Chiesa del Gesù - Roma, "Perdere la vita per ritrovarla"

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Zc 12,10-11;13,1; Sal 62; Gal 3,26-29; Lc 9,18-24
La parola di Zaccaria è rivolta a un popolo di ritorno dall’esilio, a una nazione che si sente
scoraggiata.

Nel cuore, la speranza di una restaurazione gloriosa del regno, è scomparsa.

Gerusalemme è soltanto un piccolo capoluogo dell’immenso impero persiano ed Israele una piccola nazione in mezzo ai grandi imperi che ne dispongono un po’ a piacimento.

Nonostante tutto però il piano di Dio non è vano: Dio è al di sopra di tutti gli imperi umani, e dopo aver mosso gli ultimi assalti contro il male, consacrerà tutti gli uomini al vero culto.

I cataclismi che sconvolgono l’umanità non rappresentano ancora la fine: la fine è Dio presente in mezzo all’umanità.

Il brano di oggi, posto verso la fine del libro, dice che nella restaurazione finale tutti gli abitanti di Gerusalemme saranno animati da un senso di pentimento; riconosceranno la loro colpevolezza e si apriranno allo Spirito.

Sarà questo il tempo della vera conversione; così la sofferenza sarà sorgente di salvezza.

Il Trafitto, di cui parla il profeta, è un uomo straordinario, intimamente unito al Signore, che viene messo a morte ed è pianto da tutto Israele.

Dalla sua morte però scaturisce la purificazione di Gerusalemme e dei suoi abitanti, con la conseguente scomparsa dei falsi profeti e di ogni forma di idolatria.

Paolo invece annuncia che la fede in Cristo e il battesimo rendono il cristiano un tutt’uno con Gesù e perciò figlio di Dio.

L’economia della fede comporta una liberazione e questa liberazione si contrappone alle differenze tra gli uomini: il cristiano, infatti, forma un tutt’uno anche con gli altri cristiani.

Il battezzato è radicalmente trasformato nell’immagine del Cristo, ne è l’espressione visibile: Cristo è tutto in tutti.

Se la Legge distingue tra greci e giudei, tra liberi e schiavi, tra uomini e donne, per la fede esiste l’uomo, come creatura amata da Dio e fatta a sua immagine e somiglianza.

Il battezzato ha come fondamento della sua vita la stessa mentalità di Cristo, cioè lo stesso amore che accende la concordia.

Nel vangelo i discepoli si confrontano con la mentalità nuova del Maestro.

Alla domanda di Gesù rispondono con i criteri che abitano il loro cuore: riconoscono in Lui, il Messia atteso dai profeti e indicato da Giovanni.

Pietro confessa così la sua fede ma il tempo della piena rivelazione non è ancora arrivato.

I discepoli devono ancora scoprire molto del mistero di Gesù, il cambio di mentalità deve passare attraverso l’esperienza del fallimento: attraverso la passione e la morte del Maestro, per aprirsi alla novità della risurrezione.

Solo questa crisi metterà in piena luce la verità di questo Messia e permetterà un salto di qualità nella comprensione della sua mentalità.

Gesù parla apertamente della via della Croce che egli sta per intraprendere.

La Croce non è semplicemente la solitudine, né il rifiuto, né il martirio, ma è la solitudine per la verità, la solitudine di una persona che ama sino all’estremo.

Questo è il volto del Messia. Questi sono i sentimenti del cuore di Dio.

La via del discepolo dovrà modellarsi su quella del Maestro: il discepolo si caratterizza per la sequela, cioè nel percorrere dietro a Gesù la stessa via.

Luca, però, non dice che queste parole di Gesù sono rivolte ai discepoli, ma a tutti.

La via della Croce è la via dell’esistenza cristiana, di tutti e non solo di alcuni all’interno del popolo di Dio.

Luca precisa che occorre prendere la croce «ogni giorno».

la sequela di Gesù – proprio nei suoi aspetti di radicale disponibilità – deve essere vissuta nelle condizioni normali e quotidiane.

L’amore ostinato e fedele, che sa giungere fino al dono supremo, deve essere lo spirito che anima tutte le scelte, anche le più comuni.

Anche per la croce non dobbiamo affannarci e preoccuparci per quella di domani: la croce va vissuta nell’oggi, confidando sempre nell’amore di Dio che ci dà la grazia “ogni giorno” di sopportarla e portarla con Lui.

Gesù precisa che il discepolo deve «rinnegare se stesso», cioè capovolgere la propria mentalità e il proprio progetto di esistenza.

Non più un’esistenza pensata nella linea della conservazione di sé, bensì un’esistenza progettata nella linea del dono di sé.

È questa la legge del «perdersi» per «ritrovarsi».

Questa frase – che riassume sia il discorso della Croce che della via del discepolo – non deve essere letta come abbandono delle cose materiali a vantaggio delle realtà spirituali; e neppure come un dono della vita presente per possedere la vita futura.

Luca ha una visione più globale e unitaria: la conservazione di sé – a dispetto delle apparenze – è un perdere la vita già ora quaggiù, mentre l’aprirsi e il donarsi sono un trovare la vita – la vita vera – già ora, nell’esistenza quotidiana.

Il perdere la vita per ritrovarla è nella linea dello svuotamento; è nella linea dell’amore che non cerca nulla per sé ma solo il bene dell’amato.

L’amore, infatti, – di sua natura – non può essere che un perdersi, per ritrovarsi nella pienezza dell’altro.

Fonte:chiesadelgesu.org

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