Don Bruno FERRERO sdb"ESSERE DISCEPOLI DI GESU' SIGNIFICA.."

4 settembre2016  | 23a Domenica T. Ordinario - Anno C   |  Omelia
ESSERE DISCEPOLI DI GESU' SIGNIFICA...

Un giorno d'aprile dell'anno 1207, ad Assisi, Pietro di Bernardone, mercante ricco e potente, stava
seduto al banco del suo negozio, quando intese un gran chiasso venir dalla strada; schiamazzo di voci, grida sguaiate e scoppi di riso. Il fracasso si avvicinava sempre più, e il vecchio mercante, con un cenno ordinò ad uno de' suoi garzoni d'andare a vedere un po' che cos'era quel diavoleto.
- Un pazzo, messer Pietro! riferì sprezzantemente il garzone. È un pazzo a cui i monelli.si divertono a correr dietro !
Il garzone indugiò ancora un momento sulla porta; poi, all'improvviso, rientra allibito! Aveva riconosciuto " il pazzo! " E dopo pochi istanti, messer Pietro stesso, ritto sulla porta, riconosce in mezzo alla baraonda degli schernitori, in quel mentre arrivata dinanzi alla sua casa, il proprio figlio, il suo Francesco, il primogenito, su cui aveva fatto i sogni più belli, e sul quale aveva fondato tante magnifiche speranze! Era il suo figliuolo che ritornava, ma vestito miseramente, tutto pallido ed emaciato, coi capelli in disordine, con lividori sotto gli occhi, insanguinato per le sassate ricevute, e sporcato dalle sozzurre lanciategli addosso dai monelli! Sì, era proprio il suo Francesco, l'orgoglio de' suoi occhi, l'appoggio della sua vecchiaia, la gioia e la consolazione della sua vita! Ecco dove l'avean condotto tutte quelle maledette idee che s'era ficcate nel cervello!
Con una forza da gigante, prestatagli dalla collera, tutto ansante e digrignando i denti, porta Francesco attraverso le stanze della sua casa, lo gitta finalmente in un sottoscala oscuro, chiudendone a chiavistello la porta.

Ma il sogno di Francesco d'Assisi non si lascia schiacciare in un sottoscala. Il giovane chiede l'intervento del vescovo, che in una pubblica assemblea lo mette a confronto con il padre che rivendica la propria potestà paterna.

Avvenne allora un fatto notevole, un fatto che mai, sin allora, s'era avverato nella storia del mondo, e che mai più si riprodurrà, un fatto che, nel corso dei secoli, i pittori avrebbero rappresentato, i poeti cantato, e i sacerdoti celebrato nei loro sermoni. Perfettamente calmo, in apparenza, ma con occhi scintillanti: " Signore, disse, rivolgendosi verso il vescovo, ben volentieri io renderò a mio padre non solamente il denaro che ho di lui, ma ancora il mio abito, che gli appartiene ".
E prima che alcun potesse indovinare ciò ch'egli voleva fare, sparve in una stanza vicina donde si vide ritornare, dopo un istante, completamente nudo, vestito soltanto del suo cilizio, tenendo in braccio tutti gli altri suoi abiti. Con movimento istintivo, gli astanti si alzarono, mentre Pietro di Bernardone e suo figlio Francesco stavano ritti, l'uno in faccia all'altro.
E il giovane con voce tremante per l'emozione interna, con la testa alta e gli occhi fissi, come se contemplasse qualche cosa, o qualcuno, in lontananza, esclama : "Udite ed intendete tutti! Sino al presente ho chiamato Pietro di Bernardone mio padre, ma ora gli rendo il suo denaro e tutte le vesti che ho di lui; dimodoché, da qui innanzi, non dirò più: Padre mio Pietro di Bernardone, ma sì: Padre nostro che sei ne' cieli! "
Detto ciò, il giovane si abbassa e depone i suoi abiti, ed anche la camicia, ai piedi del padre suo, e vi mette sopra il denaro che gli era rimasto. Quando la prima commozione si fu un poco calmata, e Francesco si trovò solo col vescovo, questi pensò alla necessità di provvedere il giovane di una veste. Si rinvenne, in vescovado, un vecchio mantello che era appartenuto al giardiniere. Francesco lo ricevè con gioia, e, prima di uscire dal palazzo vescovile, disegnò, col gesso, una gran croce nel dietro di quest'abito da mendico.

Forse non esiste modo migliore per dimostrare l'efficacia delle parole di Gesù che abbiamo ascoltato poco fa:

"Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo".

