don Giuseppe Costa," Il regno di Dio fa irruzione in un uomo "

Una Parola per noi di don Giuseppe Costa
DOMENICA XXXI DEL TEMPO ORDINARIO
30 Ottobre 2016
Sap 11,22-12,2; 2Ts 1,11-2,2; Lc 19,1-10
1. Il brano della prima lettura di questa domenica, tratto dal libro della Sapienza, presenta gli ultimi
sei versetti del capitolo 11 – che illustra in chiave allegorica, con termini ascetici e spirituali, la misura, il numero e il peso dell’opera creata da Dio – e i primi due versetti del capitolo 12 – che celebra la longanimità di Dio, il quale punisce con lentezza e benevolenza per ottenere la conversione. Il v. 22, che richiama per assonanza di idee il passo di Is 40,15 «… tutti i popoli furono considerati come goccia che cade da un secchio e come grammo sulla bilancia e come granello di polvere saranno considerati …», indica la smisurata potenza di Dio perché tutto il mondo è assolutamente un nulla, un granello di polvere sulla bilancia, una goccia di rugiada. Proprio perché Dio è onnipotente, la sua misericordia è estesa a tutte le genti («hai compassione di tutti», v. 23), in una universalità messa in rilievo dalla ripetizione di espressioni che indicano questa ampiezza ed estensione del suo amore (vv. 23-24). Dio ha pietà e misericordia di tutti e ha pazienza con i peccatori che, comunque, non possono sfuggirgli, perché Egli può tutto e la sua bontà mira a condurre al pentimento il colpevole (cfr. Rm 2,4: «la bontà di Dio ti spinge alla conversione»). Ciò esprime un pensiero comune a tutto il mondo giudaico: Dio ama tutte le cose che ha creato, le ha create solo per amore e mai le avrebbe create mosso dall’odio. Anzi, Dio chiama (v. 25a) le creature alla vita e in vita le mantiene (v. 25b). Dio opera continuamente e senza la sua opera nulla potrebbe continuare ad esistere, perché Egli è amante della vita (v. 26). Con questa bellissima espressione, che si riferisce a Dio, e con l’insistenza su tutti, viene ribadito chiaramente che la longanimità e la paternità di Dio non sono riservate solo al popolo eletto, ma sono estese a tutti gli uomini che hanno la possibilità, ricordando i propri peccati e rinnegata la malvagità, di credere nuovamente nel Signore (12,1-2).
2. Il testo di Paolo ai Tessalonicesi, che costituisce il brano della seconda lettura, unisce gli ultimi due versetti del capitolo primo (1,11-12) ai primi due versetti del capitolo secondo (2,1-2). Nei versetti che chiudono il capitolo primo l’Apostolo, in forma di preghiera, si rivolge a Dio per la comunità che crede e soffre sulla terra. Paolo prega perché la comunità si mostri degna del dono ricevuto (della sua chiamata) e poiché la perfezione ancora non si è raggiunta, è necessario sempre pregare Dio per portare a compimento ogni volontà di bene e l’opera della fede (v. 11) A questo compimento si giunge attraverso un cammino molto lungo. Il cristiano deve schiudersi ogni giorno all’azione di Dio su di lui, per potere crescere sempre più, fino all’età adulta. Il compimento dell’opera della fede è lo scopo che Dio vuole raggiungere nella sua comunità. Tanto il singolo fedele, quanto la comunità nel suo complesso devono fidarsi sempre più di Cristo. Per Paolo, alla base della sua preghiera e come fine primario vi è la glorificazione del nome del Signore nostro Gesù Cristo (v. 12a), che sarà anche la gloria della comunità cristiana in voi e voi in lui (v. 12b).  La manifestazione della gloria, allora, sarà reciproca: il Signore sarà glorificato nei fedeli e ed essi riceveranno la gloria in Lui e da Lui. Tuttavia ciò è possibile da raggiungere per l’azione di grazia e per la benevolenza operata da Dio stesso e da Gesù Cristo (v. 12c). I restanti due versetti del capitolo secondo esortano a evitare facili e falsi allarmismi riguardo alla nuova venuta di Gesù Cristo: non ci si deve fare ingannare da nessuno, né da  pretese ispirazioni, né da parole dette, né da qualche lettera scritta, ma si deve attendere con pazienza e fiducia la venuta del Signore (cf. Mt 24,4: «E Gesù, rispondendo, disse loro: Guardate che nessuno vi seduca. Poiché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e ne sedurranno molti»).
3. All’episodio del cieco di Gerico (Lc 18,35-43), che precede immediatamente il testo del vangelo di questa Domenica, e che è comune con gli altri Sinottici, Luca fa seguire il brano di Zaccheo, che invece è esclusivo del suo vangelo. Al giudeo, mendicante e cieco, bisognoso della salvezza e della guarigione di Gesù, Luca aggiunge il ricco pubblicano. Un uomo disprezzato per i suoi continui contatti con i pagani, riconosciuto peccatore da tutti, ma cercato in mezzo alla folla e avviato dallo stesso Gesù ad accogliere la salvezza che entra nella sua casa. Giudei e pubblicani, mendicanti e ciechi, stranieri e pagani: per tutti Gesù è il Salvatore! L’incontro tra Gesù e Zaccheo è certamente un incontro di salvezza, voluto da Gesù, ma