JUAN J. BARTOLOME sdb, #LectioDivina", ci troverà preparati per il suo arrivo?"

27 novembre 2016 | 1a Domenica di Avvento A | Lectio Divina
Lectio Divina su: Mt 24,37-44
l tempo di Avvento apre l'Anno Cristiano: con non poco sforzo la Chiesa cerca di concentrarci nella
contemplazione, tranquilla ma senza interruzioni, del mistero della nostra salvezza. Facendo memoria di lei, la nostra fede si riaffermerà con più forza; quanto più contempliamo l'amore che Dio ci ha donato, tanto più si rafforzerà la nostra speranza, tanto più nostalgia sentiamo di quell'amore che tante volte ignoriamo o perdiamo per colpa nostra, tanto più riusciamo a sentirci meglio amati da Dio, nella misura con la quale gli permettiamo che Lui ci ami di più, giorno per giorno.

Convinti come erano i primi cristiani della venuta del Signore, si preoccupavano molto di conoscere il momento del suo arrivo per prepararvisi. Matteo non risponde alle aspettative dei suoi lettori: ripete la sua fede che verrà il Signore, e l'inutilità di dedicarsi ad indovinare la sua venuta, perché verrà inaspettatamente. Egli ricorda il comportamento spensierato degli uomini prima del diluvio ed immagina l'atteggiamento previdente di chi teme la venuta di un ladro. Per chi sa che il suo Signore sta in cammino, non gli rimane altro che mettersi ad aspettarlo: veglia e senso della propria responsabilità sono i modi di vivere oggi la speranza cristiana; sono la forma di attendere, che il Signore che sta per venire, desidera trovare nei suoi fedeli. Così li ha avvertiti già due mila anni fa.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
- "Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo".

1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice

Il passo evangelico è parte dell'ultimo discorso di Gesù nel vangelo di Matteo; tratta della venuta del figlio dell'uomo, evento, che anche se sperato, si pensa imminente. Dopo avere confermato la sua venuta in una prima parte (Mt 24,1-35), Gesù parla ora della necessaria preparazione (Mt 24,36-51): un evento tanto decisivo esige diligenza: non si può pensare che sta per arrivare il Signore senza mettersi a vegliare; che l'ora del suo arrivo sia incerta, non la rende ipotetica; se il Signore sta già in cammino, bisogna aspettarlo senza indugio. Nei tempi di incertezza non si dovrebbe avere altra occupazione che vegliare continuamente.
Gesù rafforza la sua esortazione con due altre similitudini: uno, tratto dalla storia biblica; l'altro, dall'esperienza di vita. In entrambi i casi, Gesù motiva i suoi discepoli a 'leggere' la vita, passata o presente, per comprendere l'attuazione del piano di Dio ed i suoi 'tempi.' Quello che è successo nei giorni di Noè è esemplare: dato che nessuno aspettava un diluvio, tutti continuavano indaffarati la propria vita; in ciò non facevano niente di male; facevano quello che di solito facevano sempre: mangiavano, bevevano, si sposavano…; pensavano che non sarebbe accaduto niente di straordinario, ma morirono. Non facevano quello che li avrebbe salvati: entrare nell'arca; non si fecero un'arca, perché non pensavano a un diluvio. Non si prepararono per quello che non speravano…: 'venne il diluvio e travolse tutti'.
Normalmente succede che quando un ladro irrompe in una casa, il padrone di casa non se lo aspetta affatto; il fatto inaspettato della sua irruzione, la sorpresa che causa, sono il suo miglior alleato. Se l'avesse saputo, il proprietario si sarebbe difeso meglio, lo avrebbe aspettato vegliando, avrebbe ostacolato che forzasse l'entrata.
Il diluvio è una calamità naturale; viene senza avvisare, che succeda non è una decisione presa liberamente da qualcuno. È una disgrazia inevitabile. Non così l'arrivo del ladro che normalmente sceglie di agire quando non è aspettato. La venuta del Figlio dell'uomo assomiglia ad entrambe le sventure: sarà tanto inevitabile come una calamità naturale, tanto abile e ben scelta, come un appuntamento. Non c'è altra possibile risposta che vegliare e prepararsi.
 2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!

