MONASTERO MARANGO,"La Chiesa in uscita è una Chiesa che si fa carico del mondo"

15° Domenica del Tempo Ordinario (anno C)
Letture: Dt 30,10-14; Col 1,15-20; Lc 10,25-37
La Chiesa in uscita è una Chiesa che si fa carico del mondo
1)In quel tempo un dottore della Legge…
Anche nella Chiesa abbondano i dottori della Legge, quelli che passano la vita a procurarsi titoli
accademici, che poi usano come foglie di fico per coprire le loro nudità.
Uno di questi lo troviamo nel brano del Vangelo di questa domenica: un dottore, esperto nelle Sacre Scritture. Non sta in mezzo alla folla, ad ascoltare Gesù. «La gente – pensa – non merita la mia dottrina e perde il suo tempo a correre dietro a questo ciarlatano, che non ha frequentato le scuole e non ha meritato né un dottorato né una licenza». Allora si alza, con un chiaro intento provocatorio e accusatorio: vuole mettere alla prova Gesù, lo vuole sfidare in pubblico per poterlo poi umiliare davanti a tutti.

Gesù ci aveva già messo in guardia da coloro che presumono di sé e della loro dottrina quando, esultando nello Spirito, aveva detto: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». E’ proprio così, e ne posso dare testimonianza: spesso le persone che sono considerate minime, senza importanza, sono più avanti nella comprensione della vita spirituale di molti dotti che nella Chiesa occupano posti di potere.

Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?
Stando al testo letterale dovremmo tradurre: «Facendo che cosa erediterò la vita eterna?».Una domanda che troverà risposta da parte di Gesù solo alla fine del brano: «Chi ha avuto compassione» (lett.: «chi ha fatto misericordia»). Occorre recuperare in fretta il primato della misericordia, ben oltre quest’anno ad essa consacrato. In questo vedo la possibilità che la Chiesa sia davvero «in uscita»: da sé stessa, dalle sue preoccupazioni, dal desiderio di poter ancora contare sul palcoscenico del mondo, di essere riverita dai potenti. Una Chiesa in uscita è una Chiesa che non gioca con le parole, diventate in breve tempo un fraseggio che non tocca la realtà, che ci lascia nel bagnasciuga, senza mai affrontare il mare aperto. Una Chiesa in uscita è una chiesa che si fa carico del mondo, che abbandona il palazzo, il tempio, e sta sulla strada, curva su tutti coloro che subiscono oltraggio, violenza; piegata su tutte le vittime della corruzione, delle guerre, dei trafficanti di armi e di uomini.
Di fronte alle tragedie del mondo c’è ancora chi si attarda, accademicamente, a porre le domande, senza alcuna voglia di essere coinvolto nelle risposte, pur sempre parziali e incerte.

Facendo che cosa erediterò la vita eterna?
Il dottore della Legge vuole portare Gesù sul suo terreno, dove le parole servono solo come occasione per gonfiarsi ulteriormente di orgoglio. Le parole, anche le parole di una raffinata teologia, non salvano: «Non chi dice: Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio».
Ma per noi, che desideriamo ascoltare, la domanda riveste un carattere fondamentale: «Che cosa fare?».
Gesù risponde con un’altra domanda: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». La Legge, data da Dio, non deve essere materia per allestire campi di battaglia, l’uno contro l’altro armati, come è successo per tanti secoli, quando le Chiese si sono fronteggiate sparandosi addosso versetti della Bibbia. La Legge di Dio è invece una base solida per iniziare un cammino di fede e di amore, condiviso insieme. Dobbiamo praticare la via dell’amore. Sta scritto, infatti: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso». E’ questo ciò che legge anche il dottore che viene ad interrogare Gesù.
Nel libro del Levitico si giunge a includere nell’amore del prossimo anche il forestiero: «Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese non gli farete torto. Il forestiero che dimora presso di voi lo tratterete come colui che è nato tra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto».
Secondo l’evangelo di Luca, non ci sono due comandamenti: l’amore di Dio e l’amore del prossimo, in ordine discendente, ma un unico comandamento , sostenuto dall’unico impegno di amare.
Gesù continua: «Hai risposto bene, fa questo e vivrai». La Scrittura è una sorgente di vita. Occorre scegliere di vivere amando.

Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?».
E’ come se il dottore avesse paura di amare; come se volesse subito alzare un confine certo tra quelli che meritavano di essere amati e tutti gli altri. Gesù abbatte subito i muri che separano l’uomo dall’uomo, che creano inimicizia, e capovolge la domanda: come possiamo farci noi prossimi, vicini, ai nostri fratelli più umiliati e offesi, feriti dalla violenza disumana che sta dilagando ovunque? Non è più tempo di vuoti discorsi ma di scelte concrete, nella direzione indicata dalla parabola del Vangelo.

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico.
E’ un percorso ideale per gli assalti dei briganti, ma oggi tutti gli ambienti sono diventati occasione di rapina e di violenza.
Su quella strada in discesa passa un uomo. Non ha nome, perché ha il nome di tutti. Ha il nome di quel nigeriano che, a Fermo, è stato ucciso a calci e a pugni per aver tentato di difendere sua moglie da insulti volgari e razzisti. Ha il nome di quel ragazzo americano ucciso e gettato nel Tevere l’altro giorno, sotto i ponti di Roma. Ha il nome dei profughi che scappano dalla guerra, dei bambini rapiti per il commercio di organi, delle migliaia di persone affogate nel mare. Ha il nome di tutti gli uomini senza volto, senza voce, senza storia degna di essere raccontata.

Quest'uomo è lì,ai bordi della strada, e tu che hai visto, che fai?

Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada, e quando lo vide, passò oltre.
E’ il peccato più comune agli uomini di Chiesa: passare accanto ai fatti e alle tragedie della vita, fare delle frettolose considerazioni, scorrere velocemente l’agenda e passare all’impegno successivo. Da una pagina all’altra dell’agenda, senza soste, non incontrando mai la realtà, ma solo l’idea della realtà. Sperando di trovare, alla fine della strada, percorsa in fretta, qualche persona per bene che sia loro riconoscente per essersi diretti proprio a casa loro, magnifici benefattori; o per la convincente conferenza in cui si parlava dei poveri; o per averli visti e ammirati nelle loro splendide vesti liturgiche e nel loro portamento serafico, indifferenti a tutto ciò che succede intorno, cadesse anche la cattedrale.
Costoro non si fermano per strada. Non conoscono il volto dell’uomo tumefatto, grondante sangue, lacerato nella carne e nello spirito. Temono di sporcarsi le vesti, non compete proprio a loro, ci sono delle priorità da rispettare; piuttosto istituiscono una commissione di studio e prendono tempo.

Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione.
E’ come un pugno nello stomaco per chi, come noi, si è ubriacato di parole ed è stato avaro di fatti concreti.
Un samaritano: un eretico, uno straniero, un nemico, un lontano, un diverso …
Lascio a te che leggi di continuare, ma dobbiamo concludere che spesso il lontano è più vicino al cuore di Dio di tanti teologi, e di tanti praticanti, esperti nelle sacre dottrine e aggiornati sulla morale.
Il samaritano ci viene donato come viva icona della misericordia di Dio e della sua prossimità all’uomo.
Ma ci propone anche una religiosità rivoluzionaria: la via della misericordia, per non essere stranieri al cuore di Dio.
Lascio a te il compito di trascrivere tutte le azioni compiute da questo straniero, che si è fatto vicino all’uomo abbandonato sul ciglio della strada, e di provare a ripeterle nella tua vita. Oggi stesso.
Sentirai di essere vivo, finalmente.

 MONASTERO MARANGO, CAORLE (VE)
Giorgio Scatto    

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