dinanzi al quale Zaccheo si mostra prontamente disponibile. Una disponibilità che appare fin dall’inizio, fin da quando, saputo dell’ingresso di Gesù a Gerico, «cercava di vedere quale fosse Gesù…» (v. 3). Desiderio di vedere che apre al desiderio d’incontrare, certamente di conoscere, di chiedere, di cambiare. Il desiderio del pubblicano non è però il desiderio principale che il testo sottolinea. Ve ne è un altro, una vera e propria volontà: quella del Figlio dell’uomo «che è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (v. 10). Il ricco pubblicano scende “in fretta” dall’albero! La sua è un’ansia di salvezza. Non può e non vuole aspettare ancora. La proposta di Gesù (v. 5: «scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua…») è prontamente accettata da Zaccheo, che non si attarda più, ma passa subito da un atteggiamento accogliente a una vera e fattiva accoglienza. Quella di Zaccheo non è la fretta dell’uomo superficiale, né la sbrigativa risposta a una chiamata. È la fretta evangelica, tipica di chi ha trovato il tesoro nel campo e la perla preziosa (cfr. Mt 13,44-45): impaziente di aspettare e spinto da una foga incontenibile, corre immediatamente a vendere quanto possiede per acquistare l’uno e l’altra, ritenuti ormai un bene ineguagliabile. Oltre alla fretta di un incontro atteso e voluto, la visita di Gesù a Zaccheo è una scintilla che provoca un’esplosione di gioia immediata e incontenibile, come quella di Giovanni nel grembo di Elisabetta, all’incontro con Maria che porta Gesù (Lc 1,41.44); come quella di Maria che magnifica il Signore per i doni che Dio ha operato in lei (Lc 1,46ss.); come quella degli Angeli che annunziano ai pastori la nascita «… di un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11); come quella del pastore, della donna e del padre misericordioso che ritrovano la pecora, la dracma e il figlio che ritenevano perduti (Lc 15). Una gioia che contagia, che chiama alla festa, che invita parenti e vicini a condividere la stessa casa, la stessa mensa … la stessa vita! Il regno di Dio fa irruzione in un uomo piccolo di statura, ma che si rivela grande nella fede. La sua statura vera è quella del cuore che è disposto ad accogliere Gesù e a cambiare vita. Non si tratta di centimetri, né di altezza corporea. Ancora una volta, non è questione di quantità, ma di qualità! In base a ciò Dio misura il cuore dell’uomo. E quello di Zaccheo è un cuore grande, che sa domandare perdono e che si lascia sorprendere con gioia dalla misericordia di Dio.
4. Il tema dominante della liturgia della Parola di questa Domenica del Tempo Ordinario è la misericordia di Dio, alla quale si accompagna la conversione dell’uomo. Il Libro della Sapienza ha ricordato la magnanimità, la bontà e la misericordia di Dio che si estende su tutta la creazione e su ogni singola creatura: Dio ama le cose che ha creato, ha compassione di tutti gli uomini, vuole il loro pentimento e corregge lentamente chi è colpevole e meritevole di castigo. Ma è soprattutto con il brano del Vangelo, e con l’indiscusso protagonista Zaccheo che questo tema della misericordia e del pentimento raggiunge l’apice della riflessione. Nell’autoinvito di Gesù a casa di Zaccheo si manifesta ancora una volta l’iniziativa misericordiosa di Dio che ha compassione dell’uomo e che spinge l’uomo al pentimento e alla conversione di vita. Gesù dona a Zaccheo la salvezza facendogli prendere coscienza del suo peccato e della necessità di mutare atteggiamento di vita. Dall’incontro con Gesù, Zaccheo rimane quasi folgorato e non è più lo stesso uomo di prima: ora è capace di scelte nuove, coraggiose e contro corrente, rispetto a come gestiva prima la sua vita. Una vita nuova e rinnovata, animata dalla gioia di accogliere il Signore, che gli altri stentano a capire («Vedendo ciò tutti mormoravano: è andato ad alloggiare da un peccatore! »). Questa è la facile riflessione di chi è pronto a giudicare sempre l’altro a non cogliere i segni di un cambiamento di vita, a etichettare per sempre l’agire del prossimo, a non dare una nuova possibilità a chi, magari, ha sbagliato ma ha la chiara e ferma volontà di redimersi. È la tentazione di una società che si chiude dinanzi al diverso, all’emarginato, al carcerato uscito di prigione e che cerca un reinserimento onesto nella vita di ogni giorno, al tossicodipendente che si è guadagnato una speranza nuova dopo un lungo e doloroso cammino in una comunità in cui ha potuto guarire le sue ferite fisiche e spirituali e sentirsi nuovamente un uomo nuovo… Oggi la Chiesa è chiamata a dare questo annuncio di speranza e di misericordia, che proviene dalla grandezza della misericordia di Dio e che è offerta gratuitamente a chiunque volge a Lui lo sguardo, nel pentimento e nel reale desiderio di conversione.

Fonte:VICARIATO DI ROMA Ufficio Liturgico

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