don Marco Pedron, "Dio non guarda i meriti ma i bisogni"

Dio non guarda i meriti ma i bisogni
don Marco Pedron
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 
Vangelo: Lc 18,9-14 
Dio non guarda i meriti degli uomini ma i loro bisogni. Il Signore non è attratto dalle virtù di pochi
ma dalla necessità di molti. E' questo il senso di questa parabola veramente sconcertante di Lc.
"Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri" (Lc 18,9). Letteralmente è "persuasi intimamente, dentro di sé": cioè persone che sono certe di essere nel giusto, che non hanno dubbi su questo.
Questi che ritengono di essere giusti in base alla loro virtù, alla loro santità di vita e al rispetto delle regole e dei comandamenti, e che si arrogano il diritto di giudicare gli altri, sono i farisei. Quindi l'insegnamento di Gesù è rivolto a loro.
"Disprezzavano gli altri": questa è una caratteristica delle persone religiose. Poiché si sentono a posto con Dio, si sentono in diritto di condannare, di giudicare, di insegnare agli altri, di puntare il dito.
Una coppia era fedelissima alla messa domenicale, una bravissima famiglia che rispettava tutte le regole della Chiesa. Da tutti erano indicati come coppia e genitori modello e loro si sentivano da "esempio". Ed erano "feroci" nel giudicare le altre coppie "non in regola con la Chiesa". Solo che, proprio a loro, accadde che nel giro di un anno entrambi i loro figli divorziarono! All'inizio fu una vergogna: neppure si sentivano degni di andare in chiesa. Ma poi fu un momento di grazia straordinario: "Prima Dio ci doveva l'amore; adesso ce lo dà senza meriti. Adesso sì che sappiamo chi è Dio (amore gratuito e immeritato)". E hanno smesso di giudicare e di sentirsi migliori degli altri.
"Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano" (Lc 18,10).
Il termine fariseo significa "separato". Il fariseo era separato dal resto dalla gente e metteva in pratica nella vita quotidiana i 613 precetti che aveva estrapolato dalla Legge di Mosè, stava meticolosamente attento a non infrangere nessuno dei 1521 divieti di lavori da compiere nel giorno di sabato e aveva un'attenzione maniacale nel non contaminarsi da tutto ciò che era ritenuto impuro.
C'era perfino una preghiera che si doveva dire quando si andava in bagno: "Ti ringrazio Signore perché hai creato nell'uomo dei buchi che si chiudono e dei buchi che si aprono, perché se quelli che si chiudono fossero aperti e quelli che si aprono non si chiudessero, l'uomo non potrebbe vivere" e poi uno tirava l'acqua del water!
Il fariseo è quindi un professionista del sacro, della religione ed è il più osservante della legge. E' un santo. Il fariseo si sente a posto con Dio.
E' interessante perché anche i cristiani venivano chiamati "santi=separati". Ma c'è una differenza. I farisei si separavano dagli altri perché erano più degli altri (che quindi giudicavano).
I cristiani si separavano dalla sfera del male attraverso il dono dello Spirito Santo e quindi aiutavano, incontravano gli altri, creando uguaglianza, accoglienza e incontro tra le persone.
Il pubblicano era un daziere. Pubblicano viene da pubblicus (cosa pubblica): era colui che vinceva l'appalto per l'imposta delle tasse da dare a Roma. Stabilito quanto dare a Roma, metteva poi l'imposta che voleva. I pubblicani erano quindi dei ladri di professione. Ed erano talmente impuri, dicevano i farisei, che se anche si fossero convertiti non si sarebbero potuti salvare perché non avrebbero potuto restituire tutto quello che avevano rubato. Sono quindi dei dannati: per loro non c'è speranza né via d'uscita.
Eppure anche lui sale al tempio! E se sa che per lui non c'è speranza, perché ci sale? Ed è qui che si vede la sua fede!
Gesù quindi ci presenta i due estremi: l'estremo osservante (il fariseo) e l'estremo non osservante (il pubblicano). Il fariseo è colui che ha la santità in tasca, il pubblicano invece il dannato.
"Il fariseo, stando in piedi" (Lc 18,11). La preghiera del fariseo serve per farsi vedere (Mt 6,5: "Amano pregare stando in piedi per essere visti dalla gente"). Lui è convinto di essere un modello di preghiera per gli altri.
E' interessante vedere come le persone pregano perché dice una concezione di Dio. Nel mondo orientale quando un padrone chiama un servo, il servo si mette in ginocchio (in ginocchio=non puoi camminare; non puoi andare dove vuoi: tu sei mio) e con le mani giunte (tu non puoi fare/mani quello che vuoi: tu fai quello che ti dico io). Quindi questo modo di pregare dice un rapporto: Dio è il padrone, tu sei il suo servo. Qui è l'uomo che da qualcosa a Dio.
