Don Marco Ceccarelli«Guarderanno a me, colui che essi trafissero»

XII Domenica Tempo Ordinario “C” – 19 Giugno 2016
I Lettura: Zc 12,10-11; 13,1
II Lettura: Gal 3,26-29
Vangelo: Lc 9,18-24
- Testi di riferimento: 2Re 23,29-30; Sal 2,1-2; 89,21.27-28; 118,22-23; Is 55,8; Ger 6,29-30; Mt
5,13; 21,42; Lc 2,11; 12,9; 17,25.33; 20,17; 22,57; Gv 12,24; 15,16; 19,37; At 2,36; 4,11; 14,,22;
1Cor 1,23-24.27-28; 15,31; Eb 12,17; 1Pt 2,4-8; Ap 1,7
1. Prima lettura: il “trafitto”. Il testo della prima lettura odierna è alquanto particolare e enigmatico.

Dio, parlando al popolo attraverso il profeta, afferma di essere stato trafitto dagli abitanti di Gerusalemme:
«Guarderanno a me, colui che essi trafissero» (v. 10). Il verbo “trafiggere” (daqar) significa
trapassare il corpo con un arma da taglio, al fine di uccidere; e nell’Antico Testamento ha sempre
(tranne, forse, in questo caso) un significato reale, non metaforico. È dunque abbastanza sorprendente
che il termine sia applicato a Dio. L’enigmaticità aumenta poi perché Dio stesso dice che il
lamento funebre si farà «su di lui», cioè su di una terza persona, senza specificazioni. Il v. 11 paragona
tale lamento a quello che fu fatto sul re Giosia, un re della casa di Davide che fu molto importante
per la riforma religiosa dei giudei. Il re di Giuda, e in particolare chi era fedele al Signore, era
considerato da Dio come suo figlio prediletto (1Sam 7,14; Sal 2,7), come suo “primogenito” (Sal
89,27-28). Possiamo dunque azzardare un’interpretazione di questo genere: il popolo di Giuda ha
“trafitto” Dio con le sue trasgressioni all’alleanza e questo male è ricaduto sul prediletto di Dio, sul
suo “figlio”. Però Dio, nonostante ciò, darà loro la grazia di “guardare a Lui” nuovamente, cioè di
convertirsi; e questo produrrà una salvezza a favore del popolo stesso. Dal male degli uomini Dio è
capace di trarne un bene, una salvezza per essi.
2. Il Vangelo.
- L’unto di Dio. Nel brano di Vangelo odierno ci troviamo al momento in cui, dopo un certo periodo
di ammaestramento nei confronti dei suoi discepoli, Gesù ora chiede loro di identificarlo; chiede loro
cosa essi hanno capito di lui. All’inizio del suo ministero Gesù aveva proclamato che in lui si
stava realizzando la profezia: «Lo Spirito del Signore … mi ha unto (echrisen) per evangelizzare i
poveri …» (Lc 4,18; Is 61,1). E da quel momento Gesù mostrerà con le sue opere che egli è veramente
l’Unto, il Cristo, il Messia, il consacrato del Signore per compiere la missione di salvezza in
favore degli uomini. Così Pietro, dicendo «Tu sei il Cristo di Dio» (Lc 9,20), riconosce in Gesù – e
non è per nulla scontato – quella figura salvifica, quel “figlio di Davide” annunciato dai profeti e atteso
dalla fede ebraica come il portatore della redenzione definitiva. L’affermazione di Pietro ha
perciò un rilievo di fede veramente eccezionale. Lui è il primo ad avere capito qualcosa dell’identità
profonda di Gesù. È lui il primo a chiamarlo “Cristo”; e quindi a dirci che Gesù non può essere considerato
alla stregua dei grandi uomini del passato, ma è qualcosa di più. E tuttavia ancora non abbiamo
detto tutto. Così Gesù deve chiarire bene in che senso egli è il Messia, affinché non rischiamo
di prendere fischi per fiaschi. Infatti Gesù sarà un Messia rifiutato.
- Il rifiuto. Il verbo “rifiutare” (apodokimazo) che appare nel v. 22 indica qualcosa che, dopo essere
stata provata, collaudata, esaminata, viene gettata via perché giudicata inutile, inadatta. Nell’Antico
Testamento (vedi testi di riferimento) si dice di Dio che rigetta il suo popolo perché Egli è stato da
essi rigettato. Nel Nuovo Testamento l’oggetto del rifiuto è Cristo. Egli è stato considerato inutile
da Israele, come una pietra che messa alla prova viene buttata via perché inadatta per essere usata
nella costruzione di un edificio. Però i “costruttori” hanno commesso un errore di valutazione, perché
Dio ha fatto di questa pietra addirittura la testata d’angolo (Lc 20,17). Ciò significa che i criteri
di valutazione di Dio sono diversi da quelli degli uomini (Is 55,8). La croce di Cristo si presenta
come l’inutilità per eccellenza, l’assurdità più totale. A che serve un messia che viene messo in croce?
