FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio Divina "Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte "

XXIV Domenica del Tempo Ordinario
Antifona d'ingresso
Da’, o Signore, la pace a coloro che sperano in te;
i tuoi profeti siano trovati degni di fede; 
ascolta la preghiera dei tuoi fedeli 
e del tuo popolo, Israele. (cf. Sir 36,15-16) 

Colletta
O Dio, che hai creato e governi l’universo, 
fa’ che sperimentiamo la potenza della tua misericordia, 
per dedicarci con tutte le forze al tuo servizio. 

Oppure: 
O Dio, che per la preghiera del tuo servo Mosè 
non abbandonasti il popolo 
ostinato nel rifiuto del tuo amore, 
concedi alla tua Chiesa 
per i meriti del tuo Figlio, 
che intercede sempre per noi, 
di far festa insieme agli angeli 
anche per un solo peccatore che si converte. 

PRIMA LETTURA (Es 32,7-11.13-14)
Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.
Dal libro dell’Èsodo

In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». 
Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervìce. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».
Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”».
Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 50)
Rit: Ricordati di me, Signore, nel tuo amore. 

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. Rit:

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito. Rit:

Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi. Rit:

SECONDA LETTURA (1Tm 1,12-17) 
Cristo è venuto per salvare i peccatori. 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Canto al Vangelo (2Cor 5,19) 
Alleluia, alleluia.
Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo,
affidando a noi la parola della riconciliazione.
Alleluia. 

VANGELO (Lc 15,1-32) 
Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte. 
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Preghiera sulle offerte
Accogli con bontà, Signore, 
i doni e le preghiere del tuo popolo, 
e ciò che ognuno offre in tuo onore 
giovi alla salvezza di tutti. 

Antifona di comunione
Quanto è preziosa la tua misericordia, o Dio! 
Gli uomini si rifugiano all’ombra delle tue ali. (Sal 36,8) 

Oppure: 
Il calice della benedizione che noi benediciamo 
è comunione con il sangue di Cristo; 
e il pane che spezziamo 
è comunione con il corpo di Cristo. (cf. 1Cor 10,16) 

Oppure: 
“Facciamo festa, perché mio figlio era morto ed è tornato in vita, 
era perduto ed è stato ritrovato”. (Lc 15,24) 

Preghiera dopo la comunione
La potenza di questo sacramento, 
o Padre, 
ci pervada corpo e anima, 
perché non prevalga in noi il nostro sentimento, 
ma l’azione del tuo Santo Spirito. 

Lectio
Le tre parabole di Gesù, Figlio di Dio, riportate da Luca nel suo Vangelo al capitolo 15 descrivono con limpida chiarezza la grandezza dell'uomo che accoglie la signoria di Dio e la sua abissale povertà quando tenta di sottrarsi a lui.
È la tentazione dell'uomo di ieri di oggi e di sempre vanificare Dio Padre buono e tenero con tutte le sue creature, strapparsi il profilo di bellezza di grazia di figlio di Dio che dice la sua appartenenza: di immagine e di somiglianza a Lui (Gen. 1,26)
È bene leggere insieme le tre parabole perché anche le prime due, pur brevi, concorrono al messaggio a complessivo.

Com’è noto si tratta del racconto della pecora e della moneta prima smarrite e poi ritrovate. Il ritrovamento è fonte di gioia, la stessa gioia dice Gesù che si ha in cielo quando un solo peccatore si converte.
Gesù poi racconta la terza parabola, quella del padre di due figli. In essa tutto si gioca intorno alla loro relazione.
La parabola del Padre misericordioso è un monito chiaro perché la Chiesa sia sempre prodiga dispensatrice di quella misericordia da cui ella stessa rinasce ogni giorno.

