fr. Massimo Rossi, “Chi si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato


XXX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – 23 ottobre 2016
Sir 35,15b-17.20-22a; Sal 33/34; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14
O Dio, tu non fai preferenze di persone e ci dai la certezza che la preghiera dell’umile penetra le nubi;
guarda anche noi come al pubblicano pentito, e fa’ che ci apriamo alla confidenza nella tua misericordia per essere giustificati nel tuo nome.
“ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede…  Amen.”
“O Dio, abbi pietà di me peccatore.”
Avere l’intima presunzione di essere giusti, e disprezzare gli altri: ecco le due coordinate della superbia:  non stanno mai l’una senza l’altra.
Il superbo, l’orgoglioso non è soltanto uno che presume troppo di sé;  il superbo è anche uno che, credendosi migliore degli altri, li sottovaluta, financo a disprezzarli.
Proviamo a riflettere un po’ più in profondità sul peccato di Adamo: alcune domeniche fa, ho definito l’orgoglio, la superbia, il vizio dei perfetti, del resto, quando Adamo ed Eva commisero il peccato d’origine, dal quale scaturirono tutti gli altri peccati, (Adamo ed Eva) possedevano i doni soprannaturali, erano perfetti.  E tanto per rimanere in tema di perfezione, ci sono persone particolarmente baciate dalla fortuna, pardon, particolarmente dotate di carismi…  certamente ne avremo conosciute più d’una, uomini e donne che sono capaci di fare tutto e di più, e di farlo bene.
Che invidia! “Vorrei essere come loro! – pensiamo – sarei contento di possedere la decima parte dei loro talenti!”…   C’è un piccolo problema, però:  non tutti, ma qualcuno di questi campioni di bravura, sa di esserlo, bravo, e se ne compiace un po’ troppo…  E per questo autocompiacimento esagerato, rischia di essere pure antipatico! Altro peccato dei perfetti-orgogliosi, rendersi antipatici… Peccato doppio, potremmo dire, perché costoro fanno peccare anche noi, che, guardandoli, proviamo un po’ più che antipatia, proviamo risentimento, per non dire detestazione… e li teniamo a distanza; il che non ci fa onore.
Morale della favola:  il superbo detesta gli altri, e gli altri detestano il superbo. Va mica bene!
Ma eccoci alla famosa parabola del fariseo e del pubblicano:  già i due nomi, fariseo e pubblicano, hanno una valenza negativa: sentirsi dare del fariseo, significa apparire ipocriti agli occhi della gente, ostentare una religiosità di facciata… predicare bene, ma razzolare male.
Il pubblicano, invece era notoriamente un disonesto, a motivo della sua professione: riscuoteva le tasse. Ai tempi di Gesù, le imposte non rappresentavano, come al presente, il ‘giusto contributo’ dovuto dal cittadino, quale corrispettivo ai servizi resigli dallo Stato. Ai tempi di Gesù, dover pagare le imposte era una condanna, il segno vergognoso della sottomissione politica al potere di Roma.  L’Impero, lo sappiamo, si reggeva sul gettito delle imposte prelevate dai territori conquistati e asserviti a Cesare Augusto.
L’esattore delle tasse, il pubblicano appunto, veniva odiato come complice di Roma;  se israelita, era considerato un traditore, un doppiogiochista, un infame…
La gente non aveva tutti i torti a odiare i pubblicani, dal momento che non solo prelevavano le tasse, ma ci facevano pure la cresta, trattenendone indebitamente una parte per sé. In realtà, l’affermazione non è del tutto corretta:  i pubblicani non si accontentavano di riscuotere le tasse, ma  prelevavano più del dovuto…  Chi più, chi meno, i pubblicani erano ladri.
Il triste è che nessuno poteva farci nulla…  Furto legalizzato!  Non come oggi…
Gravato da questa bella reputazione, il pubblicano della parabola salì anche lui al tempio a pregare.
Ma, colpo di scena! costui se ne tornò a casa perdonato, a differenza dell’uomo per bene, il quale rimase nel suo peccato, perché non lo aveva riconosciuto e non se n’era pentito.
Non è la prima volta che Gesù sceglie come modello di conversione un rappresentante della parte per così dire meno nobile della società.  Altrettanto famoso è il caso del buon samaritano (cfr. Lc 10);  ma anche la prostituta (cfr. Lc 7) che lavò con le sue lacrime i piedi di Gesù e li cosparse di unguento profumato, preziosissimo, anche lei risplende nel Vangelo come esempio di conversione.
Si diffuse dunque la fama di Gesù come di uno che non disdegnava la compagnia dei peccatori, andava a cena dai pubblicani, e accoglieva le manifestazioni amorose delle sgualdrine.
Per tutta risposta, il Signore rimbrotta i farisei annunciando: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto Giovanni nella via della giustizia e voi non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto.  Voi, al contrario, (…) non vi siete nemmeno pentiti per credergli.” (Mt 21,28-32).
“Chi si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”:  il senso del Vangelo di oggi è tutto qui.  La formulazione è chiara, ma forse il significato non lo è altrettanto.
Usain Bolt, un prodigio della natura, ha vinto tutto quello che si poteva vincere, per ben tre edizioni delle Olimpiadi…  Ebbene, se alla domanda: qual è il tuo talento?  il signor Bolt rispondesse:  Io di talenti non ne ho…  che ne dite, non sarebbe falsa modestia?  negare l’evidenza?   È questo che ci chiede il Vangelo di oggi?  di negare i nostri talenti?
Per dovere di verità, non solo bisogna riconoscere i doni che il Buon Dio ci ha fatto; ma, soprattutto, bisogna metterli a disposizione! Ecco il significato del Vangelo di oggi: vantarsi è sempre un errore! In alcune specie animali, il maschio ostenta la propria bellezza, per sedurre la femmina, ai fini dell’accoppiamento; potenza dell’istinto sessuale. L’animale-uomo (come l’animale-donna) non ha bisogno di ostentare la propria bellezza – bellezza intesa in senso lato – per se-durre, per condurre a sé… Eppure, quanto è diffuso il vizio della seduzione! Seduzione come strategia relazionale; seduzione nel mondo dello spettacolo; seduzione nella scuola; seduzione negli ambienti  di lavoro.  Si ricorre alla seduzione persino nella pubblicità dei prodotti di consumo: dai biscotti, al wi-fi…
Anche certi uomini e donne di Chiesa ricorrono alla seduzione per captare (carpire?) consensi e stabilire relazioni…   E il fine è sempre lo stesso:  condurre a sé!
La fede che fonda ogni scelta cristiana e il comportamento che ne segue – o ne dovrebbe seguire! – impone di fuggire la tentazione di fare di sé il fine, il termine di ogni relazione.   Il fine primo di un rapporto umano è costruire comunione;  e nella comunione non c’è più un ‘io’ e/o un ‘tu’, ma c’è il ‘noi’.  So che il discorso è delicato e andrebbe precisato con una lunga serie di bemolle…
Ma soprattutto, il fine ultimo di ogni relazione fondata sulla fede è raggiungere Cristo!
L’uomo è stato creato a immagine di Dio, e Dio è intrinsecamente relazione.  Ogni relazione umana vissuta alla luce della fede può diventare luogo di incontro con Dio e di manifestazione del suo amore.  Se un pubblicano può incontrare Dio nel disordine delle sue relazioni, anche per noi c’è ancora speranza…

Fonte:http://www.paroledicarne.it/

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