Juan J. BARTOLOME sdb Lectio Divina "E voi, chi dite che io sia?"

19 giugno 2016 | 12a Domenica T. Ordinario - Anno C | Lectio Divina
Lectio Divina: Lc 9,18-24
E' abituale in Luca fare precedere da tempi di preghiera i momenti decisivi del ministero di Gesù.
Questa volta Gesù chiede ai suoi discepoli qualcosa riguardo la sua identità, obbligandoli a prendere posizione in pubblico; contrasta questo improvviso interesse di Gesù per l'opinione pubblica con l'abituale disinteresse per ciò che possono pensare gli altri: vuole che i suoi si sentano interpellati da Lui doppiamente, perché è colui che chiede e perché chiede loro sulla sua persona.
Ottenuta una risposta, in parte soddisfacente, lui può presentarsi come vuole essere compreso. E dopo la confessione di Pietro, annuncia loro che deve morire per essere colui che loro dicono che sia; i discepoli non pensavano che questo potesse accadere; corrono sempre il rischio di immaginare il loro Signore come meglio a loro conviene, come sembra loro più logico. Chi ha voglia di seguirlo deve sapere che non ne uscirà incolume: lo aspetta una croce. La scena annunzia il cammino che pensa di percorrere Gesù e indica, con più chiarezza, cosa deve percorrere il discepolo che desidera essere fedele: deve condividere la preghiera e l'intimità con Gesù per conoscerlo veramente; però dovrà accettare la croce, quella di Gesù e la propria, per giungere alla sicurezza di averlo conosciuto personalmente
18 Una volta che Gesù pregava da solo, in presenza dei suoi discepoli, disse loro:
"Chi dice la gente che io sia?"
19 GlI risposero
"Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri dicono che è in vita uno degli antichi profeti".
20 Ed Egli disse loro: "E voi, chi dite che io sia?"
Pietro rispose e disse: - "Il Cristo di Dio".
21 E proibì di non dirlo a nessuno. 22 E aggiunse:
"Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno".
23 E, rivolgendosi a tutti, disse:
"Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24 Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà".
1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Prima di prendere la decisione di andare a Gerusalemme, "una volta giunto il tempo della sua partenza da questo mondo" (Lc 9,51), Gesù si dedicò in modo più intenso a preparare i suoi discepoli (Lc 9, 1-50): una prima e riuscita missione dei dodici (Lc 9, 1-6) aveva suscitato perplessità in Erode (Lc 9, 7 -9) e un enorme desiderio nella folla di seguire Gesù (Lc 9, 10) che appofittò dell'occasione per alimentarli con la sua parola (Lc 9,11) e con un pane miracolosamente moltiplicato (Lc 9, 12-17). Da solo con i suoi discepoli, Gesù li sottomette ad un interrogatorio: vuole sapere cosa si dice di Lui (Lc 9,18) e che cosa pensano loro (Lc 9,20): La sua permanenza in Galilea sta giungendo alla fine; l'esame ai suoi più intimi ha per obiettivo quello di prendere coscienza del risultato della sua missione. E' ovvia la trascendenza che Luca dà all'episodio per il modo in cui lo inizia: Gesù era in preghiera, accompagnato dai suoi discepoli, quando li interrrogò. A differenza di Marco e Matteo che ambientano le domande di Gesù a Cesarea di Filippo (Mc 8,27; Mt 16, 13), Luca li contestualizza in un momento di solitudine e di preghiera.
Il terzo evangelista è solito legare i momenti critici del ministero di Gesù con un tempo di preghiera (Lc 3,21; 5,16; 6,12; 9,18,28-29; 11,2; 22,41.44-45; 23,46). Non è indifferente che Gesù "interroghi" i suoi discepoli mentre parlava con Dio: chiedere non è stata una semplice curiosità di conoscere cosa si pensava su di lui, ma un atto di pietà nei confronti di Dio. L'esame si è ridotto a due domande: ciò che pensava la gente (Lc 9,18) e ciò che dicevano i discepoli su di lui (Lc 9,20).
L'ordine delle domande non è casuale. I discepoli devono "sapere" ciò che si racconta sul maestro. E ciò che dicono trasmette bene la confusione che la maniera di agire di Gesù aveva seminato tra il popolo: grandi aspettative, però non sicure del tutto. Il popolo vedeva Gesù a partire dalle figure conosciute del loro presente o del passato del popolo (Lc 9,19). Solo Pietro, rispondendo a nome degli altri, confessò la novità: vide Gesù secondo Dio, come suo Messia (Lc 9,20).