v. 15,1: Nonostante le forti esigenze del Regno pubblicani e peccatori non desistono dall’ incontrare Gesù, ascoltare la Sua Parola e riflettere sui suoi insegnamenti. I primi, pubblicani, erano odiati da tutti perché riscuotevano le tasse per conto di un dominatore straniero. Essi erano considerati peccatori della peggiore specie paragonabile ai pagani. I peccatori, lontani dal culto e trasgressori della legge, erano gli esclusi del Regno, dai discepoli di Gesù ammessi solo come uditori della Parola di Vita Eterna. I peccatori, secondo i “giusti”, non possiedono la veste nuziale, requisito per entrare e far parte al banchetto del figlio del Re.

v. 15,2: Gli Scribi e i farisei, esperti della Torah, si consideravano i giusti. Costoro saranno i primi tra gli invitati al banchetto ed occuperanno posti di rilievo: ne sono certi! La parabola è un invito ai giusti a convertirsi dalla presunzione di giustizia che li esclude dalla gioia del Padre. È lui che giustifica. Costoro sono chiamati a fare il passaggio dalla legge al Vangelo, bella notizia di Gesù, Parola che salva e fa nuove tutte le cose. (Ap. 21,5)

15,3-4: Nel Nuovo Testamento Gesù è il pastore “bello”: bellezza spirituale di un profilo umano divino superiore a qualunque altro. Egli è il pastore che va in cerca della pecora smarrita per ricondurla alla abbraccio tenero e misericordioso del Padre. Egli è il pastore che si è fatto agnello e dà la vita per le sue pecorelle, fatto ultimo di tutti perché il Padre portasse in Lui perduto e ritrovato gioie di tutti i suoi figli. (Lc 3,22)

15,5-7: Luca è l'evangelista della gioia! I giusti entreranno nella casa del Padre quando ascolteranno il suo invito a congioire con lui per il fratello morto e risorto. I vicini sono i giusti, i primi chiamati al banchetto che hanno rifiutato (Lc 14,16 ss)
Sono gli scribi e i farisei che si distanziano dalla persona di Gesù, Figlio di Dio, proteso ad accogliere gli esclusi, i peccatori, figli anche loro del Padre. Gioia grande nel cielo, casa di Dio, quando le 99 pecore nel deserto saranno una unica identità con l'unica perduta e ritrovata.

15,8: Figura del pastore d'Israele prima era un uomo, ora metafora dell'amore materno di Dio è una donna. Le cento pecore rappresentano la moltitudine di Israele, le dieci dracme i pagani che pure fanno parte della famiglia di Dio.
La dracma è una moneta in uso presso i pagani, di scarso valore. Ma si può considerare da come questa donna agisce che sia tutto il suo tesoro. Tutto il mondo davanti a Dio è un grano di polvere ma Dio lo ama perché tutto esiste solo se amato da Lui amante della vita. “Il suo spirito è in tutte le cose”. (Sap 11,22-26)

15,9-10: Gesù porta ora una donna come esempio del suo comportamento. Una donna perde una delle dieci dracme che conservava con cura e costituivano i beni che aveva ricevuto in eredità dal padre. Per cercarla deve accendere la lampada perché non c'è molta luce nell'unica stanza senza finestre della sua casa. Con i tre verbi viene sottolineato lo sforzo della ricerca; la gioia espressa è condivisa con una comunità riflesso della realtà vissuta in cielo.

15,11-13: L'uomo del quale fa riferimento il testo è Dio. Egli è insieme padre e madre, legge e amore. I due figli indicano la comunità degli uomini “giusti e peccatori”. Dio non fa differenze; per lui siamo sempre e comunque figli anche se adottivi: figli nel Figlio suo Gesù Cristo.
Il Padre misericordioso è il protagonista autentico ed è Padre di misericordia nei confronti di due figli che non si riconoscono i figli. Il figlio minore che si allontana e va in un paese lontano che Sant'Agostino chiama la regione della dissomiglianza non è un luogo geografico. È la lontananza spirituale: diventa estraneo al Padre.
La regione della somiglianza è lo stato dell'uomo che si allontana da Dio e perde i connotati di parentela, i lineamenti per cui assomiglia al Padre. Il figlio minore desidera autogestire la propria vita, libero da ogni costrizione, libero da ogni regola di comportamento, lontano dallo sguardo del Padre. È il peccato atavico dei progenitori Adamo ed Eva che si è innescato nella natura umana trascinando in un gorgo abissale ogni uomo e ogni donna che fa cattivo uso della libertà. (Agostino, Confessioni, Libr. VII, 10)

