padre Gian Franco Scarpitta " Fede in Colui che ci manda e che ci guida"



Fede in Colui che ci manda e che ci guida
padre Gian Franco Scarpitta  
XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/07/2016)
Vangelo: Lc 10,1-12.17-20 
Si riprende il discorso della vocazione divina. Decisione, libertà, responsabilità e abnegazione sono
ancora una volta le prerogative che è tenuto a dimostrare chi risponde alla chiamata, chi aderisce al progetto di Dio e vuole spendere la propria vita per il Regno e sono concetti che Gesù ribadisce per implicito con molta perentorietà, poiché chiede anche ai settantadue discepoli di mostrare coraggio determinazione, costanza e perseveranza, per occuparsi nient'altro che del Regno di Dio di cui sono messaggeri. Tali risorse di coraggio e di abnegazione devono essere tante e tali da non suscitare preoccupazione alcuna quanto al proprio sostentamento e alle necessità materiali: "Non portate né sacca né sandali... Restate in quella casa mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa." Ma qual è lo scopo esatto dei settantadue discepoli, scelti per un servizio missionario temporaneo? Effettivamente è quello della testimonianza. Essi sono chiamati ad annunciare il Regno, innanzitutto con l'esemplarità di una vita semplice e dimessa, capace di raccontare essa stessa ciò di cui Dio è capace. La loro presenza, il tatto, il modo di porsi e soprattutto il loro essere inviati due per volta sottolineano come sia importante essere testimoni in prima persona delle parole di cui si è latori agli altri. Del resto, la stessa Scrittura (Dt 19, 14 - 15) indica che qualsiasi testimonianza è veritiera e attendibile alla presenza di almeno due persone attentatrici e quindi testimoniare il Regno di Dio essendo in due è più proficuo di quando lo si fa da soli. E quante soddisfazioni procura l'evangelizzazione recata dalla sola testimonianza di vita! Quanti copiosi frutti di fecondità apostolica si conseguono tutte le volte che il Vangelo, prima ancora che predicato, viene vissuto in prima persona. Vi è infatti molto più successo pastorale in coloro che semplicemente vivono piuttosto che in coloro che parlano a lungo senza aver niente da dire se non se stessi. Non per niente i settantadue esultano meravigliati constatando che perfino i demoni si sottomettono a loro nel nome di Gesù Cristo: il Signore ha dato loro poteri a dismisura, ha concesso loro privilegi anche fra i più insoliti e impensabili (camminare su serpenti e scorpioni) ma quello che ha inculcato in questi missionari è soprattutto la sensibilità pastorale verso i poveri e gli ammalati che è la prova del nove dell'essere testimoni del Vangelo. Quando tutto questo si realizza nella vita del missionario, le soddisfazioni e le ricompense subentrano in automatico, perché in tal caso se anche si viene respinti dagli uomini si è sempre approvati da Dio.
Del resto, proprio di esemplarità e di testimonianza necessita l'annuncio del Regno di Dio. Esso si caratterizza in una dimensione di pace, di giustizia, uguaglianza e predilezione per i poveri e per i sofferenti, apportata dalle parole e dalle opere del Figlio di Dio fatto uomo, di conseguenza il suo annuncio ha un'incidenza maggiore per messo della coerenza della vita. Il Regno di Dio, come afferma Paolo "non è questione di cibo o di bevanda" e non racchiude affatto imperativi di sprezzante mondanità: esso è descritto con le fascinose immagini di cui alla Prima Lettura di oggi (Isaia) "la pantera che si sdraia accanto al capretto...) che esaltano la novità della vita che il Risorto che Dio viene a donarci nel suo Figlio Risorto. Solo chi incarna questa realtà e la fa propria può esserne latore a tutti gli altri.
Gesù in ogni caso non garantisce il buon esito della missione né il successo del nostro ministero sempre e in ogni caso. E' nel computo di chi annuncia infatti essere esposti ad ogni sorta di avversione e di secco diniego dei nostri interlocutori. In ogni ministero svolto nel nome e per mandato del Signore, occorre quindi agire, mostrare interesse e impegno, ma non pretendere di riscuotere successi in ogni luogo perché i risultati appartengono solo al Padrone nonché Arbitro della storia e del nostro mondo. Noi siamo solo degli strumenti. Oltretutto, se il Signore prevede che non sempre gli esiti siano positivi, evidentemente ciò avviene perché noi consideriamo che appunto è Lui solo artefice della salvezza e che da parte nostra si deve mostrare umiltà.
Ma non abbiamo ancora riflettuto sull'elemento indispensabile necessario affinché l'annuncio di salvezza sia davvero gradito a Dio e confacente alle sue aspettative e questo risiede nella prima frase del brano evangelico odierno: "Pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe..." Perché Gesù invita proprio i destinatari dell'annuncio a pregare perché mandi annunciatori del messaggio salvifico alle moltitudini? Come mai non provvede egli stesso ad incrementare il numero dei discepoli missionari, che da 72 potrebbero benissimo diventare anche 200? Evidentemente perché prima di ogni cosa richiede che siano gli stessi annunciatori ad avvertire la necessità del problema della "messe" di Dio; che si rendano essi stessi compartecipi della realtà che il popolo necessita di annunciatori, dal momento che "la fede deriva dall'annuncio" (Paolo); ma soprattutto che considerino che il dono dei ministri è esclusiva del solo Signore e non dipende da alcuna sollecitudine né iniziativa da parte degli uomini. In una parola Dio vuole che il latore di un messaggio edifichi innanzitutto se stesso prima di partire e queste sono le tappe attraverso cui questo è possibile a realizzarsi.

Fonte:qumran2.net

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