Luca DESSERAFINO sdb"Benedirò il Signore in ogni tempo"


23 ottobre 2016 | 30a Domenica T. Ordinario - Anno C | Omelia
Benedirò il Signore in ogni tempo
"La preghiera dell'umile penetra le nubi, finché non sia arrivata non si ferma". Queste parole del libro
del Siracide, che aprono la liturgia di questa domenica, ci pongono in continuità con quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa.

La preghiera resta l'orizzonte nel quale la Parola di Dio ci immette. Ma non è più l'insistenza nel rivolgersi a Dio, come nell'episodio della povera vedova, bensì l'atteggiamento che l'uomo deve avere nella preghiera. L'evangelista Luca inizia la narrazione della notissima parabola del fariseo e del pubblicano che si recano al tempio, con una premessa che ne mostra la ragione: "Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri".

La parabola parla della preghiera ma, in realtà, è in gioco il modo di concepire l'esistenza in rapporto con Dio: la preghiera è rivelatrice di qualcosa che va oltre la preghiera stessa. Di conseguenza, ciò che va raddrizzato non è anzitutto la preghiera, bensì il modo di concepire Dio e la sua salvezza, se stessi e il prossimo.

La parabola del fariseo e del pubblicano presenta due protagonisti, ciascuno dei quali incarna un modo diverso di porsi di fronte a Dio e al prossimo. Il fariseo osserva scrupolosamente le pratiche della sua religione, e ha molto spirito di sacrificio. Non si accontenta dello stretto necessario, ma fa di più. Non digiuna soltanto un giorno alla settimana, come prescriveva la legge, ma due.

È vero, dunque, che egli osserva tutte le prescrizioni della legge, il suo torto non sta nell'ipocrisia. Il suo torto sta nella fiducia nella propria giustizia. Si ritiene in credito presso Dio: non attende la sua misericordia, non attende la salvezza come un dono, ma piuttosto come un premio doveroso per il dovere compiuto. Dice: "O Dio, ti ringrazio", facendo in tal modo risaltare a Dio la propria giustizia, ma questa consapevolezza di una originaria dipendenza da Dio viene persa lungo la strada. Tanto è vero che egli, a parte quel "ti ringrazio" detto all'inizio, non prega: non guarda a Dio, non si confronta con Lui, non attende nulla da Lui, né gli chiede nulla.

Si concentra su di sé e si confronta con gli altri, giudicandoli duramente. In questo suo atteggiamento non c'è nulla della preghiera. Non chiede nulla, e Dio non gli dà nulla.

Anche un pubblicano sale al tempio a pregare, ma il suo atteggiamento è esattamente l'opposto di quello del fariseo.

Si ferma a distanza, si batte il petto e dice: "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Dice la verità: lavora per i romani, gli invasori, ed è troppo esigente nell'esigere i tributi dai compaesani: è certamente un peccatore. La sua umiltà non consiste nell'abbassarsi, anche se la sua posizione è certamente quella che egli descrive, come anche l'osservanza del fariseo era reale.

Ma è consapevole di essere peccatore, si sente bisognoso di cambiamento e, soprattutto, sa di non poter pretendere nulla da Dio. Non ha nulla di cui vantarsi, non ha nulla da pretendere. Può soltanto chiedere. Conta su Dio, non su se stesso.

La conclusione è chiara e semplice: l'unico modo corretto di mettersi di fronte a Dio nella preghiera e, ancor prima, nella vita, è quello di sentirsi costantemente bisognosi del suo amore e del suo perdono. In questo modo la nostra preghiera porterà frutto nella misura in cui lasciamo operare il rapporto d'amore che la Trinità vuole avere con noi.

Da qui e solo da qui possiamo ripartire, purificati nelle nostre intenzioni e scelte, per agire realmente da figli di Dio.

Luca DESSERAFINO sdb
Fonte:http://www.donbosco-torino.it/

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