mons. Roberto Brunelli"Compassione, ovvero un altro nome dell'amore"

Compassione, ovvero un altro nome dell'amore
mons. Roberto Brunelli
X Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/06/2016)
Vangelo: Lc 7,11-17 
Dopo il periodo pasquale e le due domeniche ad esso collegate, il corso normale delle celebrazioni
riprende - leggendo il vangelo prevalente quest'anno, cioè quello secondo Luca - con un episodio permeato di commozione. Esso avviene in un villaggio della Galilea, Nain, tanto modesto che, se non fosse per quanto Gesù vi ha fatto, probabilmente non ne sarebbe stato neppure tramandato il nome.
Gesù vi si sta recando, insieme con gli apostoli e altri seguaci; è ormai alle prime case del villaggio, quando incontra un funerale. Scrive Luca (7,11-17): "Veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova, e molta gente era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: 'Non piangere!'"
C'era davvero di che compatire quella povera donna, e non solo perché per una madre la morte di un figlio è il dolore più grande che le possa capitare, ma anche perché all'epoca una vedova senza figli era una povera sventurata, priva di sostegni e tutele sociali (si ricorderà che in un altro passo Gesù rimprovera i farisei perché, pur rispettando formalmente la legge, "divorano le case delle vedove"). E commuove la sensibilità di Gesù, che come in altre occasioni non aspetta di esserne richiesto per intervenire. Nel caso di Nain, "Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: 'Ragazzo, dico a te, àlzati!' Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre".
Luca non riferisce, forse perché ovvia, la gioia di quella madre; annota però la reazione dei presenti. Verosimilmente ricordando il caso analogo di cui narra la storia del grande profeta Elia (prima lettura, 1Re 17,17-24), quanti assistono alla risurrezione del ragazzo di Nain ritengono Gesù un nuovo Elia; perciò "furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: 'Un grande profeta è sorto tra noi; Dio ha visitato il suo popolo'". Vedono cioè, nel miracolo, l'opera di Dio. Chissà se vi hanno visto anche quello che può muovere oggi il lettore del vangelo: intendo, Gesù come modello di comportamento per chi vuole essere suo seguace. Non nel senso del fare miracoli: Gesù non pretende dai suoi che risuscitino i morti, o risanino i malati all'istante, o moltiplichino pani e pesci; piuttosto, secondo l'esempio di Nain li invita alla compassione. Di fronte alle tante sventure che affliggono l'umanità, e in particolare quelle che colpiscono quanti siamo in grado di soccorrere, al di là di qualche fugace rincrescimento noi siamo spesso anestetizzati nell'indifferenza. E pensare che a volte basta poco a dare sollievo; a volte basta dimostrare attenzione, partecipazione, compassione. Potremmo provare a dare il vero senso al verbo compatire, che non è quello sprezzante che rileva i difetti altrui ("ti compatisco perché sei ignorante") ma è il "patire con", il farsi solidale con chi è in difficoltà. L'autentica compassione è un altro nome dell'amore, e lasciarsene permeare, per poi espanderla là dove occorre, non è cosa da poco.
Vale tutta l'attenzione di cui si è capaci anche la seconda lettura, tratta dalla lettera di Paolo ai Gàlati. Nel brano odierno (1,11-19) l'apostolo spiega e commenta la propria conversione: "Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti". Miracoli della grazia! Da persecutore ad apostolo, da nemico al più incisivo dei seguaci, e consapevole di essere, sin da prima di nascere, nella mente di Dio. Serviranno le sue parole a scuotere la nostra indifferenza?

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