Sorprende la proibizione conclusiva di testimoniare l'autentica fede proclamata per la prima volta da un discepolo se viene trascurato, quanto Gesù dice in seguito.
Pietro indovinò nel confessare che Gesù era il Messia, però non sapeva ancora come lo sarebbe stato. E pertanto, doveva "tacere" per ora la sua fede. Perché la nostra fede su Gesù sia autentica bisogna accettare il progetto che Dio ha su di lui. Chi non pensa come Dio - che il Messia deve soffrire - non può confessare Gesù come Messia (Lc 9,22).
E questo non è tutto! Luca annota che l'ultimo avvertimento Gesù lo diede a tutti quelli che lo ascoltavano non soltanto ai suoi seguaci (Lc 9, 23-24). E qui fa, per la prima volta, facoltativa la sequela (se qualcuno vuole…) perché farà le sue condizioni quasi inassumibili (rinneghi se stesso e prenda la sua croce).
La croce, dalla quale non si salva né il Messia di Dio, né i suoi seguaci, non è di libera scelta: è la garanzia che Maestro e discepoli appartengono a Dio.

 2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!

I discepoli furono, sicuramente, i primi nel sorprendersi di fronte alla doppia domanda che Gesù aveva appena fatto. Avevano camminato con Lui percorrendo tuta la Galilea, assistendo ai suoi miracoli, ascoltando i suoi discorsi, condividendo il suo lavoro e il suo riposo. Dovevano per forza conoscerlo bene; tanto tempo di convivenza li aveva fatto familiarizzare con Lui e, certamente, si erano fatti una idea sulla sua persona e le sue intenzioni; non invano lo seguivano ovunque e avevano lasciato per Lui ogni cosa di quanto possedevano. Erano loro che si erano interessati di Gesù, che lo interrogavano sulle sue idee e sulla sua dottrina; non pensavano che un giorno Gesù si potesse interessare di sapere l'opinione che circolava tra la gente sulla sua persona ne, ancora meno, che gli interessasse conoscere l'opinione dei suoi discepoli.
Già è curioso che Gesù domandasse ai discepoli che cosa la gente pensava di Lui. Loro che lo accompagnavano in qualunque posto, avevano la stessa possibilità di Gesù di sapere cosa la gente pensava.
Qualche ragione dovette averla Gesù per fare loro questa domanda: chi è suo discepolo deve interessarsi di quanto pensa la gente attorno a Lui del suo Signore; il cristiano non può andare per la sua vita sapendo molto bene chi è e senza interessarsi di che cosa pensano gli altri di Cristo. L'interesse personale di Gesù, il saperlo Inviato di Dio, dovrebbe portarci a chiederci se anche gli altri condividono la nostra conoscenza e l'amore che abbiamo verso di Lui; chi è entusiasmato del suo maestro, è il suo migliore propagandista; chi è discepolo buono desidera che il mondo diventi discepolo.
Forse il nostro disinteresse nel sapere se gli altri condividono le nostre idee su Gesù e il nostro impegno con Lui, non è altro che effetto del poco apprezzamento che abbiamo di Lui e della nostra poca conoscenza: se non ci siamo fatti una opinione su Gesù, logicamente non ci interesserà molto che l'abbiano gli altri; se non lo amiamo veramente, non ci farà soffrire l'indifferenza che regna attorno a noi. Per suscitare interesse bisogna essere interessati.
Se vogliamo sentirci discepoli di Gesù oggi, dovremmo sentire la sua domanda. Non dimentichiamo che Gesù non chiese l'opinione a chi l'aveva, alla gente, ma a chi aveva al suo fianco, ai discepoli. Con questo dava loro una lezione magistrale, che continua ad essere attuale per noi. Interessarsi di Lui senza interessarsi di ciò che su di Lui pensano gli altri non è degno di discepoli: finché ci interessiamo di ciò che gli altri dicono di Cristo, continueremo ad interessarci di Lui, della sua persona e la sua dottrina; è l'indifferenza del discepolo la causa del perché il maestro è messo a tacere nel nostro mondo. Se il nostro modo di vivere, più che le nostre parole, riescono a mettere in discussione i modi e le mode con le quali vivono i nostri contemporanei e fanno loro porre domande su chi ci fa vivere in questo modo, Cristo Gesù, torneremmo ad essere i discepoli che il maestro vuole accanto a se.