15,14-16: Credere di godere la vita senza Dio o lontano da Lui è come respirare senza aria. Perso il rapporto con la propria fonte si cercano le briciole di vita per soddisfare la propria sete.
“Su, godiamo dei beni presenti facciamo uso delle creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito e di profumi; coroniamo di boccioli di rose prima che avvizziscano. (Sap. 2,6-8). Ciò che avvicina a Dio è il bisogno. Da sempre, dall'eternità Dio è Padre e Madre e ha teso l'orecchio, il cuore e lo sguardo verso il proprio figlio in difficoltà con il desiderio insondabile di colmare le sue attese, ristabilire quella comunione, quell'equilibrio che solo Lui è in grado di colmare, quell’abisso che gli è. Fatto da Lui, solo in Lui è se stesso. (Agostino, Confessioni, Libr. IX, 27)

15,17-18: L'uomo che ha abbandonato Dio ne sente il vuoto assoluto: è il suo posto lasciato vacante. L'alternativa a Dio non è l'ateismo ma l'angoscia del nichilismo, del nulla. Dietro tanta angoscia moderna c'è il crollo di falsi valori. Dietro di noi c'è una misteriosa arca davanti a cui ogni idolo si infrange. La nostalgia del padre è essenziale all'uomo che è sempre figlio. Nostalgia significa dolore del ritorno. È un dolore che conosce e indica la strada per trovare la pace e cresce in proporzione alla lontananza 

15,19-20: Essere figlio non è questione di vita o di merito: è un dato di fatto. Il figlio non ha ancora capito che il Padre è un amore necessario e gratuito. Pensa, non avendolo meritato, di rinunciare alla sua paternità. La conversione è accettare Dio come Padre che ama gratuitamente. Lo sguardo di Dio verso il peccatore è tenero e benevolo come quello di una madre verso il figlio malato

15,21-23: La nostra prima veste di gloria è il suo stesso esserci Padre che ci costituisce suoi figli. Essa non può mai essere distrutta: è la nostra essenza di figli che resta sempre con lui, nel Figlio. Quelli che sono stati accolti e hanno ricevuto l'abbraccio tenero del Padre sentendosi amati da Lui santi, e diletti nel Figlio come lui sono rivestiti di misericordia, bontà, umiltà, mansuetudine, sapienza e amore reciproco. (Col 3,12 e ss). È la nuova veste di chi è rigenerato dal Battesimo: ci rende figli e ci rivela figli. Al figlio peccatore, proprio perché figlio, gli spetta l'anello con il sigillo che gli conferisce il dominio su tutto (Gen 1,28). I sandali, segno della recuperata figliolanza della libertà di figlio. Lo schiavo non porta i sandali. I suoi piedi hanno già ormai troppo camminato in terra straniera conoscendo la nudità della schiavitù.
Il vitello immolato, che si mangia facendo festa, è allusione alla Eucaristia: è il pane del regno che Gesù mangia con i peccatori; la sua vita si fa nostra vita. Tutti i sentimenti del Padre confluiscono nel mangiare e fare festa con il sacrificio del vitello grasso. È la festa dell'Eucaristia, la gioia del Padre nel trovare Gesù, il figlio perduto per noi.

