Don Attilio GIOVANNINI sdb"Io sono risurrezione"

5 giugno 2016 | 10a Domenica T. Ordinario - Anno C | Spunti per la Lectio
Io sono risurrezione
Secondo l'Antico Testamento i defunti finivano nello sheol, il regno delle ombre, e stop.

Solo molto tardivamente comincia a farsi strada in Israele un'idea di risurrezione. La prima chiara testimonianza di tale idea la troviamo nel capitolo finale (cap 12) di Daniele, che come sappiamo, data a poco più di 150 anni prima di Cristo.
D'altra parte era intuitivo che il Dio dell'Alleanza non poteva lasciare nell'abisso della morte i suoi fedeli, specialmente quelli che per lui avevano dato la vita come martiri della fede. Dunque sarebbero risorti.
Ciò che ancora rimaneva da capire era come si configurasse la vita dei risorti. Certo non poteva essere un puro e semplice prolungamento della vita fisica di quaggiù. Ma com'era allora?
E poi c'era da determinare il quando questa risurrezione generale doveva aver luogo.
A questo proposito però era diventata comune convinzione che alcuni personaggi erano già ora vivi con Dio, come per esempio i patriarchi Abramo Isacco Giacobbe, i profeti Elia Eliseo Baruc Esdra Mosè... e infine pure Giovanni battista.
Ora, in questo contesto la risurrezione del figlio della vedova (come della figlia di Giairo e soprattutto di Lazzaro) fanno intravedere l'approssimarsi del tempo della risurrezione finale, l'avvicinarsi della venuta del Dio della vita, il "dio che fa vivere i morti". Non per nulla la gente che assiste al fatto qui a Nain esclama:

* Dio ha visitato il suo popolo!

Questi prodigi infatti, assieme ai ciechi che vedono, i sordi che odono, gli storpi che camminano... sono i segni di riconoscimento dell'inviato di Dio, venuto a portare il suo Regno. Il segno che l'anno di grazia è cominciato (e non finirà più). Il segno che Dio ha avuto compassione del suo popolo. La povertà, il dolore, l'infermità, la morte lo commuovono sempre e perciò viene a cambiare le cose.
Dio ci visita senza richiesta, senza contropartita, per pura bontà. Previene la nostra preghiera e ci salva dalla morte senza aspettare che sospiriamo la sua pietà. Anzi, ce ne libera prendendola su di sé, morendo con noi e come noi. È interessante che anche lui è figlio unigenito, anche lui condotto alle porte della città, anche lui morto/destato che parla...
Questa sovrimpressione di Gesù sul figlio della vedova allude senz'altro alla sua morte/ risurrezione, con cui lui si è identificato con noi, affinché noi potessimo identificarci con lui. Se seguendolo e amandolo ci facciamo partecipi del suo percorso, anche la nostra morte sarà risurrezione = passaggio diretto alla gloria e alla vita col Padre. Anche la nostra morte sarà vero inizio della vita eterna in seno a Dio con Gesù. Non per nulla san Paolo chiama Gesù "il primogenito dei morti".
Ma questo non significa immediatamente che anche i nostri defunti sono vivi, più vivi che mai, più vicini a noi di prima? E dunque giustamente Gesù dice alla donna:

* Non piangere!

poiché la morte non solo non ha annullato tuo figlio, ma l'ha introdotto nella vita piena, illimitata, in contatto vivo con te e con tutti in una spirituale fraternità.
Ma allora, se noi facciamo festa a Pasqua per Gesù che è morto, non dobbiamo fare festa anche per i nostri cari che sono morti? Qual è la differenza? Infatti nella liturgia dei defunti non tralasciamo di cantare l'Alleluia, tipica acclamazione pasquale, né di mettere tanti fiori, classico contrassegno di festa. E addirittura incensiamo il defunto, come riconoscimento che è già entrato nella santità di Dio.
In questo orizzonte poi la nostra vita terrena acquista una grande serietà e valore: in essa si gioca il nostro destino eterno! In essa c'è di più di quanto appare. Siamo portatori di realtà che hanno valenza ultraterrena, che costruiscono già il mondo che viene.
Decisamente dobbiamo abituarci a guardare più avanti, per essere più realistici e positivi. E tenere alta la speranza in questo mondo che muore.

Don Attilio GIOVANNINI sdb
Fonte:  www.donbosco-torino.it

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