Qui la relazione è: uno sta sopra e uno sta sotto. Se è Dio tu sei il suo servo ubbidiente e sottomesso; se sei tu allora tu domini, giudichi, condanni e gli altri sono "sotto" di te. Se sei quello che sta sopra tu "domini"; se sei quello che sta sotto hai paura.
I primi cristiani, infatti, capirono che il Dio di Gesù non era così. E come pregavano? In piedi, perché in piedi è l'atteggiamento della persona libera, amica e con le mani non giunte ma aperte per accogliere quest'amore. Nei graffiti e nei dipinti delle catacombe si vedono sempre i cristiani con le mani alzate (=per accogliere l'amore). Dice un rapporto diverso: Dio è l'amico, il compagno, l'amore che si vuole donare a te. Se tu lo vuoi lo accogli, te lo prendi ed è tutto per te. Qui è Dio che da tutto Sé all'uomo.
Qui la relazione è: io sto affianco a te. Dio è vicino a te per accompagnarti, per aiutarti, per amarti e se sei tu, tu ti avvicini agli altri non per dominarli ma per aiutarli, per servirli, per aiutarli. La concezione di Dio determina la concezione dell'uomo e i rapporti che avremo con gli altri. Qui, invece, c'è parità: ricevo e do.
"Pregava così tra sé" (Lc 18,11), letteralmente "verso se stesso". In realtà lui non prega il Signore ma se stesso.
Osservate la differenza tra la preghiera del fariseo (lunga!) e quella del pubblicano (brevissima!). Lui si compiace di se stesso, si sbrodola: è un compiaciuto soliloquio delle proprie virtù, sui propri meriti e sulla propria santità. E questa "trave" di essere "giusto" gli impedisce di vedere se stesso.
Gesù li chiama "ipocriti" non nel senso nostro morale, ma nel senso del termine: "Teatranti, commedianti". Già il Talmud diceva: "Al mondo ci sono dieci porzioni di ipocrisia (=cioè di commedia) e nove si trovano a Gerusalemme". Il teatrante è colui che mostra un atteggiamento fuori che dentro non ha.
"O Dio ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano" (Lc 18,11).
Il senso di santità porta al disprezzo degli altri. Il fariseo si distingue dal resto della gente che lui ritiene ladri, ingiusti e adulteri. In realtà Gesù è molto ironico perché Gesù ha accusato i farisei dei ladri soprattutto all'esterno. L'adulterio era una delle immagini con cui i profeti identificano l'idolatria: il fariseo non è adultero perché è idolatra ma perché ha fatto di se stesso l'idolo al quale rivolgersi e di cui compiacersi.
Os 6,6: "Misericordia io voglio e non sacrificio". Tutte queste cose, quindi, sono cose che il Signore non ha richiesto e che non vuole. Is 2,12.15: "Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto". Dio non è con noi quando preghiamo ma quando condividiamo con gli altri.
"Adulteri": Lc è tremendamente ironico perché l'accusa che il fariseo fa degli altri è invece ciò che lui stesso vive. Infatti l'adulterio era un'immagine con cui la Bibbia parla dell'idolatria degli ebrei. Hanno abbandonato Dio il loro Sposo e "sono andati" con altri "sposi".
"E neanche come questo pubblicano": è lo sguardo di chi è schifato dal pubblicano.
I farisei hanno spesso frasi di questo tipo: "Che schifo! E' indegno! Che vergogna!". Cioè si scandalizzano facilmente perché loro si sentono bravi, puri, perfetti, santi. Il fariseo ha bisogno di sentirsi superiore, di più degli altri.
"Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo" (Lc 18,12).
I suoi meriti: digiuno due volte la settimana. Ma il digiuno era obbligatorio solo una volta all'anno (il giorno dell'Espiazione; Lv 16,31). Ma i farisei sono più preti dei preti, e fanno sempre di più di quello che è necessario e per questo digiunano il lunedì e il giovedì, in ricordo della salita e della discesa di Mosè dal Monte Sinai.
E paga le decime non solo su quello che è prescritto ma su tutto quello che possiede. Quindi si vanta di fare quelle cose che anche San Paolo dirà (anche lui era stato un fariseo): "Sono cose da nulla! Non servono a niente! Hanno solo come valore di soddisfare se stessi (la carne)". Col 2,16-23: "Nessuno vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte queste che sono ombra delle future; ma la realtà, invece, è Cristo. Nessuno vi impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto o nella venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale, senza essere stretto invece al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio. Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali "Non prendere, non gustare, non toccare"? Tutte queste cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne".