15,24: L'esperienza più forte e fondante ogni essere umano è proprio questa: considerarsi figlio, cioè riconoscere che non siamo causa di noi stessi. Possiamo diventare fratelli impegnandoci, possiamo diventare sposi amando bene ma non possiamo diventare figli: lo siamo solo per nascita.
Ora confrontiamo la realtà umana con quella divina. Una coppia di sposi che adotta un figlio può dare a questo bambino il proprio nome, la cittadinanza, l'affetto e l'eredità: può dare tutto. Una cosa non può dare: la somiglianza con sé. L’ intervento Di grazia operato da Dio nella nostra vita non solo ci attribuisce dei beni dall'esterno ma anche e soprattutto ci dona la “somiglianza” interiore con Dio. Ci assimila cioè, ci rende simili a Lui; attribuisce a noi gli elementi caratteristici della sua persona così che gli assomigliamo davvero. Così che il peccatore è chiamato “figlio mio”. Questa parola ricrea, fa nuova ogni cosa priva di vita, ci rende figli come Gesù nel Battesimo e nella Trasfigurazione. L'essere figli è l'inizio di una festa che non avrà più fine.

15,25-27: Israele è il figlio maggiore, il primogenito, il più vecchio, figura di ogni giusto. La parabola ha qui il punto chiave da mettere a fuoco. È un invito alla conversione; è cambiamento dell'idea di Dio che giusto è peccatore devono fare. Radice del peccato è la cattiva opinione sul padre comune sia per il maggiore che per il minore.
L’uno, per liberarsene, scegliere la strategia del piacere che lo allontanano da Lui, l'alienazione …. del nichilismo. L'altro, per accattivarselo, sceglie la strategia del dovere con una religiosità legalista e servile che mortifica la gioia del vivere. Ateismo e religione, dissolutezza e legalismo, nichilismo e vittimismo sono tutti aspetti che scaturiscono da un'unica fonte: la non conoscenza di Dio. La parabola, che inizia con il figlio minore e termina col fratello maggiore, ha come centro la rivelazione del Padre che ama perdutamente ogni figlio perduto

15,28-29: L'atteggiamento accogliente del Padre verso il figlio minore che ritorna è vissuto dal fratello maggiore come morte di tutta la sua vita servile. Egli è in casa con il padre ma non lo conosce perché non condivide nulla di lui, della sua vita. Egli è un estraneo, pur essendogli fisicamente vicino: è servo non figlio.

15,30-32: Essere schiavi invece che figli è il male di tutti gli uomini, giusti e peccatori. Con una sola differenza: il peccatore si ribella e se ne va, il giusto rimane a servizio in casa e dà fastidio al padre. Ambedue i figli sono fuori di casa: il minore se ne è andato lontano dallo sguardo del padre ma anche il maggiore è fuori e non vuole entrare.
L’affermazione “figlio tu sei sempre con me” caratterizza le tappe della pedagogia di Dio che si realizzano lungo tutta la nostra vita. Hanno il punto di partenza fondamentale nel Battesimo, ma il Battesimo dura una vita. Questo continuo perdersi e ritrovarsi è la struttura stessa del Cantico dei Cantici: illustra l'amore avventuroso tra Dio e l'uomo. Dio è sempre con noi e ci dona tutto, anche la sua stessa vita.

