DON Tonino Lasconi, "Bisognosi di misericordia"

Bisognosi di misericordia
XXIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2016
Nella liturgia di questa XXIV domenica del tempo ordinario sono narrate le tre parabole della
misericordia del capitolo 15 del Vangelo secondo Luca: possiamo ritrovarci in ciascuna di esse, perchè attraverso questa Parola il Signore vuole invitarci oggi alla conversione e alla fiducia nel suo amore di Padre.

In questa domenica, al centro della parola di Dio che viene proclamata, ci sono le tre parabole della misericordia, probabilmente le pagine più conosciute del vangelo: il buon pastore e la pecora smarrita, talmente suggestiva ed efficace da avere ispirato la prima immagine di Gesù; la donna che ritrova la moneta smarrita, un po' oscurata dalla precedente; il padre misericordioso che accoglie il figlio che ritorna dopo aver dissipato l'eredità. Questi tre brani, da sempre utilizzati nel catechismo dei bambini, nelle prediche e nelle liturgie penitenziali, sono stati talmente riproposti in questo Anno Santo della Misericordia da rischiare fortemente la sensazione del "questa la so".

Il primo impegno, perciò, è evitare questa sottile insidia, rinnovando la consapevolezza che la Parola non è un libro per arricchire le nostre conoscenze, ma è il Signore che ci parla per invitarci all'ascolto e alla conversione, e non ci dice mai le cose di ieri. Ci parla "oggi", per questo "oggi".

Prima di tutto, per accogliere con timore e amore la sua parola, riconfermiamo il nostro grazie al Padre, sempre disposto a perdonarci. Sempre! Anche se siamo un "popolo di dura cervice", come ci assicura Mosè. Sempre pronto a usarci misericordia in "Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori". Sempre! Ce lo garantisce Paolo per esperienza personale, anche se fossimo stati "un bestemmiatore, un persecutore e un violento".

Subito dopo, con tutta la sincerità possibile, verifichiamo se davvero sentiamo il bisogno della misericordia del Padre, oppure se, come i farisei e gli scribi, riteniamo che i peccatori siano gli altri.


Entriamo nella parabola

Per compiere questa verifica, entriamo nella parabola e identifichiamoci con i due figli.
Iniziamo con il figlio più giovane. Sappiamo quello che dice e che fa. Eccolo mentre lascia la casa con "tutte le sue cose", condensate – immaginiamo - in uno scrigno pieno di monete d'oro e d'argento.

Non pare di poter essere come lui, perché noi "la parte di patrimonio che ci spetta", "le cose nostre" da portare via non ce le abbiamo. Lo sappiamo dal catechismo che tutto quello che abbiamo è di Dio. Invece non è così, perché l'intelligenza, la libertà, la capacità di amare, i doni che Dio ci ha dato nel crearci a sua immagine sono nostri. Essi sono il nostro patrimonio e ci spetta. Possiamo usarlo con lui e per lui, oppure andare a sperperarlo in un paese lontano, vivendo in modo dissoluto, a divorarlo con le prostitute.

Quanto e come adoperiamo le nostre capacità, le nostre qualità, la nostra libertà, i nostri beni spirituali, morali e materiali per il Padre, cioè per i suoi figli? Non è vero che troppo spesso ci accontentiamo di una vita passabile, senza infamia e senza lode, con piccole aperture temporanee ed estemporanee verso gli altri? Non è vero che a volte li sperperiamo con le prostitute: i falsi dei che ci costruiamo?

Sì, siamo come il figlio più giovane. Rientriamo in noi stessi, convinti che fuori della casa del Padre non ci sono altri padri ma soltanto padroni, e decidiamoci a tornare sicuri della sua "grande misericordia".

Il figlio maggiore. Costui ci sembra anche più lontano da noi, tant'è vero che, come quando parliamo ai bambini, lo lasciamo fuori dal racconto. E' antipatico e ignorante, anche se non ha tutti i torti ad avercela con il fratello che l'aveva lasciato solo a lavorare i campi, e con il padre che si era lasciato abbindolare. No, noi non siamo così. Sì, il nostro rapporto con Dio, e di conseguenza con i fratelli è quello che è: il minimo sindacale. Se è così, siamo come lui. Sbrighiamoci ad entrare e imploriamo la sua grande misericordia.

E la pecorella smarrita che il pastore, dopo averla ritrova, riporta nell'ovile, chiamando gli amici per fare festa, chi è? Non vorrai mica dire che siamo noi?

Se per noi la parabola non è un raccontino edificante, ma è il Signore che ci parla, quella pecora siamo noi. Ciascuno di noi. Lasciamoci ritrovare!

Fonte:http://www.paoline.it/

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