Alessandro Cortesi op,"Giustificazione"

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Sir 35,12-14.16-18; 2Tim 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14
XXX domenica tempo ordinario – anno C 2016
Preghiera è respiro della vita di chi si apre alla consapevolezza dello sguardo di Dio come sostegno
del povero, dell’orfano e della vedova. La pagina sapienziale del Siracide dercive il movimento della preghiera: “La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata”. La preghiera è ponte gettato oltre le nubi, in attesa. Nella fiducia – che la sostiene e la motiva – che Dio “ascolta la preghiera dell’oppresso, non trascura la supplica dell’orfano”. Il salmo 33 si fa eco di tale sguardo a Dio che si china sul povero: “Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti. Il Signore riscatta la vita dei suoi servi; non sarà condannato chi in lui si rifugia”.

Anche Gesù pone la preghiera al centro di una sua parabola riportata solamente da Luca nel suo vangelo: “Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri. Due uomini salirono al tempio a pregare…”. E’ una scena tratteggiata in modo rapido, immediato, quasi un acquerello in cui si distinguono profili e sfumature: una provocazione rivolta a coloro che si ritengono giusti, contro la presunzione. Il modo di vivere la preghiera rivela come s’intende il rapporto con Dio e come s’intende la propria esistenza. Nella parabola sono contrapposti due modi di pregare. C’è una falsa preghiera tutta centrata su di sé. In contrasto c’è lo stare davanti a Dio in autenticità.

Il fariseo si sente giusto; è bravo e religioso ma la sua vita è fondamentalmente ripiegata su se stesso. E’ senz’altro una vita buona e impegnata. E’ anzi una vita in cui l’impegno è sovrabbondante ma l’atteggiamento di fondo che guida tale tensione etica e religiosa è centrato sullo sguardo ai propri meriti, alle proprie realizzazioni. E’ pago di sé e non avverte il bisogno degli altri. Non chiede nulla, non si avverte povero. Vive l’attitudine di chi, ricco, offre qualcosa a Dio stesso per averne riconoscimento e ricompensa. Il suo pregare è in fondo un tentativo di piegare Dio alla sua grandezza piuttosto che un chinarsi alla bontà di Dio stesso. La sua è inoltre una religiosità della separazione: è orientato a Dio ma non si cura del vicino, anzi sis ente distante e disprezza chi non vive come lui. Vive un senso di superiorità e di disprezzo verso altri: ‘ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri disonesti e adulteri…’. La sua coerenza appare impoverita dalla freddezza, dall’assenza di invocazione, dal non comprendersi anche lui bisognoso. Non ha compassione.

L’esattore delle tasse, il pubblicano, è uomo consapevole di non essere a posto: non si trova a suo agio nel tempio, luogo di culto, rimane in fondo, defilato. Si rivolge a Dio e gli chiede solo pietà: ‘Dio, abbi pietà di me peccatore’. Non è un pensiero ben formulato, solo poche parole, un sospiro del cuore. La sua voce tuttavia è eco di quanto Gesù chiedeva ai suoi: non sprecare parole, affidarsi al Padre, chiedere la sua grazia, il suo regno. Il pubblicano sta davanti a Dio consapevole di non avere meriti da vantare e invoca uno sguardo di accoglienza. E’ uomo sincero, senza difese: si pone nella verità della sua vita, e si affida. Sa di non farcela con le sole sue forze. “Io vi dico: questi tornò a casa giustificato”: la sua vita diviene spazio di grazia accolta perché non è occupata da se stesso, non è legato dal senso di autosufficienza che impedisce di guardare oltre. Pregare si connota così come esperienza di relazione, gratuità, salvezza.

Con l’attenzione di cogliere la parabola di Gesù come parola che apre consapevolezza sul fariseo e sul pubblicano presenti contemporaneamente nel profondo del cuore di ciascuno.

Alessandro Cortesi op


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Giustificazione

Il 31 ottobre è data importante per le chiese della Riforma: è ricordo del gesto che diede inizio al movimento riformatore nel XVI secolo. In quella data nel 1517 Lutero affigge le sue tesi alla porta della chiesa del castello di Wittenberg. Quel gesto diviene simbolico di un inizio: una riforma che intende dare nuova forma ad una chiesa che ha perduto la sua forma originaria. Nel quadro di un contesto di crisi e di degradazione morale senza precedenti nella chiesa e mentre si stava attuando uno sfaldamento dell’impero, in un tempo di passaggio dall’economia feudale a quella di tipo borghese s’inserisce il movimento iniziato da Lutero. La sua stessa esperienza si pone nel quadro di un’ampia e diffusa inquietudine che attraversava la chiesa da secoli (nei concili del XIV secolo, nei dibattiti del XV e XVI secolo). Lutero aveva intuito come la chiesa dovesse riformarsi, tornando alle fonti, centrando la sua proposta nella questione teologica di un fondamentale ascolto della Scrittura e nell’accoglienza del messaggio della grazia.

La sua lettura della lettera ai Romani, riguardo alla giustificazione, gli fa scoprire il messaggio della giustizia di Dio come grazia. La reazione alla sua predicazione, le scomuniche, gli scontri, condussero poi ad una vicenda di separazione delle chiese. La diversità è diventata divisione. Da qui l’allontanamento, fino alle lotte in cui interviene prepotentemente il fattore politico, la questione del potere, fino alla violenza e alle guerre di religione. La Riforma ha influito profondamente sulla storia successiva europea e ha aperto nuovi percorsi che hanno influito sulla società e sulla cultura, un fenomeno di civiltà. La Riforma ha al cuore una profonda provocazione sulla fede e si pone come accentuazione sulla centralità di Dio nella vita umana.

