mons. Roberto Brunelli"Non saremo più noi a servire Dio"

Non saremo più noi a servire Dio
mons. Roberto Brunelli
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/08/2016)
Vangelo: Lc 12,32-48 
Con la parabola di domenica scorsa, quella dell'uomo ricco che fa progetti su come godersi i suoi
beni, ma scioccamente perché subito muore, Gesù ha invitato ad arricchire piuttosto davanti a Dio. Oggi (Luca 12,32-48) egli aggiunge: "Procuratevi un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma", e senza indugiare: "Tenetevi pronti, perché il Signore verrà nell'ora che non immaginate".
La necessità di essere attenti a quell'incontro decisivo torna spesso nei discorsi di Gesù. Nel brano odierno egli la sviluppa con la parabola dei servi che aspettano il ritorno del padrone, pronti ad aprirgli anche se tarda e rientra in piena notte: per questo tengono le luci accese e la cintura ai fianchi (gli uomini allora portavano una veste lunga sino ai piedi; la cintura serviva a tenerla sollevata quando occorreva essere agili nei movimenti). Sorprendente sarà allora l'atteggiamento del padrone: se li troverà pronti, sarà lui a stringersi le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà lui a servirli!
Con questa parabola ambientata di notte, Gesù prospetta la vita come una veglia d'attesa, che prelude al giorno luminoso della vita eterna. Per potervi accedere bisogna essere pronti, con i conti in ordine, nella consolante prospettiva che, "di là", non saremo più noi a servire Dio, ma lui stesso ci accoglierà alla sua mensa, cioè ci assicura il massimo degli onori e della felicità.
L'immagine della vita terrena come una veglia notturna in attesa del giorno era già stata accennata dal profeta Isaia, che parla del soldato trepidante nei rischi dell'oscurità, e anelando alla luce chiede: "Sentinella, quanto resta della notte?" Nelle parole di Gesù, però, la "notte" della vita terrena non è un tempo vuoto, durante il quale si può solo cercare di resistere alla paura di oscure minacce e pericoli incombenti. E' invece un tempo attivo, in cui darsi da fare al meglio delle proprie capacità perché, si dice sempre nel brano odierno, "a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto".
Come risulta dalla parabola dei talenti (Matteo 25,14-30), tutti, chi più chi meno ma tutti ne sono stati dotati, e tutti sono invitati a farli fruttare. Chi pensa di non averne, in realtà non si è sforzato di scoprirli; chi dà spazio alla noia, è perché non li valorizza. Fondamentale è poi il modo e il fine per cui un uomo usa i propri talenti, siano essi l'intelligenza, la salute, la formazione ricevuta, o il tempo e i beni di cui dispone. Circa il modo e il fine, due sono le vie: quella di chi concepisce la propria vita nei limiti angusti del tempo presente (e allora in genere sfrutta i talenti solo a proprio vantaggio) e quella di chi opera con un orizzonte più ampio, in vista del giorno senza tramonto. Anzi, chi intende accumulare il suo tesoro nei cieli, in certo modo alla vita dei cieli già partecipa perché - sono sempre parole del Maestro - "dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore".
D'attualità è poi la seconda lettura di oggi (Lettera agli Ebrei 11). Vi si traccia un fervido elogio della fede di Abramo, il quale, "chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso"; inoltre, messo alla prova, per fede egli arrivò ad offrire il suo figlio Isacco, unica via perché si realizzasse la promessa di una discendenza. Sussistono tuttora, come attestano i tragici eventi delle ultime settimane, tensioni talora fortissime tra ebrei, cristiani e musulmani: essi dovrebbero ricordare più spesso che tutti pongono Abramo all'origine della propria fede; tutti credono nel Dio di Abramo, tutti confidano di accedere un giorno alla città di Dio. Se lo ricordassero più spesso, questo mondo sarebbe senz'altro migliore.

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