Michele Antonio Corona, "Santissimo Corpo e Sangue di Cristo"

Commento su Luca 9,11-17
Michele Antonio Corona
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (29/05/2016)
Vangelo: Lc 9,11-17 
L'inizio della pericope sottolinea il primo e fondamentale ruolo di Gesù nell'economia della salvezza:
annuncio e guarigione. I due aspetti non sono separabili, ma l'uno illumina e corrobora l'altro con particolare fecondità. Il Cristo unisce parole sul Regno all'opera taumaturgica tipica di Dio.
Il guarire sembra essere molto più ampio della sola sfera fisica, dal momento che più volte il maestro parla di "essere venuto per i malati e non per i sani" con riferimento al bisogno della conversione. Pertanto, il guarire rivela la tensione escatologica del Messia per l'uomo e, ancor più, per il peccatore. Il Regno di Dio viene presentato come imminente, vicino, e addirittura già presente; ne sono testimonianza tangibile le guarigioni. Tuttavia, non sono i miracoli a determinare l'instaurazione della novità evangelica. Essi sono il segnale, la bandiera, il cartello indicatore dell'opera di Dio, che si fa concreta e vicina all'uomo.
In questo episodio, non si tratta di guarire qualcuno in particolare ma di sfamare molti, moltissimi. Il ricorrere del cinque (cinque pani, a gruppi di cinquanta, cinquemila uomini) non può essere casuale, in una visione in cui i cinque libri della Torah rappresentano il fulcro della rivelazione. Mentre i discepoli si agitano per l'impossibilità di sfamare le tante persone accorse alla voce del Maestro, questi si occupa di loro e del fatto che "il sole declina sui loro bisogni". Forse anche l'essere sfamati fa parte di quel bisogno di cure presentate a Gesù dalle molte persone che accorrono a lui. Esse non si vergognano dei loro bisogni e non temono di rivelarsi a lui e a se stesse non complete. Aver bisogno è sinonimo di non essere sufficienti, di aver bisogno dell'altro, di sentirsi parte di una relazione che ci supera, trascende e completa.
Nella zona deserta Gesù opera un prodigio che sembra ricordare il dono della manna esodale. In una zona deserta vengono moltiplicati non solo i pani, ma anche i pesci. Il riferimento alla grande liberazione sembra duplice: manna e mare, forse di acqua dolce. Quello che ai discepoli sembra insufficiente, per Gesù è la materia prima dell'opera salvifica. Come Dio usò il materiale più usuale per formare l'uomo, argilla, così Gesù utilizza il pasto più comune per far gustare il Regno di Dio. Inoltre, il pane sarà il grande protagonista dell'ultima cena e il pesce diventerà il simbolo privilegiato per parlare di Gesù Cristo figlio di Dio salvatore nella testimonianza della Chiesa primitiva.
Il riferimento all'ultima cena si fa più pressante a partire dall'espressione della benedizione sul pane. L'abbondanza del dono e della grazia è ribadita dagli avanzi che vengono computati in dodici ceste, oltre la sazietà dei convenuti.
Oggi quanti pregano per avere il pane quotidiano? Quanti di noi si preoccupano di poter sfamare i propri figli? Quanti non recedono dall'occupazione di dare il necessario ai propri familiari? Gesù non è disinteressato a queste problematiche. Non lo è stato e non lo è! Ma chiede a noi, credenti, di impegnarci per rendere ciò nuovamente attuale. Non possiamo aspettare ad un nuovo intervento miracoloso di Dio, come se noi non fossimo "corpo di Cristo": lo siamo come Chiesa! "Voi stessi date loro da mangiare" è compito per l'oggi e non solo una frase ormai bimillenaria

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