Don Severino GALLO sdb "PORTARE LA CROCE... DIETRO GESU'"

4 settembre 2016 | 23a Domenica - T. Ordinario- Anno C | Omelia
PORTARE LA CROCE... DIETRO GESU'
VANGELO: "Chi non porta la propria croce non può essere mio discepolo" (Lc. 14,25-33)

Il Vangelo odierno afferma che il vero discepolo è colui che antepone Gesù a tutti i valori umani. Per
essere suoi discepoli non è richiesto d'essere uomini superiori; infatti il rapporto che unisce il discepolo al maestro non è esclusivamente, né primariamente, d'ordine intellettuale. Seguire Gesù significa impostare la propria condotta sulla Sua, ascoltare le sue lezioni e conformare la propria vita secondo quella del Salvatore.

Le due brevi parabole presentate dal Vangelo ci ricordano che l'impegno cristiano al servizio di Gesù non è una questione di pura forma o di convenzione. La vita cristiana è un affare serio, che bisogna affrontare con la circospezione con cui si trattano gli affari più importanti della vita privata (per esempio: costruire una torre) e della vita pubblica (come: fare una guerra).
Il discepolo di Gesù non può agire per impulso, ma solo dopo aver riflettuto attentamente sugli impegni che si assume con la vita cristiana.

Anche quest'oggi la parola di Gesù è severa. Il suo discorso ritorna, con insistenza, al tema di fondo dell'adesione generosa essenza compromessi suo messaggio. Ancora una volta siamo invitati ad esaminare il grado di decisione della nostra risposta cristiana.
Dobbiamo cominciare la nostra riflessione con un grande atto di umiltà. A questo ci invita la prima lettura istituendo un confronto tra le nostre vedute, meschine, limitate, condizionate e la sapienza di Dio che spazia all'infinito e non ha segreti. Qual è il nostro compito di fronte a questa verità? Non è forse quello di chiudere gli occhi e chinare la testa e non dubitare della sapienza e bontà di Dio?
"Qual uomo può conoscere il volere di Dio?" (Sap. ),13). Cioè, chi può sapere con precisione il disegno divino, dove Dio vuole condurre la storia e la nostra vita?

Di fronte al mistero del mondo, del cuore umano, delle contraddizioni della nostra epoca, che cosa ci resta da fare se non un atto di fede illimitata in Dio, somma sapienza, somma giustizia, somma bontà e infinito amore? Se sapessimo esprimere con slancio questo atto di fede! Come sarebbe più sereno il nostro cammino, meno pessimistico il nostro orizzonte!

Anche per accettare la croce di cui ci parla oggi Gesù nel Vangelo occorre un atto di fede. Dobbiamo cioè affidarci a Dio, ai suoi ragionamenti, e non ai nostri calcoli o alla nostra saggezza.
"Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli... non può essere mio discepolo" (Lc.14,26). Ma è mai possibile? Questo linguaggio di Gesù è sconcertante! Nessuno ha mai parlato come lui.

Tanto più le sue raccomandazioni stupiscono, in quanto Egli stesso altrove dice di amare i nemici e di benedire i calunniatori. Dunque ai nemici l'amore e ai genitori l'odio? Nulla di più paradossale. Le parole di Gesù vanno intese nel giusto senso.
Il termine odiare nel suo senso semitico significa "amare di meno". Soltanto colui che è capace di anteporre Gesù a tutti i valori umani e di sacrificare la propria vita in testimonianza di lui può gloriarsi di essere suo discepolo.
La fede portata da Gesù è una cosa seria; tanto seria da occupare il primo posto nel cuore dell'uomo e da richiedere, all'occorrenza, i sacrifici e le rinunce più dure e scottanti.
L'uomo, messo alle strette tra i genitori e Gesù, deve scegliere Gesù. Si tratta di casi limite che solo eccezionalmente possono capitare; per lo più l'uomo si trova a mettere insieme le esigenze naturali e quelle di Gesù; ma se l'estremo caso si presentasse, il cristiano sa come deve regolarsi.


Mons. GIOVANNI BATTISTA EPALLE, marista, martire dell'Oceania, era andato a casa a prendere congedo dal padre prima di partire per le missioni. Aveva accennato velatamente alla sua prossima partenza ed era andato a letto.
Ma ecco che, poco dopo, il babbo andò nella sua cameretta, s'inginocchiò vicino a lui e cominciò a piangere disperatamente. Il giovane si accorse che la tenerezza di quel vegliardo avrebbe vinto la sua risoluzione. Perciò gli disse:
- Babbo, ritirati un istante, ti prego, affinché mi alzi e mi vesta!
Aveva preso la sua decisione: era necessario rompere bruscamente ogni legame, facendo violenza al cuore. Pertanto si alzò, indossò i suoi abiti, e, senza far rumore, invece di uscire dalla porta, scese nel salone, aprì la finestra e si lasciò scivolare sulla strada... e partì.
Aveva scelto Gesù, anteponendolo al proprio babbo e per questo meritò da Gesù la corona del martirio.
Cari Fratelli e Sorelle, di fronte a un simile eroismo, che cosa diciamo noi? I nostri distacchi sono ben piccola cosa in paragone! Eppure quanti piagnucolamenti, quante viltà, quante resistenze! Impariamo anche noi e decidiamoci a portare la nostra croce dietro a Gesù.
Ecco infatti l'ammonitrice parola del Maestro: "Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo" (Lc. 14,27). Il discepolo di Gesù non può essere un gaudente, uno spensierato.
Portare la croce significa accettare la sofferenza, quella che ci viene da noi stessi, dal nostro fisico, dal nostro carattere, e quella che ci viene dagli altri, dall'ambiente, dalle circostanze, dagli eventi.
Portare la croce significa aver capito che l'accettare il messaggio di Gesù ci pone in una condizione di difficile rottura, di costante disagio, di vivace tensione.
Portare la croce significa stabilire il proprio impegno cristiano in un piano di grande serietà; significa essere pronti a lasciare tutto, la salute, la fama, la stima, i beni materiali, la vita stessa per mantenere fede alla propria scelta.
Portare la croce significa essere disposto a perdere tutto, ma non Lui, Gesù, nostra salvezza, nostro TUTTO.
Ci sono degli uomini capaci di un così alto eroismo? Ci sono stati dei poveri uomini , come siamo noi, che di fronte a queste durissime esigenze della sequela di Gesù, hanno detto di sì e sono stati fedeli?
La storia ne è piena


MASSIMILIANO KOLBE è uno dei più recenti.
Nella sua vita si legge che un giorno ebbe una visione della Madonna che gli offriva due corone: una rossa simbolo del martirio, e una bianca simbolo della purezza. Nel suo entusiasmo giovanile Massimiliano le scelse tutte e due.
Avviava così idealmente la sua vita cristiana e religiosa sulla via della croce, che lo porterà a dare la sua vita per un condannato a morte, in un campo di concentramento.
Cari Fratelli e Sorelle, accogliamo anche noi gioiosamente dalle mani della Madonna le due corone del candore e del martirio; e se il nostro non sarà martirio del sangue, sarà almeno il martirio del cuore, che ci renderà simili alla nostra Mamma, Regina delle Vergini e Regina di tutti i Martiri
Don Severino GALLO sdb

Fonte:http://www.donbosco-torino.it/

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