Mons.Antonio Riboldi, "Il cielo è sempre aperto"

Il cielo è sempre aperto
mons. Antonio Riboldi
X Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 
Vangelo: Lc 7,11-17 
Quando venne chiesto a Gesù quale era il più grande dei comandamenti, quello cioè che non si
poteva eludere con facilità e senza compromettere seriamente il rapporto di amicizia con Dio (quindi la propria onestà interiore), Lui ripropose la legge dell'amore verso Dio prima, e allo stesso modo verso il prossimo. Ogni uomo che ha fede vera, che vive con umiltà il suo ruolo di creatura, la cui vita è nelle mani del Creatore che ha cura di noi come un Padre, non mette in discussione la propria dipendenza e quindi l'amore verso Dio.
Ma chi è il prossimo da amare allo stesso modo e perché? E Gesù spiega, con l'arte del maestro che forma le coscienze alla verità, come farsi prossimo, nella parabola del buon Samaritano, narrando la storia dell'uomo, di ogni uomo che è chiamato da Dio a compiere una strada da Gerusalemme a Gerico. E su quella strada gioca tutto se stesso.
È nello stile del Vangelo, e in genere della Sacra Scrittura, presentare con poche pennellate un fatto, che immette in dimensioni, che hanno poco a che vedere con la cronaca delle cose che siamo abituati a narrare e leggere noi uomini. Ma la Parola di Dio, per sua natura, nulla ha a che fare con la nostra parola, che assomiglia tante volte ad un chiacchiericcio, con tanto rumore e poco senso.
Nel Vangelo il punto focale è sempre Gesù, attorniato da noi, ‘le folle'.
E' la stupenda visione di un Dio che in Gesù non sta fermo a badare a se stesso, indifferente agli uomini, ma è sempre in cammino, circondato dai suoi Discepoli, che Lui ha chiamato per poi mandarli nel mondo in suo nome.
La strada diventa la Sua casa, il luogo dove è certo di incontrare ogni uomo. Fa esperienza delle gioie e delle speranze, delle sofferenze e delle ansie di tutti. Sente profondamente che il Padre ama tanto il mondo da mandarlo tra gli uomini perché tornino ad essere ‘Sua vigna', Suo popolo.
E si protende verso ogni povertà con cuore ineffabile e irripetibile, pronto a piantare la tenda dell'Amore tra gli uomini, a cogliere l'occasione delle miserie e delle sofferenze che affiorano e si fanno incontro a Lui.
In questo ‘camminare' sulle vie della nostra storia, un giorno si reca in una città chiamata Nain. Facevano la strada con lui i Discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che vide portare al sepolcro il figlio unico di una vedova.
Molta gente della città era con la povera donna. "Vedendola, il Signore, ne ebbe compassione e le disse: "Non piangere!". E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: "Giovinetto, dico a te, alzati!". Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed Egli lo diede alla madre» (Lc 7, 11-17).
Anche oggi non è raro vedere portare alla sepoltura giovani. O per malattia che stronca inesorabilmente senza contare gli anni, o per sempre più irragionevoli morti cercate nella follia della droga o della ‘febbre del sabato sera', o addirittura nel suicidio.
Nessuno si abitua a questi drammi. Ogni morte di giovane, per qualunque motivo, scuote la coscienza di tutti. Giovinezza ha il significato di pienezza di vita; di possibilità di utopie e sogni; di fantasie, di meraviglia da costruire: vocazioni tutte da spendere.
Si nota nei funerali dei giovani una partecipazione che difficilmente si ha per altre età.
E su tutti cala una tristezza che sconfina nella disperazione. Difficile dire parole in quella circostanza. Mai come in questi momenti la vita viene esaltata.
A Nain si incontrano due folle: quella che accompagna Gesù, che cercava la sofferenza dell'uomo per farla sua fino a dare un perché non solo alla sofferenza, ma a tutto ciò che è l'uomo nella mente e nel cuore del Padre. E la folla che accompagna il feretro, che sembrava la somma di tante disgrazie, diremmo noi, che si sono date appuntamento sulla stessa famiglia: ‘la madre vedova', ‘il figlio unico'. Il dolore qui si era fatto abisso che chiudeva anche il minimo spiraglio alla speranza.
Gesù intuisce che lì, dove l'uomo faceva esperienza della terribile, insopportabile sofferenza di vedersi tutto contro, persino il Cielo, occorreva piantare solidi ‘paletti' alla tenda del Padre che è tra gli uomini anche quando pare che tutto sia contro.
E compie l'incredibile, ossia compie gesti che appartengono a Dio con la semplicità della Sua onnipotenza: ferma il corteo, ordina al giovinetto di alzarsi e lo riconsegna alla madre.
Così la speranza dell'uomo ritrova il suo posto e gli uomini dal profondo di questa valle di lacrime possono guardare ad un Cielo che non è contro, ma è aperto. E non per una volta sola, ma sempre perché ‘un grande Profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo'.
Dio cammina ancora oggi sulle nostre strade, dove si avvicendano funerali di giovani e funerali di speranze.
Nel profondo dolore non conosciamo le ragioni dell'Amore, ma tutti siamo chiamati a sperimentare la presenza viva di Gesù.
In ogni dolore Egli ci è al fianco e ci ripete, come al giovinetto: ‘Dico a te, alzati!' e ci ridona, come alla madre, la speranza.
Ma anche ci chiede di essere capaci di compassione verso chi soffre, di saper entrare in relazione con un atteggiamento premuroso e delicato, diventando una consolazione per loro, come Gesù lo è per noi. La presenza di Gesù nella nostra vita ci dà la certezza che l'Amore sempre salva.
Il Cielo è sempre aperto.

Commenti

Post più popolari