Appendice
Vera penitenza è non tornare a peccare
Se uno che è fuori dello scoglio della troppa ricchezza o troppa povertà ed è sul facile sentiero dei beni eterni, tuttavia, dopo la liberazione dal peccato, ricade e si seppellisce in esso, questo deve essere ritenuto rigettato da Dio. Chiunque, infatti, si rivolge a Dio con tutto il cuore, gli si aprono le porte, e il Padre accoglie con tutto l`affetto il figlio veramente pentito. Ma la vera penitenza consiste nel non ricadere e nello sradicare i peccati riconosciuti come causa di morte. Se ne levi questi, Dio abiterà di nuovo in te. E` una gioia immensa e incomparabile in cielo per il Padre e per gli angeli la conversione di un peccatore (Lc 15,2). Perciò è detto anche: "Voglio misericordia e non sacrificio. Non voglio la morte del peccatore, ma che si penta. Se i vostri peccati saranno come la porpora, li farò bianchi come la neve; e se saranno neri come il carbone li ridurrò come neve" (Os 6,6; Mt 9,13; Ez 18,23; Is 1,18; Lc 5,21). Solo il Signore può perdonare i peccati e non imputare i delitti e ci comanda di perdonare i fratelli pentiti (Mt 6,14). Che se noi, che siamo cattivi, sappiamo dare cose buone, quanto più il Padre della misericordia, quel Padre di ogni consolazione, pieno di misericordia, avrà lunga pazienza e aspetterà la nostra conversione? (Lc 11,13). Ma convertirsi dal peccato, significa finirla col peccato e non tornare indietro.
Dio concede il perdono del passato; il non ricadere dipende da noi. E questo è pentirsi: aver dolore del passato e pregare il Padre che lo cancelli, poiché lui solo con la sua misericordia può ritenere non fatto il male che abbiamo fatto e lavare con la rugiada dello Spirito i peccati passati. E` detto, infatti: "Vi giudicherò, come vi troverò (In Evang. apocr.)", in modo che se uno ha menato una vita ottima, ma poi si è rivolto al male, non avrà alcun vantaggio del bene precedente; invece, chi è vissuto male, se si pente, col buon proposito può redimere la vita passata. Ma ci vuole una gran diligenza, come una lunga malattia vuole una dieta più rigorosa e più accortezza. Vuoi, o ladro, che il peccato ti sia perdonato? Finisci di rubare. L`adultero spenga le fiamme della libidine. Il dissoluto sia casto. Se hai rubato, restituisci un po` di più di quanto hai preso. Hai testimoniato il falso? Impara a dir la verità. Se hai spergiurato, astieniti dai giuramenti, taglia i vizi, l`ira, la cupidigia, la paura. Forse è difficile portar via a un tratto dei vizi inveterati; ma puoi conseguirlo per la potenza di Dio, con la preghiera dei fratelli, con una vera penitenza e assidua meditazione. (Clemente di Ales., Quis dives, 39 s.)

Proprio l`umiliazione di Dio ci salva
Per peccati più gravi ci voleva una più potente medicina: i peccati erano stragi scambievoli, adulteri, spergiuri, furiosa sodomia e idolatria, che rivolge alle creature il culto del Creatore. E poiché queste piaghe avevano bisogno d`un aiuto più energico, tale esso venne. E questo fu lo stesso Figlio di Dio, più antico del tempo, invisibile, incomprensibile, incorporeo, principio dal principio, luce da luce, fonte d`immortalità, espressione della prima Idea, sigillo intatto, immagine perfetta del Padre e questo prende carne e per la mia anima si unisce all`anima umana, per purificare il simile col simile. E prende tutte le debolezze umane, eccetto il peccato (Eb 4,15), concepito da una vergine nell`anima e nel corpo già purificata dallo Spirito... O meraviglia di fusione! Colui che è, vien fatto, l`increato viene creato; colui che non può essere contenuto, è contenuto tra la divinità e lo spessore della carne. Colui che fa tutti ricchi, è povero; abbraccia la povertà della mia carne, perché io acquisti la ricchezza della sua divinità. Lui che è la pienezza, si svuota; si svuota della sua gloria, perché io diventi partecipe della sua pienezza. Che ricchezza di bontà! Quale mistero mi circonda? Ho ricevuto l`immagine di Dio, non l`ho custodita; lui si fa partecipe della mia carne, per portare la salvezza all`immagine e l`immortalità alla carne. Stabilisce un nuovo consorzio e di gran lunga più meraviglioso del primo; allora diede a noi ciò ch`era più eccellente; ma ora lui stesso s`è fatto partecipe di ciò che è più deteriore. Questo consorzio è più divino del primo; questo per chi ha cuore è molto più sublime... E tu osi rinfacciare a Dio il suo beneficio? E` forse piccolo, perché per te s`è fatto umile, perché quel buon Pastore, che diede la sua anima per le sue pecore (Gv 10,11), cerca la smarrita tra i monti e i colli, sui quali sacrificavi, la trova e se la pone su quelle stesse spalle, sulle quali prese il legno della croce, e la riporta alla vita soprannaturale, e ricondottala nell`ovile, dov`erano quelle che non ne uscirono mai, la tiene nello stesso luogo e numero di quelle? O è piccolo perché accende la lucerna, cioè la sua carne, e spazza la casa, purgando cioè il mondo dal peccato e cerca la dramma, cioè la regale immagine coperta di sporcizia viziosa, e, trovatala, chiama gli angeli suoi amici e li fa partecipi della sua gioia, dal momento che li aveva messi a conoscenza della sua economia? (Gregorio di Nazianzo, Sermo 38, 13 s.)