Benché l'abbiamo dimenticato o non lo vogliamo capire, il cristiano vive aspettando il ritorno del suo Signore che deve venire a giudicare i vivi e i morti. Credere nel Signore Risuscitato è crederlo in cammino verso di noi. Senza alcun dubbio, uno dei sintomi più evidenti della perdita di fede, quasi impercettibile, ma in continuo progresso in cui viviamo noi credenti, è la scarsa nostalgia che sentiamo per Cristo, la debole nostalgia che alimentiamo di lui, la perdita dell'entusiasmo davanti alla certezza del suo ritorno. E pensare che i primi cristiani incominciarono a credere in Cristo, quando cominciarono ad aspettare la sua venuta gloriosa!
Ciò significa che non è possibile, non è nemmeno pensabile, un'autentica vita di fede che non viva, si nutra e si esprime come speranza. Non vi è niente di estraneo che, per non aspettare niente nuovo, niente di meglio del nostro Dio, perdiamo Dio nel nostro mondo e nel nostro cuore. Più ancora, Dio sta perdendo credibilità davanti ai nostri occhi; e si nota, a volte in modo palese, perché ormai non l'aspettiamo, perché ci dedichiamo con leggerezza a vivere 'a fondo' la vita che perirà; niente, quello che ci sembra è che non bisogna sperare in un Dio che non si rende presente quando è necessario. Si pensa che merita poco rispetto un Dio che non ci obbliga a cercarlo; poco varrebbe se non ci obbligasse a sentire la sua mancanza, a desiderarlo, ad aspettarlo: sarebbe indegno della nostra fede, se non ci costringesse a vivere speranzosi perché un giorno deve ritornare.
I credenti oggi, come i contemporanei di Noè, continuiamo ad occuparci, a bere, mangiare, sposarci... Solo perché ci preoccupa il nostro futuro lo programmiamo in anticipo e ci illudiamo di tenerlo sotto controllo; viviamo il presente per sopravvivere nel futuro. Col pianificare oggi quello che di noi sarà domani, crediamo di essere al riparo delle sorprese. Siamo tanto preoccupati per le cose importanti che dobbiamo risolvere oggi che non speriamo che ci possa accadere domani qualcosa di migliore; abbiamo sempre qualcosa da fare oggi che non abbiamo né tempo né voglia di metterci a pensare a ciò che ci manca, Dio. Sono molte le cose che ci tolgono il sonno, e non è quasi mai Dio, né la sua mancanza, il motivo delle nostre insonnie. Non pensiamo, come il padrone di casa che non la custodiva, che il ladro può venire a saccheggiarla in qualsiasi momento.
Perché, e qui risiede l'importanza dell'avvertimento di Gesù, né i contemporanei di Noè che vivevano la loro vita, né il signore che non previde l'assalto della sua casa facevano niente di strano; non pensavano, questo sì, che stava loro per succedere qualcosa di brutto e non facevano la cosa più necessaria; solo perché non erano preparati, non speravano che succedesse loro una disgrazia e vivevano spensierati: quella fu la loro disgrazia. Non ci occupiamo di cose straordinarie, né arriviamo a fare cose molto brutte: viviamo semplicemente la giornata, senza sentire Dio come il nostro migliore futuro. Occupati nelle nostre preoccupazioni giornaliere, Dio sta smettendo di preoccuparci. Dovendo occuparci di un mucchio di cose, ci sembra più che logico che trascuriamo Dio. Rinchiusi, come siamo, nei nostri problemi, stiamo seppellendo la nostra speranza e disinteressandoci della nostra salvezza.
Non c'è scusa per chi, come discepoli di Gesù che siamo noi, sa che egli verrà un giorno; che egli sta già in cammino verso di noi. Lasciare, dunque, che le preoccupazioni giornaliere soffochino la nostra necessità di Dio, negare a Dio un posto - il posto di onore - tra le nostre migliori speranze, ci porta irrimediabilmente a perdere la fede nella vita e in Dio. Che triste spettacolo stiamo dando noi cristiani nella nostra società, contandoci - come gruppo e come individui - tra i meno impegnati a fare migliore il nostro mondo, e a diventare migliori in questo mondo! Quando verrà il nostro Signore, ci troverà ancora svegli, vivi, attivi, vigilanti?, ci troverà preparati per il suo arrivo?
Dobbiamo testimoniare al mondo di oggi la nostra speranza. È vero: la speranza cristiana non si appoggia su ciò che vediamo né in ciò che ci offrono gli altri, essa riposa solo nella promessa del Signore: egli verrà un giorno, e chi lo sa, trova la forza di aspettarlo tutti i giorni. Lì dove manca Dio, lì dovremmo stare noi che lo speriamo, senza soppiantarlo ma solamente rappresentandolo. Lì dove c'è lo scoraggiamento, lì abbiamo un compito da svolgere. Chi vive aspettando il suo Dio non ha motivi per disperare: chi non lo trova nel suo mondo dà maggior forza alla sua speranza. Non sapere con certezza quando egli verrà, lo mantiene in continua attesa del suo Signore. Il mondo di oggi ha bisogno di testimoni di Dio, che mantengano viva la speranza di trovarlo un giorno e che vigilino giorno e notte fino a che lo trovino… Il Signore si lascerà trovare da coloro che sono occupati mentre l'aspettano: come stiamo vivendo questo tempo di attesa?
Juan Jose BARTOLOME SDB

 Fonte:  www.donbosco-torino.it

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