DON PaoloScquizzato, ‘Parlare con Dio’

OMELIA 17a Domenica Tempo Ordinario. Anno C
«Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore,
insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”.
2Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
3dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
4e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”.
5Poi disse loro: “Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, 6perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, 7e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, 8vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
9Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 11Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”». (Lc 11, 1-13)


Pregare non significa anzitutto dire preghiere. Moltiplicare parole, ‘parlare con Dio’ (che il più delle volte si riduce ad un monologo), recitare formule e quant’altro, non dice ancora il nostro pregare.
Pregare è fondamentalmente uno stile di vita, una modalità di esistenza. Non siamo chiamati tanto a pregare, quanto a trasformaci in preghiera; non a diventare uomini che pregano, ma oranti. Dio essendo solo Amore, è fondamentalmente dono, per cui non si può non donare. La preghiera sarà dunque l’atteggiamento dell’uomo che si fa ricettacolo, accoglienza all’essere di Dio che si dona.
Nella pagina di oggi, Gesù invita a «chiedere, cercare, bussare». Ma stiamo attenti, questo non vuol dire importunare Dio al fine di estorcergli qualcosa. Infatti non chiediamo per forzare la sua mano, ma per aprire la nostra al suo dono. Si chiede per farsi capaci di ricevere.
Il chiedere evangelico infatti è molto strano, in un certo senso si tratta di un chiedere senza oggetto. Silesius scrive: «Chi chiede a Dio dei doni, è in una situazione difficile. Adora la creatura e non il Creatore».
Il chiedere serve dunque a me, per farmi capace di ricevere ciò che lui vuole donarmi – ossia se stesso, dato che non può donare meno dell’Essere – e non ciò che gli domando. Perché lui mi concederà non tanto quello che desidero ma ciò di cui ho bisogno. Infatti Gesù nel nostro brano invita a chiedere, ma senza specificare ‘cosa’ chiedere; invita a  cercare ma non definisce ‘cosa’ cercare; dice di ‘bussare’ alla porta senza indicare cosa vi sia dietro a quella porta.
Il mio chiedere diventa così unica misura del suo dare, dato che lui «in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare» (Ef 3, 20).
Dio concede sempre all’uomo secondo la sua sete. E l’uomo diventa ciò che ha desiderato.

Caratteristica di ogni preghiera è l’attesa, ossia lo spazio intercorso tra la richiesta e l’esaudimento. Ebbene, questo spazio dilata il mio desiderio, aumentando la capacità di accogliere il dono. Il gioco di Dio è il gioco dell’amore del Cantico dei Cantici: si concede e si sottrae nei suoi doni, perché desidera essere desiderato Lui stesso – che sta oltre ogni desiderio e cosa desiderata – e questo affinché non ci innamoriamo del dono che sta sopra la mano del donatore, ma di lui che dona, ovvero dell’Amore.

E alla fine, questo Amore «Si alzerà» (v. 8) a concedere ciò di cui abbiamo necessità per vivere.
È il verbo della resurrezione: egli è risorto perché si è donato nell’amore che è andato fino alla fine. Ora il suo dono rende noi capaci di farci dono a nostra volta, e finalmente poter ‘mettere qualcosa dinanzi all’amico che è venuto farci visita nel pieno della notte». E sperimentare così una vita risorta.


Fonte:paoloscquizzato.it

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