FIGLIE DELLA CHIESA,Lectio Divina "Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto"

Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto (Lc 9,18-24)
XII Domenica del Tempo Ordinario
Antifona d'ingresso
Il Signore è la forza del suo popolo

e rifugio di salvezza per il suo Cristo.
Salva il tuo popolo, Signore,
benedici la tua eredità,
e sii la sua guida per sempre. (Sal 28,8-9)

Colletta
Dona al tuo popolo, o Padre,
di vivere sempre nella venerazione e nell’amore
per il tuo santo nome,
poiché tu non privi mai della tua guida
coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.

Oppure:
Fa’ di noi, o Padre, i fedeli discepoli di quella sapienza
che ha il suo maestro e la sua cattedra
nel Cristo innalzato sulla croce,
perché impariamo a vincere le tentazioni e le paure
che sorgono da noi e dal mondo,
per camminare sulla via del calvario
verso la vera vita.

PRIMA LETTURA (Zc 12,10-11;13,1)
Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19, 37).
Dal libro del profeta Zaccarìa

Così dice il Signore:
«Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito.
In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo.
In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità».

SALMO RESPONSORIALE (Sal 62)
Rit: Ha sete di te, Signore, l’anima mia.
O Dio, tu sei il mio Dio,
dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua. Rit:

Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode. Rit:

Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca. Rit:

Quando penso a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia:
la tua destra mi sostiene. Rit:

SECONDA LETTURA (Gal 3,26-29)
Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.
Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.
Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.

Canto al Vangelo (Gv 10,27)
Alleluia, alleluia.
Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono.
Alleluia.

VANGELO (Lc 9,18-24)
Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto.
+ Dal Vangelo secondo Luca

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

Preghiera sulle offerte
Accogli, Signore, la nostra offerta:
questo sacrificio di espiazione e di lode
ci purifichi e ci rinnovi,
perché tutta la nostra vita sia bene accetta alla tua volontà.
Per Cristo nostro Signore.

Antifona di comunione
Gli occhi di tutti, Signore, si volgono a te fiduciosi,
e tu provvedi loro il cibo a suo tempo. (Sal 145,15)

Oppure:
Dice il Signore: “Io sono il buon pastore,
e dò la mia vita per le mie pecore”. (Gv 10,11.15)

Oppure.
“Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà;
chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9,24)

Preghiera dopo la comunione
O Dio, che ci hai rinnovati
con il corpo e sangue del tuo Figlio,
fa’ che la partecipazione ai santi misteri
ci ottenga la pienezza della redenzione.

Lectio
Dopo aver celebrato il grande Tempo della Pasqua e aver ricevuto il dono della pienezza dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, la Chiesa vive il suo tempo nella storia accompagnata dalla presenza del Risorto. Nelle precedenti domeniche del Tempo Ordinario il Vangelo ci faceva intravvedere ancora una volta in Gesù Colui che dà la vita, la vita del corpo restituita al figlio della vedova di Nain e la vita dell’anima ridonata alla peccatrice perdonata. Così il cristiano, rinato a vita nuova attraverso il mistero pasquale può iniziare la sua sequela del Maestro nel quotidiano, una sequela esigente, perché passa per una conoscenza e una condivisione sempre più profonda di Colui che si ama.

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?».
In questo capitolo 9 del Vangelo di Luca il ministero di Gesù è iniziato già da un po’ e la fama per gli insegnamenti e i miracoli che il Rabbì compie è ormai diffusa. Ma Egli non si allontana mai dal rapporto col Padre, che coltiva in lunghe ore di preghiera, come più volte ci testimonia l’evangelista. Probabilmente in questa fase del suo ministero, Gesù sta cercando di cogliere cosa la gente abbia finora capito del suo annuncio e della sua missione. A Gesù non interessa la popolarità: Egli desidera che ogni uomo faccia un incontro personale con Lui e con il suo amore, che è la cosa essenziale che ogni essere umano ricerca nella vita. La domanda che Gesù fa ai discepoli è volta a fare una sorta di sondaggio, forse una prima verifica della sua missione. Qual è l’opinione comune? Che cosa passa di Gesù? Che cosa resta e si coglie della sua persona? Ma, soprattutto, le folle colgono che in Lui c’è “qualcosa” di Dio, quel Dio innamorato e fedele al suo popolo?