Chi può salvare uno che non sa salvare neppure se stesso? Davanti a Gesù che si consegna volontariamente
alla morte, senza resistere al male, gli apostoli scappano, lo abbandonano, perché non
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capiscono a che serve andare a finire in croce (cfr. Mt 16,22). Gli apostoli “pensano” alla maniera
umana e non secondo Dio (Mt 16,23). Anche per Israele la morte in croce di Cristo è la prova che
lui non è il messia.
- La valutazione divina. Qual è invece il modo di pensare di Dio? Egli ha scelto ciò che nel mondo è
disprezzato, rifiutato, che non vale, per confondere i sapienti di questo mondo (1Cor 1,27). Dio ha
scelto ciò che è apparentemente inutile per salvare il mondo. Per poter capire il piano di Dio, il suo
disegno, il suo “pensiero” occorre entrare con Cristo nella stoltezza della croce, abbandonare lo spirito
del mondo e ricevere lo Spirito di Dio; accettare di essere anche noi pietre rigettate come Cristo
dal mondo, per essere pietre vive scelte da Dio (1Pt 2,4ss.). Occorre “rinnegare se stessi” per non
rinnegare Cristo. Anche se Pietro lo ha confessato come il Messia, nel momento della passione lo
rinnegherà (Lc 22,57). Se moriamo con Cristo vivremo con lui, se lo rinneghiamo anche egli ci rinnegherà
(2Tm 2,11-12), perché se non accettiamo di seguire le sue orme siamo un sale che ha perso
il sapore e che viene gettato via (Lc 14,34-35).
- Perdere la vita a causa di Cristo (v. 24). La nostra vita è destinata a perdersi. L’uomo fa tanti sforzi
per salvare più che può la propria vita: cerca di mantenersi giovane, in salute, di avere beni che gli
consentano di prolungare nel migliore dei modi la sua esistenza. Di fatto tutti questi tentativi di conservazione
non portano a nulla. Chi vuole conservare la vita, in qualsiasi modo lo faccia, non ci riuscirà.
Il motivo è semplice: perché la vita non è fatta per essere conservata, ma per essere spesa.
Come il seme non è fatto per essere conservato, ma per essere gettato nel campo e in un certo senso
perduto, affinché porti frutto, così la nostra vita. Non serve volersi risparmiare per mantenere la
propria vita; in questo modo essa si perderà inutilmente. Il termine “vita” ha un senso globale, esistenziale,
nel suo insieme. Si risparmia la vita quando non si vuole perdere tempo per gli altri,
quando non si vuole perdere la propria giovinezza, la bellezza, i soldi, per amare. Si tenta di conservare
la vita quando diciamo che non possiamo sposarci subito perché dobbiamo pensare prima alla
carriera, e se poi magari arriva un figlio quello mi toglie tempo per studiare, per fare soldi, per divertirmi.
Ci vogliamo risparmiare quando non vogliamo faticare per migliorare le nostre possibilità
di servire gli altri, magari studiando. Noi non siamo fatti per risparmiarci, per vivere borghesemente
pensando a riposarci, a fare meno fatica possibile, a non avere problemi, a non crearci disturbi magari
avendo figli. Non è questo il senso della vita umana. L’uomo è fatto per amare e amare implica
il perdere se stesso. Soltanto il chicco caduto in terra e che si lascia morire porta frutto (Gv 12,24).
Tanto più se è fatto “a causa di” Cristo (v. 24). Questo ha due significati: 1) Perdere la vita in favore
di Cristo; chi ama Cristo e dà la sua vita per lui, la salva. 2) Perdere la vita grazie a Cristo; soltanto
grazie a lui possiamo far morire il seme di noi stessi per portare frutto.
3. In Cristo si realizza l’annuncio che dal rifiuto di Dio e del suo Unto, dall’uccisione di Dio e del
suo Unto, Dio trae la salvezza per gli uomini. Il rifiuto del Messia è la strada necessaria da percorrere
per salvare gli uomini. «Il figlio dell’uomo deve soffrire ed essere rifiutato …» (v. 22). Senza la
croce non ci può essere la salvezza. La croce di Cristo è la grande rivelazione, il segreto riguardo
l’esistenza umana, la quale è fatta per essere spesa e non conservata. E nel momento in cui guarderemo
a Lui trafitto, credendo veramente che questa è la via della salvezza, potremo ricevere quello
Spirito di grazia e di consolazione che ha trasformato la vita degli apostoli e li ha resi capaci di rinnegare
se stessi, prendere la propria croce e seguire Cristo.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/

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