don Giuseppe Costa,«il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»


DOMENICA XXIX DEL TEMPO ORDINARIO
16 Ottobre 2016
Es 17,8-13; 2Tm 3,14–4,2; Lc 18,1-8
1. Il brano dell’Esodo, che apre come prima lettura la liturgia della Parola di questa Domenica,
 riporta la preghiera, particolarmente insistente,  di Mosè e ne sottolinea il carattere di sacrificio e di sofferenza per resistere e continuare a rivolgersi a Dio nonostante la fatica. Una fatica che tende alla vittoria finale, ma che ha bisogno del sostegno e della condivisione di altri: Aronne e Cur, due israeliti eminenti e che hanno ruoli importanti e riconosciuti nel seno del popolo d’Israele. Per Mosè, tuttavia, si tratta di uno sforzo immane che accompagna e quasi guida la stessa battaglia, divenendo l’elemento cardine e risolutore per la sconfitta del nemico. Sulla collina, Mosè alzando le mani esercita un influsso che permette agli Israeliti di essere superiori; senza questa azione gli Amaleciti avevano il sopravvento. La forza della preghiera, costante e pressante di Mosè, segna il punto di forza sull’azione umana, che si rafforza per la presenza continua dell’intervento di Dio. Più che la battaglia sul campo è la potente arma della preghiera a segnare in positivo le sorti finali della guerra. Anche se è Giosuè il personaggio che guida i combattenti israeliti alla vittoria, è proprio Mosè, con la sua preghiera, a svolgere il ruolo più importante. Infatti, il risultato non dipenderà né dalla guida del condottiero, né dal valore e dal numero dei guerrieri, né dalla quantità o qualità delle armi, ma soltanto dall’opera silenziosa, ma estremamente costante, di Mosè.
2. Lo stile del brano della seconda lettura è quello tipico delle esortazioni istruttive con la presenza di forti rievocazioni autobiografiche: Paolo, maestro e apostolo, diviene il modello per il fedele discepolo Timoteo. Quest’ultimo, avendo vissuto a stretto contatto con il maestro e a avendolo seguito da vicino,  ha appreso da Paolo e dal suo ministero di predicazione e di azione il modo di essere e di agire proprio dell’apostolo, in particolare quelle che sono le doti necessarie per un buon pastore nella Chiesa. Timoteo, tuttavia, aveva già avviato la sua formazione cristiana fin dall’infanzia, avendola appresa certamente dalla madre e dalla nonna (cfr. 2Tm 1,5: «Ricordo la tua fede sincera, quella fede che hanno avuto anche la tua nonna Lòide e la tua mamma Eunìce»). Timoteo quindi si è formato alla sana dottrina, ricevuta da una cristiana educazione, ma soprattutto fondata sulla sicura e valida garanzia delle Sacre Scritture. Le Scritture comunicano la sapienza che conduce verso la salvezza, per mezzo della fede in Cristo Gesù. Il v. 16, divenuto fonte di innumerevoli discussioni inerenti l’ispirazione biblica, in effetti pone l’accento sulla efficacia pratica della Parola di Dio e sulla sua destinazione operativa, «utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona». Continuando l’esortazione (2Tm 4,1-2), Paolo passa dal tono esortativo a quello proprio del testamento spirituale, con ammonimenti e scongiuri e con l’ingiunzione solenne affinché la Parola sia proclamata insistendo «in ogni occasione opportuna e non opportuna» e ammonendo, rimproverando ed esortando «con ogni magnanimità e dottrina». Queste espressioni sottolineano l’idea dell’urgenza e dell’impegno dell’annunzio, che sono l’essere in atto dell’azione del pastore.
3. Il testo evangelico si apre con una introduzione redazionale di Luca sul dovere e sulla costanza nella preghiera (v. 1), che dà la prima chiave di lettura della parabola presentata da Gesù; prosegue con la descrizione colorita, ma essenziale, della parabola stessa (vv. 2-5); si chiude con l’intervento diretto di Gesù (vv. 6-8) che attualizza la parabola, ne dà una spiegazione esistenziale e pone una provocatoria domanda sulla fede. Per non entrare in tentazione, per non dubitare della venuta del regno di Dio, per superare e vincere ogni scoraggiamento è necessario pregare sempre. Anzi, come suggerisce il testo stesso, bisogna pregare anche quando sembra tempo perso! La preghiera, infatti, non è un optional, qualcosa che si richiede come un’aggiunta o un ornamento alla fede del credente e soprattutto del discepolo: essa è un vero e proprio dovere che esige costanza e continuità e che si fonda sulla richiesta dello stesso Maestro. Ciò