Conversione e remissione
Ricorda quello che lo Spirito dice alle Chiese: accusa gli Efesini di aver abbandonato l’amore, riprende gli abitanti di Tiatira per i loro stupri e l`uso di carni immolate agli idoli, imputa agli abitanti di Sardi che le loro opere non sono perfette; rimprovera gli abitanti di Pergamo d`insegnare dottrine perverse; quelli di Laodicea di confidar troppo nelle loro ricchezze. Eppure esorta tutti alla penitenza, anzi, ad essa li ammonisce. Ma non ammonirebbe chi non si pente, se a chi si pente le colpe non fossero perdonate. E` lui, è lui che "preferisce la misericordia ai sacrifici" (Mt 9,13).
Si allietano i cieli, e gli angeli lassù presenti, per la penitenza dell`uomo. Orsù, peccatore: sta` di buon animo! Vedi dove ci si allieta per il tuo ritorno. Che ci vogliono dimostrare gli argomenti delle parabole del Signore? La donna che, persa la moneta, la cerca, la ritrova e invita le amiche a rallegrarsi, non è esempio del peccatore ravveduto? Si è smarrita una sola pecorella del pastore, ma egli non ha premura maggiore per il gregge intero: ricerca quella sola, gli preme più di tutte le altre, e finalmente la trova, la porta sulle sue spalle, perché si era molto stancata vagolando. E non posso tralasciar di ricordare quel padre tenerissimo che richiama il figliol prodigo e con tanto cuore lo riaccoglie, ravveduto nella miseria: uccide il vitello ingrassato e manifesta la sua gioia con un banchetto. E perché no? Aveva trovato il figlio perduto; lo sentiva più caro, perché lo aveva riguadagnato. Chi dobbiamo intendere che sia quel padre? Dio, naturalmente: nessuno è tanto padre, nessuno è tanto affettuoso. Egli dunque riaccoglierà te, figlio suo, anche se ti sarai allontanato dopo esser già stato accolto, anche se tornerai nudo, solo per il fatto del tuo ritorno: e si allieterà più di questo ritorno che della regolatezza dell`altro figlio; ma solo se ti pentirai di cuore, se metterai a confronto la tua fame con la buona situazione degli operai di tuo padre, se abbandonerai il gregge di porci immondi, se ritornerai da lui, per quanto offeso, dicendo: "Ho peccato, padre, e non son più degno di esser chiamato tuo figlio" (Lc 15,14s). La confessione allevia il delitto, quanto la dissimulazione lo aumenta. La confessione infatti manifesta disposizione alla riparazione, la dissimulazione invece all`ostinazione. (Tertulliano, De paenitentia, 8)