19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
La risposta è in qualche modo una risposta che ha uno sguardo rivolto solo al passato: Giovanni Battista era da poco stato fatto uccidere da Erode, Elia era vissuto ben 800 anni prima, un altro dei grandi profeti che in ogni caso aveva già svolto il suo ministero in un tempo antico. Le folle, come spesso ognuno di noi, non sono capaci di vedere Dio venire dal futuro, di cogliere la novità che Egli porta sempre con Sé. Gesù è la novità assoluta di Dio che entra nella storia in prima persona. È questo il segreto della sequela cristiana: essere animati da un atteggiamento di apertura alla perenne novità che il Signore è in se stesso: Egli fa nuove tutte le cose, già ora.

20 Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Primo annuncio della morte e della risurrezione.
Anche il discepolo a un certo punto della sua sequela è chiamato a farsi seriamente questa domanda: chi è Gesù per me? Cosa rappresenta nella mia vita? In che modo l’incontro e il rapporto con Lui incide nel mio itinerario esistenziale? Pietro, l’amico di Gesù, è l’emblema di chi ha un amore particolare per il Maestro, è affascinato da Lui e pertanto ne fa un’esperienza particolare. È un uomo semplice, spesso contraddittorio, questo pescatore di Cafarnao, ma ardente nel suo rapporto con Cristo. Ed è forse questo ardore che gli consente di intuire una verità così profonda come quella che afferma, senza magari neanche conoscerne la portata fino in fondo, ma cogliendo che esiste in questo uomo un mistero grande che affonda la sua verità in Dio stesso. Come Pietro, anche noi siamo chiamati ad entrare in questa relazione profonda e intima con Cristo in virtù del Battesimo che ci ha rivestiti di Lui.

21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.
Essere definito il Cristo di Dio, l’Unto, il Messia, poteva diventare un modo per strumentalizzare la persona di Gesù da parte di alcuni gruppi politici o comunque confondere chi non aveva ancora compreso ed era entrato in un rapporto profondo con Lui. È questo il senso del divieto di Gesù.

22 «Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Il riconoscimento dell’identità di Gesù deve passare per un’esperienza molto forte, purificante, non immediatamente comprensibile, per certi versi sconcertante. Il vero atto di fede verso il Cristo di Dio sta nel saperlo riconoscere nel mistero della sua passione, morte e risurrezione. È lì che si manifesta in massima parte la potenza dell’amore di Dio. Il rifiuto degli anziani, dei capi, dei sapienti rappresenta l’incapacità che ognuno di noi ha di trasfigurare il mistero del dolore e della sofferenza come luogo in cui tutto è purificato e riconoscere la massima epifania del divino. La sapienza della croce è stoltezza per la mente dell’uomo carnale, di chi guarda al senso della vita a una sola dimensione. Lo spessore della croce richiede di saper leggere gli eventi della propria vita dal di dentro, in profondità, nel significato più vero che hanno. È il dono dell’intelletto dello Spirito.

23 Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
La sequela di Cristo, per i cristiani di ogni tempo, è fatta di fedeltà quotidiana a Lui, alla sua Parola, al suo insegnamento, riconosciuto come la vera legge e la vera guida per il cammino della vita. Non i nostri criteri, i nostri ragionamenti spesso contorti o mirati a raggiungere soddisfazioni immediate e facili, ma la nuda e semplice realtà quotidiana, fatta di gioie e dolori, conquiste e perdite, miserie e ricchezze e che comunemente ognuno chiama “la propria croce”. La vita cristiana non è qualcosa di straordinario o di particolarmente difficile, ma è vivere in modo fedele e onesto la propria condizione ordinaria dietro a Gesù, il buon Pastore che ci conosce e ci conduce verso gli alti pascoli della vita vera spesso lungo sentieri e itinerari inediti.

24 Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.
Non dobbiamo mai dimenticare che il cristianesimo racchiude in sé un grande paradosso: se vogliamo guadagnare la vita vera dobbiamo accettare di perdere quella che riteniamo tale; se vogliamo essere i più grandi dobbiamo comportarci come il più piccolo di tutti e il meno importante. Il Signore ci pone una sfida che è quella di fidarci di Lui più di quanto ci fidiamo di noi. Possiamo credere più in Lui che non vediamo che in ciò che tocchiamo e constatiamo con i nostri sensi, perché ciò che è terreno passa, mentre ciò che è divino ed è innestato in Cristo rimane per sempre. Questa è la salvezza per l’uomo.