San Paolo ritiene addirittura nocive tutte queste cose (digiuno, preghiere, novene, feste, santini, devozioni, ecc.) quando alimentano l'orgoglio dell'uomo centrato sulla propria elevazione e non sull'amore e sul servizio verso gli altri ("Le considero escrementi (merda!)" Fil 3,8-9).
"Il pubblicano invece, fermatosi a distanza non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore" (Lc 18,13). Il peccatore quindi che vive in una condizione di peccato irrimediabile.
"Distanza" (makrothen) è un termine tecnico con il quale gli evangelisti indicano gli esclusi dal Signore.
"Gli occhi al cielo": è un'immagine di Dio.
"Si batteva il petto": segno di profondo dolore, pentimento, da una situazione dalla quale, anche se vuole, non ha vie d'uscita.
"Abbi pietà": il verbo, all'imperativo (ilastheti), non vuol dire "abbi pietà" ma piuttosto "sii benevolo, misericordioso nei confronti di me peccatore".
Solo che il pubblicano dimostra di avere una grandissima fede. Perché? Sa che l'amore di Dio è talmente grande che anche lui, peccatore "per sempre", è amato. Sa che l'amore di Dio non si arresta di fronte a niente. L'amore di Dio è incondizionato (Sal 23,4: "Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me". Cioè: "Se anche finissi all'inferno, io non ho paura perché tu mi vuoi così bene che verresti lì con me!").
Lc ci presenta quindi due personaggi entrambi chiusi di fronte a Dio: ma soltanto uno ne è cosciente.
Il fariseo vede solo se stesso (per questo è chiuso a Dio) mentre il pubblicano lo è perché vive una vita di peccato, di imbroglio, di truffe, ma ne è cosciente. Ed ecco la conclusione sconcertante.
"Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 18,14).
"Giustificato" vuol dire perdonato, in buoni rapporti con il Signore.
Che colpe ha il fariseo per non meritare il perdono (la giustificazione)? E che meriti ha il pubblicano per ottenere l'amore di Dio? Nessuno dei due ha niente di tutto questo. Ma il Dio di Gesù non guarda i loro meriti, la loro santità, le loro virtù, ma le loro necessità e i loro bisogni.
Ecco il finale sconcertante: Dio è amore, misericordia per tutti (qui il pubblicano non cambia vita; la prostituta non cambia lavoro!) e vuole che tutti si sentano amati. Gesù non chiede nulla in cambio, chiede solo di lasciarsi amare. Il Dio di Gesù non è il Dio che noi pensiamo: a quelli bravi e buoni li premiamo, gli altri no. Lui vuole amare tutti e li ama indipendentemente dalla loro condotta e dal loro comportamento.
Cosa mi dice questo vangelo? 1. Conosci la tua luce (doti, risorse, calori, sogni) e riconosci il tuo buio.
Riconosci che quel pubblicano sei tu... ma Dio ti ama lo stesso.
Tutti noi abbiamo un lato oscuro, tutti noi abbiamo le nostre zone d'ombra, tutti noi siamo pubblicani. E' che siccome distrugge la nostra immagine di "in sostanza siamo delle buone persone", allora preferiamo non vedere ciò che siamo per poter dire: "Beh non sono poi così male!".
Per questo la gente odia conoscersi, guardarsi dentro, mettersi a nudo davanti lo specchio della consapevolezza, perché vedrebbe qualcuno che non è quello che pensa di essere.
Accettati per quello che sei (il pubblicano) e non per quello che vorresti essere (il fariseo). Non è vero che anche tu a volte hai la tentazione di "fregare gli altri"? Non è vero che anche tu a volte fai pensieri sporchi, sconci, perversi e desideri certe cose? Non è vero che finché uno ti parla a volte con la testa sei altrove e disinteressato? Non è vero che anche tu hai odio e rabbia; e che non vuoi sentire perché non è bello, vero!, vedersi così? Non è vero che anche tu non sai perdonare certe persone e certe cose te le sei "legate al dito"? Non è vero che anche tu giudichi, condanni e che ti senti "un po' di più" di certe persone? Non è vero che non ti senti chissà chi, ma certamente non sei come "certa gente"? Non è vero che a volte godi del male che succede agli altri: "Se l'hanno cercata!; male che vuole non duole; potevano pensarci prima; ognuno raccoglie ciò che semina"? Non è vero che sei gentile nei modi ma in realtà aggressivo perché vuoi sempre aver ragione e importi? Non è vero che certe cose non le fai solo perché non sei in quella situazione? Non è vero che i tuoi figli hanno preso questa piega anche perché tu non sei stato in grado di aiutarli diversamente? Non è vero che in certi giorni ti senti fallito e non realizzato?