non toglie, certamente, che essa sia generosa e spontanea risposta d’amore all’amore di Dio: è proprio dell’amore obbligare ad amare! Gesù illustra la parabola ponendo l’accento su due figure diverse, due personaggi che rappresentano, in qualche modo, le figure socialmente tipiche dell’oppressore e dell’oppresso. Il giudice ingiusto, appartenente a una delle classi più ricche e più influenti, e la vedova  supplicante, prototipo di una delle categorie più indifese, indicano due estremi: da un lato un mondo che vive senza rivolgersi a Dio, senza ascoltare gli uomini e senza scrupoli di alcun genere (v. 2b: «non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno …»); dall’altro una voce che sale da chi si trova nel bisogno e grida con forza, con insistenza e con costanza per ottenere giustizia (v. 3: «una vedova, che andava da lui e gli diceva …»). Pur facendo notare una chiara valutazione differente tra il giudice e la vedova, il senso della parabola è da cercare nel valore dell’insistenza di colui che domanda nei confronti di chi può esaudire una richiesta. Nel testo, Gesù pone l’accento sull’atto finale del giudice e, ribadendone la disonestà, paragona la sua decisione a quella di Dio in favore dei suoi eletti (v. 7). Sono proprio questi, quelli che pregano continuamente, con costanza e senza mai stancarsi (v. 7: «gridano giorno e notte…»), che diventano i suoi eletti, proprietà di Dio, chiamati e scelti da Lui per il giorno della salvezza. Giorno preparato e invocato con la preghiera; giorno ormai imminente della venuta del Figlio dell’uomo. Il Regno glorioso ed escatologico si sta avvicinando e la preghiera ne affretta l’arrivo. Tuttavia esiste un serio problema: «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (v. 8b). Troverà quell’adesione di fede amorevole, vissuta nella fedeltà e nella testimonianza di vita quotidiana, confermata nella costanza delle prove? È la domanda finale e provocatoria di Gesù: una domanda per ciascuno di noi, oggi. Avremo noi la fede della vedova, incessante e confidente in Dio? Vivremo noi la vita nel segno di un sì pieno dato a Dio e ai fratelli? Alla sua venuta, ci troverà così il Signore?
4. La liturgia odierna, soprattutto leggendo in parallelo il brano evangelico con quello dell’Esodo, mette in rilievo, tra i tanti possibili, uno degli aspetti più fondamentali della preghiera: la capacità e la volontà di essere perseveranti e costanti nell’invocare il Signore, nel domandare con fiducia, nell’insistere con determinazione… Questo aspetto chiarisce quella modalità di preghiera che rivela l’essere stesso dell’uomo che si pone in trasparenza alla luce di Dio, si riconosce per quello che è, prende coscienza delle proprie deboli forze e riconosce la grandezza e la potenza di Dio, la sua santità, il suo amore, la sua volontà di misericordia nei confronti dell’uomo. Non si tratta, dunque, solamente di un tener duro, bensì di quella capacità di contemplare ogni giorno nella comunità, nella Parola di Dio, nella Chiesa, nella presenza misteriosa di Gesù, nel dono sempre attuale e vivificante dello Spirito Santo, il vero volto di Dio Padre, sempre premuroso, attento e sollecito alle necessità dei suoi figli. È una preghiera che mette Dio al centro dell’agire dell’uomo, in mezzo alla quotidianità della vita, tra le vicende più gravi e pericolose, come quelle di una guerra (prima lettura) e tra quelle più ordinarie, ma pur sempre difficili da gestire, come i rapporti di giustizia, di legalità fra le relazioni umane (Vangelo). Tutto questo si può e si deve realizzare partendo dalla Parola di Dio (prima lettura), che ci fa penetrare pienamente nel dinamismo della preghiera, facendoci riscoprire la fonte a cui attingere «perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2Tm 3,17). Insistendo sulla preghiera non si può non dare un posto primario alla Parola scritta, come strumento necessario per nutrire la fede e dare sostegno al nostro colloquio con Dio. Il cristiano maturo è un credente che vive la vita della liturgia e della preghiera e, nell’una e nell’altra, è guidato dalla ricchezza, dalla solidità e dalla forza delle Sacre Scritture che, come Parola di Dio vivente nella Chiesa, lo sostengono, lo incoraggiano, lo rafforzano nel cammino cristiano e nelle prove della vita.

Fonte:VICARIATO DI ROMA
Ufficio Liturgico

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