Chiesa del Gesù - Roma, "Le ultime parole di Gesù sulla croce sono un canto di perdono."

2Sam 5,1-3; Sal 121; Col 1,12-20; Lc 23,35-43
Le ultime parole di Gesù sulla croce sono un canto di perdono.
Un canto di misericordia che si conclude con un grido, così ampio da riassumere tutte le espressioni
di dolore dell’umanità, un grido capace di squarciare il cielo e di colmare la distanza tra Dio e l’uomo scavata dal peccato.

La solennità che stiamo celebrando ci presenta un Re solidale con i fratelli perduti, fino a scegliere di salire sulla croce al posto loro.

La regalità di Cristo non è prova di potere, non è manifestazione di successo, non è neppure ostentazione di ricchezza: è piuttosto rivelazione di una umiltà “che discende verso l’alto”, come ricorda Gregorio di Nissa.

Solo questa povertà estrema di Dio, che s’innalza proprio in quanto non ha paura di essere abbassata, è principio di salvezza per tutti gli uomini che hanno il coraggio di alzare lo sguardo verso Colui che è stato trafitto per le loro iniquità.

La croce diventa il trono su cui il Signore compie il giudizio di Dio nei confronti dei suoi nemici.

E qui sta la meraviglia: questo giudizio è un canto di perdono e di misericordia che dona il Regno ai malfattori.

A differenza dei re di questo mondo, Gesù è stato unto Messia per servire e donare liberamente la propria vita, perché l’amore sia più forte della morte.

Alla fine di questo anno liturgico, quasi a compendio di ciò che abbiamo udito e contemplato in questi 365 giorni, risuona per ciascuno di noi questa promessa: “Oggi sarai con me in paradiso”.

È l’oggi che abbiamo udito nella sinagoga di Nazareth, come augurio dell’anno giubilare che Cristo è venuto a inaugurare per i ciechi, i sordi, i muti, gli storpi e gli zoppi della storia.

Un oggi che non conoscerà tramonto, perché appartiene all’eternità di Dio.

È l’oggi cantato dagli angeli ai pastori di Betlemme, per annunciare l’inizio del tempo della salvezza, nascosto nella nascita di un umile bambino che giace nella mangiatoia.

È l’oggi della Chiesa, inviata in mezzo ai lupi di questo mondo, per testimoniare la forza redentrice del vangelo e della Pasqua di Cristo.

Questo oggi di salvezza non è quello che si attende l’uomo, ma è l’oggi di Dio che si fa condannare alla nostra stessa pena, pur di essere con noi.

Cristo ha combattuto interiormente, nella sua coscienza, con un progetto diverso, con un oggi differente, che avrebbe più facilmente dimostrato la forza sulla debolezza, la ricchezza sulla povertà, la potenza sull’umiltà.

Sin sulla croce questa tentazione lo ha accompagnato e risuona nello scherno dei presenti che lo invitano a scendere dalla croce per manifestare la sua gloria.

Ci potremmo chiedere come il Signore abbia vinto questa ultima tentazione, la più radicale, la più difficile nel momento di massimo abbandono.

Cristo l’ha vinta ascoltando la voce di un uomo, di un malfattore crocifisso insieme con lui, che gli chiedeva di ricordare.

Sappiamo come il ricordo sia alla base di tutta la Scrittura e del comando rivolto da Dio al suo popolo: “Ricorda, Israele, il Signore è uno, non avrai altro dio al di fuori di me”.

Sulla croce il Signore ricorda di essere stato posto come segno di riconciliazione, ricorda che nel suo sangue avrebbe rappacificato il cielo con la terra.

Questo è il compito messianico affidatogli dal Padre; questo è il ministero di misericordia che è venuto a inaugurare per ogni uomo.

Sulla croce Gesù realizza il Regno annunciato a Nazareth, proprio in quanto ha scelto di essere un Messia povero, affamato, piangente, odiato, bandito, insultato e respinto come scellerato… e tutto questo solo per amore.

Ancora una volta Gesù è in mezzo agli uomini, portando con loro il peso del male, fino a inchiodarlo sulla croce.

Contemplando Cristo re sull’altare della croce, oggi possiamo riconoscere la vicinanza di Dio, la prossimità del suo amore gratuito che si fa misericordia per ogni uomo peccatore.

Sulla croce Gesù compie ogni giustizia, perché restituisce a Dio il suo vero volto, rischiarandolo con la luce di una esistenza vissuta puramente come servizio in mezzo a noi.

La regalità di Gesù risplende nell’ostinazione dell’amore, nel rifiuto della potenza per salvare se stesso e per sottrarsi alla contraddizione.

Tuttavia anche quegli aspetti che noi indichiamo come splendore, gloria, vittoria e potenza, non sono assenti.

Il Crocifisso è risorto e il Figlio dell’uomo tornerà nella maestà della sua gloria.

Ma si tratta sempre della gloria dell’amore, del trionfo della via della Croce.

Risurrezione e ritorno di Gesù sono la rivelazione dello splendore e della forza vittoriosa che la via della Croce nasconde.

È in questa prospettiva che va compresa l’affermazione di Luca, che cioè il Cristo, crocifisso e risorto, regna già ora: nell’oggi eterno di Dio.

È una regalità oggi che si percepisce nella fede.

È la fede che ci permette di pregare così:

Sei stato crocifisso per me,

per effondere su di me il perdono,

sei stato trafitto al costato,

per farne sgorgare torrenti di vita per me.

ti inchiodarono con chiodi,

affinché nell’abisso dei tuoi patimenti

io credessi alla tua sublime potenza,

gridando a Te, Cristo datore di vita:

Gloria alla tua croce e alla tua risurrezione

o Salvatore del mondo.

MM

Fonte:http://www.chiesadelgesu.org/

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