Dopo ottocento anni, l'avventura di Francesco d'Assisi continua e milioni di persone si ispirano alla sua spiritualità.
San Francesco è la figura perfetta del discepolo che fa la sua scelta con decisione, proprio come chiede Gesù.
Gesù entra nei sogni e nei progetti degli uomini: nessuno come Lui sa quanto gli esseri umani sentano la bellezza e la profondità dei sentimenti, conosce perfettamente il senso di realtà come l'amore per i genitori, per lo sposo e la sposa, per i figli, il lavoro, la casa, le soddisfazioni umane, la felicità della vita.
Ma è come dicesse: "Tutto questo è molto bello e grande, ma io ti indico qualcuno che è molto più bello e più grande, che ti darà ancor più felicità. Rivedi la classifica dei tuoi sogni e dei tuoi progetti: al primo posto devi mettere Dio!"
Non è una costrizione, non è una minaccia: è una questione d'amore.
Troviamo spesso, come già noto ai primi capitoli della Bibbia, che un uomo lasci suo padre e sua madre per vivere con sua moglie. Dai suoi discepoli Gesù si aspetta proprio questa capacità: rischiare tutto per ottenere l'unica cosa importante. "Non ci ardeva forse il cuore nel petto?" si chiedono i discepoli di Emmaus.

Del cristianesimo delle origini, in Gesù, nella vita dei discepoli, in Paolo, fa parte la scossa gioiosa di liberazione, l'addio ai beni materiali e alla famiglia. In Paolo ciò si chiama, con una terminologia oggi difficilmente comprensibile, "morire" ed "essere crocifissi" insieme a Gesù nel battesimo.
Quando, nei primi secoli, qualcuno diventava cristiano, si faceva battezzare, ciò corrispondeva all'abbandono di tutte le reti di sicurezza sociale; era come quando si dice: "Per te sono morto".
I primi cristiani non sono persone protette sotto ogni aspetto e che possono contare su una buona assistenza sociale, bensì sono segnati dalle cicatrici degli addii. È il dolore, non la bella vita, a segnare le persone, nel passato come nel presente. Pensiamo ai vescovi e ai parroci negli stati d'oltrecortina all'epoca della dittatura comunista. Il carcere e la persecuzione li resero leggeri, chiari e trasparenti per il regno di Dio.

L'esistenza di discepoli così è un segno per tutti i cristiani. Al filosofo danese Soren Kierkegaard risale l'immagine delle oche selvatiche. Le oche addomesticate nel recinto vedono volare le altre in alto nel cielo, libere ed eleganti. Gesù ha optato per le oche selvatiche, non per quelle domestiche nel pollaio.
Quando le oche domestiche vedono volare le loro cugine selvatiche della stessa specie, è come se il battito d'ali degli uccelli selvatici le spingesse involontariamente ad agitare le ali. E tale battito d'ali significa per loro, contemporaneamente, timore e seduzione. Anche se non condividiamo lo stile di vita di Gesù, prima o poi nella nostra esistenza viene il momento in cui possiamo proprio aver bisogno di un frammento di questa libertà e di quest'anelito vittorioso.

C'è non poco eroismo nella decisione di essere cristiani. C'è sempre un prezzo alto per ciò che vale molto.
Gesù cammina davanti e i suoi passi sono lunghi e decisi. Seguirlo è faticoso.
L'ideale di Gesù non è l'essere umano equilibrato sotto ogni aspetto e preoccupato di salute e prestigio. Gesù opta per coloro che corrono il rischio della parzialità e scommettono tutto su una sola carta. Ha simpatia per le persone che vivono come uno che sa di non aver più molto da vivere - e in qualche modo ci troviamo tutti in questa situazione - e che ogni giorno si concentra, consapevolmente e integralmente, sull'essenziale.

Il cristianesimo non è una morale noiosa, secondo cui nessuno deve rischiare troppo. Troviamo noi stessi soltanto se diventiamo liberi di accomiatarci dalle cose e giungiamo al punto in cui riflettiamo sulla vita e sulla morte, in cui ci mettiamo in gioco nell'orizzonte di Dio. Soltanto dopo una radicalità del genere possiamo scoprire la gioia, la gioia smisurata, davanti alla quale non riusciamo a contenerci. Il prezzo di questa gioia è il dolore dell'addio. Come sarà stato quando Gesù disse addio a sua madre e alla sua famiglia, per andare a predicare in giro e morire poco più tardi?
Come in tutto, il dolore e la gioia vanno a braccetto!

Le due parabole che seguono ci invitano a riflettere seriamente: non possiamo impegnarci con Gesù alla leggera o fare le cose a metà. È importante arrivare fino in fondo. Le immagini usate da Gesù appartengono alla stessa sfera: si tratta di costruire una fortificazione o di mettere in campo le forze armate: diventare discepolo è un po' come arruolarsi in tempo di guerra.

È quello che, ingenuamente, esprime una tredicenne:

"La cosa più importante è l'educazione religiosa. Devo stare attenta a non diventare atea, che è una cosa che può succedere facilmente. Devo leggere buoni libri e non guardare tanto la televisione, perché fanno vedere tante cose senza Dio. Ma è una cosa che mi costa fatica perché le trasmissioni da ateo sono davvero divertenti".

La prima lettura ci ha avvertiti:

I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni,perché un corpo corruttibile appesantisce l'animae la tenda d'argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.

Essere discepolo di Gesù significa proprio ritrovare quella forza interiore che fa di noi dei liberi amanti di ciò che veramente conta per l'eternità

Don Bruno FERRERO sdb
Fonte:http://www.donbosco-torino.it/

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