Quale il senso della riforma e come vivere questo evento oggi in quanto responsabilità spirituale? Karl Barth nel 1933 conferenza sulla Riforma ‘La Riforma come decisione’ si poneva una domanda: “Con la riforma non si scherza. Si può porre senz’altro la domanda seria se i riformatori con la loro rifondazione della chiesa non hanno osato un’impresa che non avrebbero dovuto osare perché l’umanità europea non era all’altezza di questa impresa ardita e se essi non ci hanno lasciato un’eredità di cui non sappiamo che fare perché essa rappresenta per noi una pretesa che non possiamo sopportare perché esige da noi una fede che non siamo in grado di offrire e non corrisponde a ciò che oggi ci interessa e agli obiettivi che ci proponiamo” (K.Barth, La riforma è una decisione, tr.it. Gino Conte, Claudiana 1967).

Il 31 ottobre 1999 dopo secoli di dispute, dopo un lavoro paziente e rigoroso condotto per lungo tempo, è stato sottoscritto dai rappresentanti ufficiali della chiesa cattolica e dalla federazione luterana mondiale un documento. (Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (n. 18), in A. Maffeis (ed.), Dossier sulla giustificazione. La dichiarazione congiunta cattolico-luterana, commento e dibattito teologico, Queriniana, Brescia 2000). In esso si raccolgono i frutti di un cammino ecumenico sorto nell’ambito delle chiese delle Riforma all’inizio del secolo XX e che ha avuto in ambito della chiesa cattolica un punto di svolta con il Concilio Vaticano II. Esso esprime un consenso su quello che per Lutero era il punto fondamentale della riforma. Questo lavoro ha condotto alla considerazione che le scomuniche reciproche emanate nei secoli sono da superare e non sono motivo per la separazione delle chiese.

Al cuore sta la questione della ‘giustificazione’, cuore della scoperta del vangelo della grazia da parte di Lutero, che si apre al volto di Dio che liberamente offre la sua grazia.

«Insieme crediamo che la giustificazione è opera del Dio uno e trino. Il Padre ha mandato nel mondo il suo Figlio per la salvezza dei peccatori. L’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo sono il fondamento e il presupposto della giustificazione. Perciò la giustificazione significa che Cristo stesso è la nostra giustizia, alla quale partecipiamo, secondo la volontà del Padre, attraverso lo Spirito Santo. Insieme confessiamo che solo per grazia nella fede nell’azione salvi fica di Cristo, e non in base ai nostri meriti, noi veniamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori e ci abilita e chiama a compiere le opere buone» (Dichiarazione congiunta n. 15).

Il testo condiviso nel 1999 costituisce una pietra miliare. La dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione presenta un consenso di base sul significato della giustificazione e conduce ad un riconoscimento decisivo le cui conseguenze ancora devono trovare sviluppo e attuazione: le diverse comprensioni teologiche dei vari temi connessi alla questione della giustificazione non comportano motivo di separazione nella fede ma sono espressione di diverse teologie che fanno riferimento ad una medesima fede condivisa. Si parla per questo di consenso differenziato.

Nel testo si legge: “Alla luce di detto consenso sono accettabili le differenze che sussistono per quanto riguarda il linguaggio, gli sviluppi teologici e le accentuazioni particolari che ha assunto la comprensione della giustificazione, così come esse sono state descritte … Per questo motivo l’elaborazione luterana e l’elaborazione cattolica della fede nella giustificazione sono, nelle loro differenze, aperte l’una all’altra”.

Ci può essere differenza nelle teologie, nei linguaggi e riconoscimento che la medesima fede unisce. Si genera uno sguardo diverso nei confronti dell’altro. Dalla distanza al dialogo, dalla lontananza e disprezzo all’accoglienza del suo apporto per una comprensione ed esperienza più profonda della medesima fede. L’altro non è qualcuno da escludere ma è una tradizione che offre una comprensione differente e arricchente della medesima fede con accenti propri.

E’ affermazione che la fede è più grande delle formulazioni con cui si cerca di comunicarla. E’ anche apertura a considerare che la divisione avvenuta storicamente tra le chiese, benché sia da superare per rispondere alla preghiera di Gesù ‘che siano una cosa sola’, è anche da ricomprendere oggi come occasione per andare oltre, per cogliere che la fede può essere detta e vissuta con modalità diverse. Dove la differenza non è esclusione di altre tradizioni e accentuazioni e dove la comunione è possibile nel riconoscimento delle differenze e della verità dell’altro.

Alessandro Cortesi op



Pregare

Io, Signore Iddio, non ho nessuna idea di dove sto andando.
Non vedo la strada che mi sta davanti.
Non posso sapere con certezza dove andrò a finire.
Secondo verità, non conosco neppure me stesso
e il fatto che penso di seguire la Tua volontà non significa che lo stia davvero facendo.

Ma sono sinceramente convinto che in realtà ti piaccia il mio desiderio di piacerti
e spero di averlo in tutte le cose, spero di non fare nulla senza tale desiderio.
So che, se agirò così, la tua volontà mi condurrà per la giusta via,
quantunque io possa non capirne nulla.
Avrò sempre fiducia in Te,
anche quando potrà sembrarmi di essere perduto e avvolto nell’ombra della morte.
Non avrò paura,
perché Tu sei con me e so che non mi lasci solo di fronte ai pericoli.

Thomas Merton
Prades, 31 gennaio 1915 – Bangkok 10 dicembre 1968

Fonte;https://alessandrocortesi2012.wordpress.com/









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