Però non basta conoscere l'opinione della gente: i discepoli storici di Gesù dovettero un giorno rispondere personalmente davanti a Lui. E un giorno, prima o poi, forse lo abbiamo già fatto qualche volta e sicuramente lo dovremo fare altre volte, dovremo rispondere anche noi alla domanda: E voi chi dite che io sia? Chi sono io per voi? Questa domanda, e non la convivenza di molti giorni, è quella che se risponderemo come fece Pietro, ci legittimerà come discepoli autentici di Gesù. Ogni cristiano che è stato chiamato da Gesù, deve dire a se stesso, dirlo al mondo, dirlo a Lui chi è Cristo Gesù, se gli importa quanto lo ama, quanto gli manca. Senza rispondere a questa domanda tanto personale, tanto impegnativa, il discepolo di Gesù non si conferma come tale, ieri come oggi.
Però una simile domanda non è una prova, ma una grande opportunità. Poiché in essa il discepolo apprezza che il suo maestro lo prende sul serio, lo consideri. Il cristiano che si vede richiesta la sua opinione dallo stesso Dio, riconosce che Dio lo prende in considerazione: se la nostra opinione, la nostra posizione personale, interessa il nostro Dio, abbiamo ragione di essere contenti che contiamo qualcosa per Lui.
Però questo lo sa chi si sa interpellato, chi sa che Dio vuole che prenda una posizione, che si definisca: il discepolo di Gesù sa di contare tanto davanti al suo Signore perché questo ha tenuto in considerazione la sua opinione e gliel'ha chiesta.
Definirci dinanzi al mondo come cristiani, dire a noi stessi e agli altri chi è per noi Cristo Gesù, è un modo di sentirci tenuti in considerazione, non dimenticati da Dio.
Non è casuale che quanto più non diamo testimonianza pubblica di Gesù nella nostra società, tanto più ci sentiamo abbandonati da Lui; dichiararci a suo favore ci farà conoscere che Dio si è dichiarato a favore nostro; la sicurezza della fede in Dio si mantiene dando fede della nostra opzione per Lui.
Nell'interessarsi della nostra opinione, si sta interessando di noi. Il discepolo che oggi sa che deve dare testimonianza di Gesù non può sentirsi abbandonato da Dio: chi è interessato della nostra opinione è interessato di noi. Questo dovrebbe rendere meno doloroso il nostro dovere di testimoniarlo pubblicamente. Gesù ha chiesto a quelli che lo hanno accompagnato che si manifestassero, che gli dichiarassero ciò che sentivano su di Lui.
E solo questi discepoli, che danno ragione della loro fede, che sanno rispondere di essa, che riconoscono di essere stati interpellati dallo stesso Dio, tenuti in considerazione da lui, conosceranno il mistero più profondo: la necessità che il nostro Signore muoia sulla croce.
A chi è stato in grado di rispondergli personalmente gli si è svelato il segreto più personale: l'offerta fino alla morte è il destino di Gesù e lo sarà di chi lo segue.
Questa è la testimonianza che dovranno dare i discepoli: non basta sapere chi è Gesù, conoscere quello che ha fatto per noi; dovrà seguirlo, sopportando lo stesso cammino e lo stesso peso; perdere la vita per Lui significa guadagnarla per sempre.
Non basta, quindi, esprimere un parere su Gesù, per quanto personale sia, per quanto pubblicamente si faccia; se non gli si da anche la propria vita, a niente valgono le parole.
Chi si è interessato di sapere che cosa pensavamo di Lui, ha voluto dirci quanto si voleva interessare Lui di noi. Gesù continua a chiedere ai suoi discepoli che si pronunzino su di Lui davanti agli altri, e chi lo fa, saprà, come Pietro, che il suo Maestro si è impegnato a non avere una buona opinione di lui, ma a dare la vita per lui. Evitando la testimonianza oggi stiamo evitando che Gesù si dichiari a nostro favore: ci siamo giocato tanto per così poco! Il Dio che ci chiede di testimoniare in suo favore, ci ha dato la sua vita. Questa è stata la sua testimonianza a nostro favore: così ci ha dimostrato che ci ama.
Juan J. BARTOLOME sdb
 Fonte:  www.donbosco-torino.it

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