Appendice
La confessione di Pietro
Osservate l’acutezza della domanda. Non ha detto subito: Chi dite che io sia? Ha fatto invece riferimento alle dicerie di coloro che erano al di fuori del loro gruppo. Poi, rifiutatele e dimostratane l’infondatezza, li può riportare all’opinione vera. È accaduto in questo modo. Quando i discepoli ebbero detto: Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri uno degli antichi profeti che è risorto, egli disse loro: Ma voi, chi dite che io sia? Quanto è ricca di significato la parola voi! Egli li separa da tutti gli altri, in modo che possano anche evitare l’opinione degli altri. In questo modo non concepiranno un’idea indegna su di lui né nutriranno pensieri confusi e ondeggianti. Allora non immagineranno neppure che Giovanni sia risuscitato o uno dei profeti. Dice: “Voi, che siete stati scelti, che per mio decreto siete stati chiamati all’apostolato, che siete i testimoni dei miei miracoli, voi, chi diete che io sia? (Cirillo d’Alessandria, Commento a Luca, omelia 49)

Ora incomincio ad essere un discepolo. Nulla di visibile e di invisibile abbia invidia perché io raggiungo Cristo. Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, le mutilazioni delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché io voglio solo trovare Gesù Cristo. Nulla mi gioverebbero le lusinghe del mondo e tutti i regni di questo secolo. È bello per me morire in Cristo Gesù più che regnare sino ai confini della terra. Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è risorto per noi. Il mio rinascere è vicino. Perdonatemi, fratelli.(...) Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio (Ignazio di Antiochia, Ai Romani 5.3-6.3).

La sola passione di Cristo è passione per la riconciliazione; tuttavia, poiché Cristo ha sofferto per il peccato del mondo, poiché tutto il peso del peccato si è riversato su di lui, e poiché Gesù Cristo aggiudica il frutto della sua passione a chi lo segue, la tentazione e il peccato ricade anche sul discepolo, lo copre di vergogna e lo caccia come un capro espiatorio fuori dalle porte della città. E così il cristiano porta le colpe e i peccati di altri uomini. Crollerebbe sotto il peso, se non fosse sostenuto egli stesso da colui che portò tutti i peccati; così invece egli, sostenuto dalla forza della passione di Cristo, può, perdonando, vincere i peccati che cadono su di lui. Il cristiano diviene portatore di pesi … Portate i pesi gli uni degli altri (Gal 6,2). Come Cristo portò il nostro peso, così noi dobbiamo portare il peso dei fratelli; la legge di Cristo, che deve essere adempiuta, è il portare la croce. Il peso del fratello che io devo portare non è solo il suo destino esteriore, il suo atteggiamento, il suo carattere, ma è nel vero senso della parola il suo peccato (D. Bonhoeffer, Sequela pp. 71-2).

Gesù, l’Unigenito di Dio, si lascia maltrattare e rifiutare, legare e sputacchiare e uccidere, senza reagire e senza mostrare la sua ‘giustizia’ e la sua potenza. E se Pietro, il ‘capo’ degli Apostoli, cerca di indurlo ad altro comportamento, lo respinge come “satana” (cfr Mt 16.23). Dio si nasconde nella croce: scandalo! Questa è del resto l’unica “evidenza storica” -per chi non sia illuminato dalla fede che ‘supera’ questo scandalo e sa vedere al di là di esso-  del Cristo (Non vi sarà dato altro segno che il segno di Giona,cfr Mt 12.39s). (...) Ciò è presentato non come elemento secondario nell’economia salvifica, ma come l’imperscrutabile ‘compiacimento’ del Padre, ineluttabile, santo e incontrovertibile (cfr Mt 11.25-30). Fare o volere una scelta diversa sarebbe non solo necessariamente condannato al fallimento, ma blasfemo “svuotare la croce di Cristo”. Come superare lo scandalo della croce? Non svuotandolo o negandolo o attenuandolo, ma vedendolo con tutta chiarezza nella sua ineludibilità e accettandolo con amore come manifestazione suprema della “sapienza di Dio”... Oltre a ciò occorre compiere una scelta coerente di umiltà e di nascondimento, rispetto alle categorie “mondane del successo”, per abituarsi a pensare conforme a Cristo “per la connaturalità” e per partecipare alla sua umiliazione vittoriosa. Insisto nel chiamare vittoriosa, fin da ora!, l’umiliazione della croce, per non cadere in un’interpretazione oggi molto diffusa, che favoleggia di una “sconfitta storica” del Cristo e della sua opera (U. Neri, Ho creduto, perciò ho parlato pp. 185-6).

