MONASTERO MARANGO,"Gesù è il segno della presenza misericordiosa del Padre"

10° Domenica del Tempo Ordinario (anno C)
Letture: 1Re 17,17-24; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17
Gesù è il segno della presenza misericordiosa del Padre
1)Erano ben conosciuti nella Chiesa primitiva i racconti di risurrezione operati dai profeti Elia ed
Eliseo: non c’è da stupirsi se questi racconti hanno potuto in qualche modo influire sulla narrazione lucana. L’intento dell’evangelista, che accosta Elia a Gesù, è di indicare la superiorità di quest’ultimo. Il miracolo narrato nel brano di questa domenica manifesta la venuta di Dio fra gli uomini, la sua compassione, il suo amore misericordioso, divenuto visibile nei gesti del Salvatore verso tutti i piccoli, i bisognosi, i deboli.

In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Ho potuto visitare più volte il villaggio di Nain, nella valle di Esdrelon, tra la città di Afula e il monte delle beatitudini. E’ un villaggio musulmano, con una chiesetta disadorna, custodita da una famiglia del posto. Il piccolo altare è interamente coperto da immaginette religiose di ogni tipo. Sembra che in quel luogo la presenza di Gesù che dà vita anche ai morti sia solo un ricordo lontano, consegnato alla devozione di qualche pellegrino di passaggio.
Luca vuol collegare l’episodio a quanto ha narrato precedentemente: l’efficacia della parola di Gesù aveva risanato un uomo sul punto di morire (cfr. Lc 7,2), e ora risuscita un uomo morto.
Gesù opera pubblicamente, davanti ad una grande folla, che rappresenta tutto Israele, e dinanzi ai discepoli, testimoni della futura comunità post-pasquale.

Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Un corteo funebre sta uscendo dalla porta della città. E’ sera mentre ci si avvia alla sepoltura. C’è molta folla che accompagna la bara, tutta unita in un comune dolore E’ morto un giovane «unico figlio di una madre rimasta vedova». Questa donna è rimasta sola, senza protezione e senza un aiuto economico.

Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e disse: «Non piangere!».
In mezzo a tanta folla, sembra che Gesù veda solo questa donna, impietrita dal dolore. Per la prima volta l’evangelista usa il termine di «Signore» per indicare Gesù. Egli non è solo un profeta potente in parole e in opere. Nella fede della Chiesa primitiva Gesù è il Risorto, il Signore della vita che incontra la potenza della morte, sconfiggendola. Gesù non accetta la sofferenza, di fronte alla quale si commuove profondamente. Per dire questa realtà l’evangelista usa un verbo che farà ancora risuonare in due parabole: quella del buon samaritano (cfr. Lc 10,33), e quella del figliol prodigo (cfr. Lc 15,20).
Nella Scrittura ci sono molti modi e molte espressioni per indicare la compassione di Dio e degli uomini di fronte alle miserie umane, ma questo verbo nei vangeli esprime sempre la commozione di Dio e del suo inviato Gesù. Il verbo assume un valore che supera il semplice sentimento naturale di Gesù: in esso si riflette la compassione di Dio per il suo popolo, la misericordia del Padre nei confronti dei suoi figli, la tenerezza che manifesta il vero volto della divinità.

Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!».
Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Il libro dei Numeri decretava: «Chi avrà toccato il cadavere di qualsiasi persona, sarà impuro per sette giorni» (Nm 19,11.16). Gesù non teme di contrarre l’impurità rituale e si avvicina al morto, toccandolo. Gli ordina di alzarsi. La potenza della parola di Gesù supera i gesti di Elia ed Eliseo, profeti in Israele. E il giovanetto si siede e parla, segno del ritorno alla vita. Gesù lo dona a sua madre, manifestando ancora la sua particolare attenzione a questa donna.

Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo».
La folla, testimone del ritorno alla vita del ragazzo che era morto, vede in Gesù «un grande profeta» simile ad Elia, con potere sulla morte. Il popolo non è più orfano di parole e di presenza profetiche, perché in Gesù «Dio ha visitato il suo popolo» (Lc 1,68).

Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Dovremmo tradurre letteralmente: «questa parola su di lui». Il racconto del miracolo si diffonde ovunque. Gesù è il segno della presenza misericordiosa del Padre, di un Dio che non ha creato la morte, ma che è il Signore della vita. In ogni uomo che muore, muore Dio stesso. Ogni volta che la vita riporta la vittoria, Dio è vittorioso.
L’incontro con la sofferenza e la morte è un’esperienza quotidiana, conosciuta da ciascuno di noi. Ma la sofferenza, la malattia e la morte, non sono volontà di Dio. Tutta la storia biblica testimonia la volontà liberatrice di Dio, fin da quando è «sceso» per liberare il suo popolo dalla dura schiavitù dell’Egitto. Gesù è preso da «grande compassione» di fronte al pianto di tante persone e al dolore di troppi innocenti. E reagisce guarendo, donando forza e speranza, restituendo la vita ai morti.
C’è da domandarsi perché certi cristiani, di fronte al dolore e alla morte, alle vittime di tante tragedie, continuano a sussurrare senza vergognarsi, e nell’assoluta mancanza di responsabilità e di vicinanza fraterna e solidale : «Occorre fare la volontà di Dio!».
Chi dice così vive di una religiosità alienante e malata, che non conosce l’amore di Dio, la sua compassione per l’uomo, la sua esistenza interamente donata perché ogni creatura possa gustare la pienezza della vita.

Giorgio Scatto
Fonte:MONASTERO MARANGO, CAORLE (VE)

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