fr. Massimo Rossi, "Il giusto vivrà per la sua fede"

Commento su Luca 17,5-10
fr. Massimo Rossi  
XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (02/10/2016)
Vangelo: Lc 17,5-10
"Il giusto vivrà per la sua fede": questa sentenza del profeta Abacuc viene ripresa da san Paolo, il
quale lo dichiara ripetutamente e senza mezzi termini: "Il giusto vivrà per la sua fede" (cfr. Rm 1,17; Gal 3,11); e in base a questa dichiarazione pone sotto giudizio le opere della Legge e mette in guardia dal rischio dell'orgoglio.
Ma la sentenza del profeta è anche un invito a non lasciar spegnere la speranza.
Non è chiaro il tempo in cui Abacuc visse e parlò agli Israeliti in nome di Dio: con una certa approssimazione, l'opera del profeta si colloca tra il 618 e il 597 a.C., dalla conquista dell'Oriente da parte di Nabucodonosor al primo assedio di Gerusalemme. L'uomo di Dio annuncia la Parola a un popolo le cui sorti sono segnate: assediato dall'invasore straniero, con la prospettiva tutt'altro che remota, della deportazione.
È proprio in circostanze come queste che non si deve perdere la speranza!
Talvolta - spesso - non riflettiamo abbastanza sul significato delle parole e sul valore delle virtù: nelle situazioni difficili e dolorose, senza forse rendercene conto, ci dimentichiamo, o addirittura buttiamo via le nostre doti migliori, prima fra tutte la speranza.
E invece la speranza dovrebbe essere il nostro asso nella manica, la carta vincente da giocare proprio in queste circostanze! Del resto, la speranza cristiana è la virtù teologale che il buon Dio ci ha donato in occasione del battesimo, necessaria a reagire nei momenti difficili, nella cattiva salute, per non soccombere al male. Niente a che vedere con il calcolo delle probabilità, della serie: "Io speriamo che me la cavo...".
La speranza cristiana è saldamente ancorata alla fede, tanto per ritornare alla parola di Paolo e di Abacuc: se credo in Dio, credo anche che Lui mi aiuterà nel momento del bisogno: potrei nutrire qualche perplessità sul ‘come' Dio mi aiuterà; ma certo non avrò dubbi sul ‘sé!
La pagina della II Lettera a Timoteo allude alla sofferenza della comunità a motivo della fede in Cristo: l'apostolo dei pagani incoraggia il pastore e discepolo Timoteo a non temere nulla e a perseverare nell'annuncio del Vangelo.
Un discepolo del Signore non può essere timido! Al contrario deve eccellere nel coraggio, nella forza; ma anche nella prudenza, quella particolare virtù, necessaria a valutare le parole giuste da dire al momento giusto, e in che modo agire, per l'edificazione del Regno di Dio.
Sono passati venti secoli da quando Paolo scriveva alle giovani chiese dell'Asia Minore, e oggi ancora si muore per il nome di Cristo! Tanto per dire che questi insegnamenti non sono storia passata, ma costituiscono una scuola attualissima per tutti coloro che hanno gustato com'è buono il Signore (cfr. Sal 33) e tutti i giorni rischiano la vita, o anche solo umiliazioni in casa, al lavoro, con gli amici, accettando la sfida della fede.
La richiesta degli apostoli: "Accresci la nostra fede!" costituisce la preghiera per eccellenza.
Il Vangelo di Marco riporta una domanda analoga, formulata da un padre di famiglia che un giorno condusse al Signore il figlio epilettico e gli chiese di guarirlo; all'obbiezione del Maestro: "Se credi puoi tutto!", l'uomo timorato di Dio reagì: "Credo, Signore, ma aiutami nella mia incredulità." (cfr. 9,24).
Non si tratta, ovviamente, di quantità, ma di qualità, di verità; e qui cominciano gli equivoci: molti fedeli non sanno distinguere tra fede e religione; e così si illudono di avere più fede solo perché pregano di più; e anche chi li guarda, a volte pensa lo stesso: "Quello sì, che ha fede! guarda quanto prega!". La relazione tra fede e religione è analoga a quella che lega un sentimento al linguaggio con il quale si esprime: è possibile amare qualcuno, ma non mostrarglielo mai, nei fatti oltre che a parole? Certamente no! Attenzione però. È vero che un sentimento non è autentico se non lo si manifesta; ma ricordiamo che esistono manifestazioni esterne che non rispecchiano alcun sentimento: l'ipocrita agisce come se... Anche la carità potrebbe essere solo apparente: l'esempio che fanno i professori di morale - buoni quelli! - è il caso del mafioso che esce da Messa e getta una moneta al mendicante: in quel gesto apparentemente meritorio, non c'è nessuna espressione di fede, nessun desiderio di conversione; non renderà il delinquente più virtuoso; quel gesto non si può dunque identificare come atto di autentica carità.
Così pure la preghiera e gli atti religiosi in genere possono rispecchiare la fede, ma possono anche ‘profumare' di fariseismo ipocrita. Gesù ci mette in guardia: "Quando pregate, non fate come gli ipocriti. Essi volentieri nelle sinagoghe pregano in piedi e agli angoli delle piazze, perché la gente li veda. Ve lo assicuro: hanno già ricevuto la loro ricompensa." (Mt 6,5).
La fede non si può identificare con la religione anche perché (la fede) non si esprime solo pregando. Il Maestro di Nazareth ricorre al curioso esempio del gelso che si sradica e si tuffa in mare, per insegnare che la vera fede è sempre feconda, efficace; quando si dice "la fede fa miracoli!"...
La storia dei Santi è piena di esempi: ne cito uno per tutti, madre Teresa di Calcutta.
Come avrebbe potuto realizzare l'opera assistenziale tra le più significative del secolo, una donna albanese, apparentemente fragile, non ricca, non particolarmente dotata... se non avesse posseduto una fede da spostare le montagne?
La persona di fede non si accontenta di volare basso, per non correre rischi.
La persona di fede sa osare, pensa in grande.
La persona di fede non si vergogna di chiedere aiuto.
La persona di fede si fida anche dei suoi simili, senza essere ingenua. Questo è il secondo aspetto della fede: un vero cristiano non è diffidente! Avveduto sì, diffidente no!
Infine, il vero cristiano non si inorgoglisce del bene che ha compiuto, quasi fosse chissà quale prodezza. "Siamo servi inutili - ci ricorda il Signore - abbiamo fatto solo il nostro dovere.".
Ci basti sapere che, quando, al termine della vita terrena, ci presenteremo al Giudice supremo, saremo riconosciuti dalle opere che avremo compiuto (cfr. Mt cap.25). Allora saremo premiati con un biglietto di ingresso alla festa del Cielo. La fede non sarà più necessaria, e neppure la speranza. Resterà solo l'amore. Romantico? No, Vangelo!


Fonte:http://www.qumran2.net/

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