Dio ci ha cercati per puro amore
"Dio è amore. E chi resta nell`amore resta in Dio e Dio rimane in lui" (1Gv 4,15-16). Abitano l`uno nell`altro, chi contiene e chi è contenuto. Tu abiti in Dio ma per essere contenuto da lui; Dio abita in te, ma per contenerti e non farti cadere. Non devi ritenere che tu possa diventare casa di Dio, così come la tua casa contiene il tuo corpo. Se la casa in cui abiti crolla, tu cadi; se invece tu crolli, Dio non cade. Egli resta intatto, se tu lo abbandoni. Intatto egli resta, quando ritorni a lui. Se tu diventi sano, non gli offri nulla, sei tu che ti purifichi ti ricrei e ti correggi. Egli è una medicina per il malato, una regola per il cattivo, una luce per il cieco, per l`abbandonato una casa. Tutto dunque ti viene offerto. Cerca di capire che non sei tu a dare a Dio, allorché vieni a lui; neppure la proprietà di te stesso. Dio dunque non avrà dei servi se tu non vorrai e se nessuno vorrà? Dio non ha bisogno di servi, ma i servi hanno bisogno di Dio perciò un salmo dice: "Dissi al Signore: tu sei il mio Dio". E` lui il vero Signore. Che cosa disse allora il salmista? "Tu non hai bisogno dei miei beni" (Sal 15,2). Tu, uomo, hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo. Il servo ha bisogno dei tuoi beni, perché tu gli offra da mangiare, anche tu hai bisogno dei suoi buoni uffici perché ti aiuti. Tu non puoi attingere acqua, non puoi cucinare, non puoi guidare il cavallo, né curare la tua cavalcatura. Ecco dunque che tu hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo, hai bisogno dei suoi ossequi. Non sei dunque un vero signore, perché abbisogni di chi ti è inferiore. Lui è il vero Signore che non cerca nulla da noi; e guai a noi se non cerchiamo lui. Niente egli chiede a noi, ma egli ci ha cercato, mentre noi non cercavamo lui. Si era dispersa una sola pecora; egli la trovò e pieno di gaudio la riportò sulle sue spalle (cf. Lc 15,4-5). Era forse necessaria al pastore quella pecora o non era invece più necessario il pastore alla pecora? (Agostino, In I Ep. Ioan. Tract., 8, 14)


Cari fratelli e sorelle!
Nel Vangelo dell’odierna domenica – il capitolo 15° di san Luca – Gesù narra le tre “parabole della misericordia”. Quando Egli “parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare” (Enc. Deus caritas est, 12). Infatti, il pastore che ritrova la pecora perduta è il Signore stesso che prende su di sé, con la Croce, l’umanità peccatrice per redimerla. Il figlio prodigo, poi, nella terza parabola, è un giovane che, ottenuta dal padre l’eredità, “partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto” (Lc 15,13). Ridotto in miseria, fu costretto a lavorare come uno schiavo, accettando persino di sfamarsi con cibo destinato agli animali. “Allora – dice il Vangelo – ritornò in sé” (Lc 15,17). “Le parole che si prepara per il ritorno ci permettono di conoscere la portata del pellegrinaggio interiore che egli ora compie … ritorna «a casa», a se stesso e al padre” (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Milano 2007, pp. 242-243). “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Lc 15,18-19). Sant’Agostino scrive: “È il Verbo stesso che ti grida di tornare; il luogo della quiete imperturbabile è dove l’amore non conosce abbandoni” (Conf., IV, 11). “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò (Lc 15,20) e, pieno di gioia, fece preparare una festa.
Cari amici, come non aprire il nostro cuore alla certezza che, pur essendo peccatori, siamo amati da Dio? Egli non si stanca mai di venirci incontro, percorre sempre per primo la strada che ci separa da Lui. Il libro dell’Esodo ci mostra come Mosè, con fiduciosa e audace supplica, riuscì, per così dire, a spostare Dio dal trono del giudizio al trono della misericordia (cfr 32,7-11.13-14). Il pentimento è la misura della fede e grazie ad esso si ritorna alla Verità. Scrive l’apostolo Paolo: “Mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede” (1 Tm 1,13). Ritornando alla parabola del figlio che ritorna “a casa”, notiamo che quando compare il figlio maggiore indignato per l’accoglienza festosa riservata al fratello, è sempre il padre che gli va incontro ed esce a supplicarlo: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo” (Lc 15,31). Solo la fede può trasformare l’egoismo in gioia e riannodare giusti rapporti con il prossimo e con Dio. “Bisognava far festa e rallegrarsi – dice il padre – perché questo tuo fratello … era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32). (Papa Benedetto XVI, Angelus del 12 settembre 2010)


Fonte:http://www.figliedellachiesa.org/

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