2. Quello che non accetti di te lo condanni negli altri. Per cui da come uno parla degli altri tu sai cos'ha dentro al suo cuore. Un dito puntato verso gli altri sono tre verso di te. Quando giudichi ti stai condannando.
Guardate il fariseo: ma cosa dice del pubblicano? Manco lo conosce! Gli da del "ladro, dell'ingiusto e dell'adultero": ora, non sappiamo se il pubblicano lo fosse, ma siamo sicuri che il fariseo lo era!
Un giorno, all'imbrunire, un contadino sedette sulla soglia della sua umile casa a godersi il fresco. Nei pressi si snodava una strada che portava al paese ed un uomo passando vide il contadino e pensò: "Quest'uomo è certo ozioso, non lavora e passa tutto il giorno seduto sulla soglia di casa...". Poco dopo, ecco apparire un altro viandante. Costui pensò: "Quest'uomo è un dongiovanni. Siede qui per poter guardare le ragazze che passano e magari infastidirle...". Infine, un forestiero diretto al villaggio disse tra sé: "Quest'uomo è certamente un gran lavoratore. Ha faticato tutto il giorno ed ora si gode il meritato riposo". In realtà, noi non possiamo sapere granché sul contadino che sedeva sulla soglia di casa. Al contrario, possiamo dire molto sui tre uomini diretti al paese: il primo era un ozioso; il secondo un poco di buono; il terzo un gran lavoratore.
C'erano due vecchiette, Elisabeth e Mary, che dicevano che solo loro sarebbero andate in paradiso. Un giorno, un giornalista, incuriosito dalla cosa, andò a intervistare una delle due, Elizabeth. Le disse: "Ma proprio nessuno a parte lei e Mary andrà in paradiso?". "No, nessuno!". "Ma neanche Madre Teresa, Papa Wojtyla". "No!". "Solo lei e la sua amica Mary?". "Beh, adesso che mi ci fa pensare, non so se ci andrà la mia amica Mary".
Ma chi ci può essere di più egoista di chi pensa che solo lui andrà in paradiso?
Un uomo che ha un problema con il femminile dirà: "Le donne sono tutte p...". Un uomo che dentro ha una tristezza infinita dirà: "Questo mondo è un mondo di m...". Un uomo che non riesce a stare con sé dirà: "Nessuno mi vuole!". Un uomo che non si fida degli altri dirà: "Non ti puoi fidare di nessuno!". Un uomo spietato e duro con sé dirà: "Ha sbagliato, adesso la deve pagare cara!". Un uomo egoista dirà: "Nessuno ti regala niente". Un uomo umiliato da piccolo ti dirà: "Non vali niente; sei un'incapace; sei uno stupido". Un uomo geloso, che teme di perdere la partner dirà: "Tu te la fai con un altro".
Allora: invece di condannare il mondo (come il fariseo), guarda il tuo cuore. Perché il pubblicano che tu condanni è dentro di te. Se non ci fosse neppure ti accorgeresti del pubblicano che c'è fuori.
Un giorno madre Teresa stava parlando con un noto criminale e ladro di Calcutta. La gente del posto era scandalizzata da ciò che vedeva. "Madre, ma lei sa chi è quello?" (certo che lei lo sapeva!). "No, chi è?". "E' un boss della malavita!". "Ah sì... pensavo fosse solo una persona".
Due uomini sono in una piazza affollata. Il primo dice: "Scommetti: vedi quell'uomo? Ha tradito sua moglie". L'altro uomo va, chiede e ottiene conferma. "E vedi quello? Anche quello!". E così uno, due, tre, cinque, dieci tentativi e dieci risultati esatti. "Ma come fai?", chiede il secondo al primo. "Semplice, l'ho tradita anch'io!".
Pensiero della Settimana
Il mondo che ti circonda non è altro che il riflesso di ciò che coltivi dentro di te. Cambia l'immagine che hai dentro di te e vedrai il mondo circostante cambiare nei tuoi confronti.
Non puoi cambiare il mondo: puoi cambiare solo te stesso.
Ma se cambi te stesso anche il mondo attorno a te cambierà.
Ogni fariseo non vedrà altro che pubblicani.
Ogni Gesù non vedrà altro che persone e uomini da amare.
Fonte:http://www.qumran2.net/

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