Padre Paolo Berti, “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra;...”

XX Domenica del tempo ordinario      
Lc 12,49-57
“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra;...”
Omelia 
La situazione creatasi a Gerusalemme al tempo di Sedecia è un esempio di involuzione verso una
realtà dove un uomo immobilizza l'altro. I consiglieri di Sedecia l'avevano convinto a ribellarsi al dominio di Nabucodònosor stabilito sulla città due anni prima, nel 597. Come si vede dalla prima lettura, il re ormai non poteva più contrastare i suoi ufficiali. Essi a loro volta erano legati al re, perché da lui ne ricevevano potere. La gente di Gerusalemme era poi legata al re e agli ufficiali del re. Tutti a Gerusalemme si sorreggevano a vicenda dopo la ribellione a Nabucodònosor. Tutti si compattavano nel sogno di poter aver partita vinta, visto che l'esercito babilonese che assediava Gerusalemme si era ritirato verso Tiro, alla notizia che l'esercito egiziano era in marcia verso Gerusalemme. La speranza che l'esercito del faraone si prestasse a difendere la città, si dissolse in breve, e Gerusalemme di nuovo venne assediata dai generali di Nabucodònosor, senza più alcuna speranza.
Per il re restava la salvezza di rompere il legame coi suoi ufficiali e andare incontro ai generali di Nabucodònosor, che l'avrebbero rispettato, ma temeva l'accusa di codardia da parte dei suoi ufficiali. Questa via di salvezza l'aveva presentata al re, in tutta segretezza, Geremia.
Ma gli ufficiali del re erano contro Geremia e l'avevano accusato di disfattismo e ne volevano la morte, e Sedecia non seppe sottrarsi a questa situazione aggrovigliata. Si era stabilito a Gerusalemme il meccanismo proprio di una resistenza settaria, senza ragionevolezza, e questo con il supporto di falsi profeti.
Sedecia invece rimase indeciso, tentennante, e finì nelle mani dei Babilonesi, che l'uccisero.
Ciò che portò alla morte Sedecia fu il non aver ascoltato Geremia, dubitando che fosse un autentico profeta. La compattezza e la baldanza dei suoi ufficiali gli furono di inganno, e così finì miseramente.
Occorre sempre grande determinazione per liberarsi dai tentacoli del mondo, dalle sue profezie dissennate. Gesù senza reticenze ce lo dice. Chi non ha volontà decisa non riesce a troncare i tentacoli del mondo. La battaglia da sostenere contro il mondo è presente ovunque. E' presente anche nelle famiglie dove si creano dolorose situazioni. Il cristiano viene combattuto anche nella sua casa, anzi a volte trova lì le massime ostilità. Non sono i cristiani a fare la guerra, ma sono coloro che li rifiutano a fare guerra a loro. Il mondo vede i cristiani e li combatte proprio perché sono cristiani.
Difficile è essere sereni, calmi, quando si è colpiti proprio all'interno delle relazioni familiari, ma è sempre possibile, con l'aiuto di Dio. E' possibile rimanere nella carità anche quando si è colpiti dai familiari. L'amore umano viene straziato, ma tuttavia si ingigantisce quello soprannaturale, la caritas. Infatti: (Rm 8,37) “Noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati”.
Non è il “buonismo” che salva, ma la carità. Il “buonismo” viene a compromessi con la verità, mira a mantenere il quieto vivere, tende al qualunquismo. L'amore cristiano invece rifugge il compromesso, le finzioni, perseguendo (Fil 4,5.8) “quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e merita lode”. Non siamo noi a creare la divisione, ma coloro che rifiutano l'autore della vera unità, cioè Cristo. La ribellione di Gerusalemme contro Nabucodònosor aveva compattato Gerusalemme dandole l'idea di essere forte e una, mentre invece si stava sfaldando in un settarismo fatale, in un delirio profetico fatto di menzogna. Veramente labbra bugiarde si dicevano menzogne l'uno all'altro (Ps 11/12,3).
Tanti i falsi profeti oggi! Tanti i falsi profeti di un'unità che si rivelano sempre di più strumenti di divisione. Voi mi direte: “Ma se Gesù è venuto a portare unità sulla terra, come è possibile che dica che è venuto a portare divisione?“. “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione”; dice Gesù, ma ciò lo dice a chi pensa che sia venuto a portare la concordia con il mondo, nemico di Dio, l'accoglienza di qualsiasi posizione di pensiero, il non rischio, l'abbondanza materiale, l'assenza di croci. Gesù divide, ma dal mondo, e avesse dato ascolto Sedecia alle parole del profeta Geremia! E Gesù non lancia nessuno contro il mondo, anzi invita tutti i credenti in lui ad essere partecipi della sua azione salvifica verso il mondo. Geremia è un chiaro esempio di questo restare nel mondo. Dio non allontana Geremia da Gerusalemme, lo fa restare, operare, anche se segno di contraddizione; così come Gesù non fuggì Gerusalemme. Guardando la tribolazione di Geremia, che stava per morire di fame nel fango di una cisterna, siamo spinti a considerare quanto debba essere grande la nostra fedeltà alla missione d'amore affidataci da Dio.
“Sono venuto a gettare il fuoco sulla terra”, dice Gesù, e non il ghiaccio, il gelo. E' il fuoco dello Spirito Santo che brillò nel cenacolo, e cominciò a dilagare nel cuore degli uomini per opera della Chiesa. Non è il fuoco del giudizio, della condanna (Ap 20,8); è il fuoco d'amore che consuma le imperfezioni, i residui del peccato; che accende i cuori, li illumina, li centra a Cristo affinché, in Cristo, diventino un cuor solo.
Nella Gerusalemme di Sedecia regnava il peccato, quello che fa sì che venga annientata la vera solidarietà tra gli uomini, ponendo al centro l'egoismo e la diffidenza reciproca.
Gesù è venuto ad elevare e purificare la solidarietà umana tra gli uomini in solidarietà soprannaturale col fuoco dello Spirito Santo. E' “fuoco” che procede da Dio, ed è accolto e testimoniato dalla Chiesa. Testimoniato coi fatti, poiché nessuno può entrare a far parte della Chiesa se non è stato conquistato dall'amore della Chiesa per lui; in concreto, da qualcuno, da tanti testimoni dell'Amore.
Veramente noi siamo circondati da un gran numero di testimoni, quelli viventi nel tempo, ma anche quelli già giunti nell'eternità e che ci hanno lasciato un imperituro esempio. Essi non hanno detto ad alcuno: “Devi amarmi!”: si sono fatti amare. Cristo non ha detto “devi amarmi”, pur affermando il primo comandamento, ma ha voluto che si affermasse in noi l'imperativo di amarlo vedendo il suo amarci. Certo, il primo comandamento è imperativo, ma dentro il quadro di un'alleanza offerta da Dio, e dato quando Dio già aveva dimostrato di amare per primo liberando Israele dall'Egitto.
Amare Dio vuol dire obbedirgli.
L'errore, spesso ripetuto anche da tanti cristiani, è quello di credere di poter amare Dio senza obbedirgli. Errore, perché Dio ha un disegno d'amore per noi, e questo disegno è Cristo; disobbedire a questo disegno è rifiutare Dio. Scartare questo disegno per abbracciare le proprie vedute è perdersi, così come si perse l'infelice Sedecia, che volle seguire le sue vedute scartando la parola di Dio pronunciata da Geremia. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Fonte:perfettaletizia.it

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