… debbo rientrare in me stesso e prendere coscienza di una impellente necessità di cambiare stile di vita. Non per inventare cose particolarmente originali. Ma debbo cominciare. Sarei tentato di partire dalle cose esterne, quelle che si vedono, che sono anche quelle meno impegnative. È dal cuore che debbo partire, Signore, poi dalla mente, cercando il distacco da me stesso, dopo che ho capito che tu mi dici di seguirti lasciando perdere il resto. Per arrivare a capire che tu mi porti agli altri, alle persone, là dove tu sei. Non è vero che la tua croce è esattamente quella dei poveri, che se io scopro i poveri ho trovato te e che i poveri mi devono portare a te e tu ai poveri? È un giochetto tutto sommato abbastanza semplice, quasi ovvio (L. Guglielmi, in Don Gigi, una storia incompiuta p. 207).

[…] Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta un momento significativo del cammino di Gesù, nel quale egli chiede ai discepoli che cosa la gente pensi di lui e come lo giudichino essi stessi. Pietro risponde a nome dei Dodici con una confessione di fede, che si differenzia in modo sostanziale dall’opinione che la gente ha su Gesù; egli infatti afferma: Tu sei il Cristo di Dio (cfr Lc 9,20). Da dove nasce questo atto di fede? Se andiamo all’inizio del brano evangelico, costatiamo che la confessione di Pietro è legata ad un momento di preghiera: «Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui», dice san Luca (9,18). I discepoli, cioè, vengono coinvolti nell’essere e parlare assolutamente unico di Gesù con il Padre. E in tal modo viene loro concesso di vedere il Maestro nell’intimo della sua condizione di Figlio, viene loro concesso di vedere ciò che gli altri non vedono; dall’«essere con Lui», dallo «stare con Lui» in preghiera, deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù, alla verità. Qui ci viene fornita un’indicazione ben precisa per la vita e la missione del sacerdote: nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità. Ovunque siamo, qualunque cosa facciamo, dobbiamo sempre «rimanere con Lui».
Un secondo elemento vorrei sottolineare del Vangelo di oggi. Subito dopo la confessione di Pietro, Gesù annuncia la sua passione e risurrezione e fa seguire a questo annuncio un insegnamento riguardante il cammino dei discepoli, che è un seguire Lui, il Crocifisso, seguirlo sulla strada della croce. Ed aggiunge poi – con un’espressione paradossale – che l’essere discepolo significa «perdere se stesso», ma per ritrovare pienamente se stesso (cfr Lc 9,22-24). Cosa significa questo per ogni cristiano, ma soprattutto cosa significa per un sacerdote? La sequela, ma potremmo tranquillamente dire: il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero.
Carissimi ordinandi, vorrei proporre alla vostra riflessione un terzo pensiero, strettamente legato a quello appena esposto: l’invito di Gesù a «perdere se stesso», a prendere la croce, richiama il mistero che stiamo celebrando: l’Eucaristia. A voi oggi, con il sacramento dell’Ordine, viene donato di presiedere l’Eucaristia! A voi è affidato il sacrificio redentore di Cristo, a voi è affidato il suo corpo dato e il suo sangue versato. Certo, Gesù offre il suo sacrificio, la sua donazione d’amore umile e totale alla Chiesa sua Sposa, sulla Croce. E’ su quel legno che il chicco di frumento lasciato cadere dal Padre sul campo del mondo muore per diventare frutto maturo, datore di vita. Ma, nel disegno di Dio, questa donazione di Cristo viene resa presente nell’Eucaristia grazie a quella potestas sacra che il sacramento dell’Ordine conferisce a voi presbiteri. Quando celebriamo la Santa Messa teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio, che è Cristo, chicco spezzato per moltiplicarsi e diventare il vero cibo della vita per il mondo. È qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore! E’ un’esperienza sempre nuova di stupore vedere che nelle mie mani, nella mia voce il Signore realizza questo mistero della Sua presenza! […] (Papa Benedetto XVI, omelia del 20 giugno 2010)

Fonte:FIGLIE DELLA CHIESA,

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