana e aperta alla condivisione.
La comunicazione, i suoi luoghi e i suoi strumenti hanno comportato un ampliamento di orizzonti per tante persone. Questo è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”. L’incontro tra la comunicazione e la misericordia è fecondo nella misura in cui genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce, accompagna e fa festa. In un mondo diviso, frammentato, polarizzato, comunicare con misericordia significa contribuire alla buona, libera e solidale prossimità tra i figli di Dio e fratelli in umanità. (Papa Francesco, Messaggio per la 50ma GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo - Dal Vaticano, 24 gennaio 2016)

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