Monsignor Francesco Follo, #LectioDivina"Cristo RE, testimone di verità"

Cristo RE, testimone di verità
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 20 novembre 2016
Rito Romano
2Sam 5,1-3; Sal 121; Col 1,12-20; Lc 23,35-43
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Rito Ambrosiano
Bar 4,36-5.9; Sal 99; Rm 15,1-13; Lc 3,1-18
II Domenica di Avvento (Anno A)
I figli del Regno
1) Regalità della Verità.
L’anno liturgico si chiude con la celebrazione di Cristo, Re dell’universo. Quest’anno 2016 la
Solennità di Cristo Re cade la domenica 20 novembre, giorno conclusivo dell’Anno giubilare della misericordia amorosa, che ci dà la luce e la vita, ora e per l’eternità.
Grazie alla liturgia, abbiamo iniziato il nostro cammino del cuore a Nazareth con la Madonna che attendeva il Messia da lei atteso e a lei annunciato dall’Angelo, poi spiritualmente abbiamo percorso con il Salvatore le strade della Terra Santa. Alla fine dell’annuale cammino liturgico oggi arriviamo a Gerusalemme e siamo messi davanti alla Croce, sulla quale Cristo muore.
Qualcuno può stupirsi che per festeggiare Cristo, re dell'universo, la Chiesa non ci proponga oggi il racconto di una teofania splendente: quella della Trasfigurazione, per esempio. La liturgia ci invita a contemplare Gesù in Croce. Su questo paradossale “trono”, il Re dei re esercita il potere salvando un ladro pentito.
Siamo invitati a capire che la regalità di Gesù Cristo ha come centro il mistero della sua morte e risurrezione. Quando Gesù è messo in croce, i capi dei Giudei lo deridono dicendo: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” (Lc 23, 37). In realtà, Gesù, il Figlio di Dio, si è consegnato liberamente alla sua passione, e la croce è il segno paradossale della sua regalità, che consiste nella vittoria della volontà d’amore di Dio Padre sulla disobbedienza del peccato. Da questo “trono” di semplice legno secco Cristo regna esercitando il suo potere di amore misericordioso. Dalla croce che regge il mondo, Lui regna e governa con l’amore misericordioso.
E’ proprio offrendo se stesso nel sacrificio di espiazione che Gesù diventa il Re universale, come, apparendo agli Apostoli dopo la risurrezione, Lui stesso dichiarerà: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (Mt 28,18).
Ma in che cosa consiste la regalità di Gesù? Il suo regno è un “regno eterno e universale, regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di amore e di pace” (Prefazio della Messa di Cristo Re). A questo regno noi avremo accesso, guardando Gesù in croce come ha fatto il ladrone pentito. Quest’uomo seppe riconoscere la verità di Dio in un uomo crocifisso e fu salvato per sempre: Cristo è Dio, è grazia, è misericordia, ed è morto perchè ciascuno di noi possa vivere.
E' importante capire che la regalità di Cristo risplende nella sua “ostinazione” ad amarci, nel suo rifiuto di usare la sua potenza per salvare se stesso, donando la vita e donandoci la vita vera. E’ ancora più importante capire che Gesù è re della verità. Lui è re dell’universo, perché è la Verità, fa entrare nella verità e le rende testimonianza (Gv 8,44-45).
Per Gesù, che si definì: Verità, Via e Vita (Gv 14, 16), la verità è la sola cosa conta, come rispose a Pilato: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,37). E questa affermazione non contraddice l’importanza dell’amore. Verità e amore non sono in contraddizione; piuttosto si esigono e alimentano vicendevolmente, poiché la verità senza l’amore può diventare brutale e l’amore senza verità può diventare banale.
“Proprio nel colloquio di Gesù con Pilato si rende evidente che non esiste alcuna rottura tra l’annuncio di Gesù in Galilea - il regno di Dio - e i suoi discorsi in Gerusalemme. Il centro del messaggio fino alla croce - fino all’iscrizione sulla croce - è il regno di Dio, la nuova regalità che Gesù rappresenta. Il centro di ciò è, però, la verità. La regalità annunciata da Gesù nelle parabole e, infine, in modo del tutto aperto davanti al giudice terreno è, appunto, la regalità della verità. L’erezione di questa regalità quale vera liberazione dell’uomo è ciò che interessa” (Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Città del Vaticano 2011, p. 219).
2) Re vero di un mondo nuovo.
Il potere regale di Cristo non è come quello dei re e dei potenti di questo mondo. E’ il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. E’ il potere dell’Amore, che per imporsi non ha bisogno della forza bruta ma di quella della tenerezza, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia non si impone mai, si propone e rispetta sempre la nostra libertà. Cristo è venuto a “rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37).
Davvero la regalità di Gesù ha nulla da condividere con il concetto di regalità che abbiamo noi uomini. Noi siamo abituati a chiamare ‘grandi’ quanti nella politica, nell'economia, nella vita sociale, sanno imporsi con ‘visibilità', che spesso sa di voglia di affermarsi, di stupire e di dominare.
Il Regno di Gesù non è di questo mondo. Perché? Perché la verità è che “Dio ha tanto amato il mondo da sacrificare il suo unico Figlio perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).
Dunque l’importante è accettare la croce e riconoscerla come trono di verità e di compassione. Cristo patì con noi (ci compatì, nel senso letterale del termine: com-patire cioè patire, soffrire con) e la sua compassione non fu un’emozione che si espresse solo con le lacrime. Gesù non solo pianse sul nostro dolore e sul nostro peccato ma in maniera definitiva sulla croce, quando prese su di sé la colpa del mondo e come agnello, come capro espiatorio, la portò via, fece sua la nostra passione. Gesù è “Re ma la sua è la potenza di Dio, che affronta il male del mondo, il peccato che sfigura il volto dell'uomo. Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l'amore di Dio” (Papa Francesco, Angelus del 14 novembre 2015)
L’immacolato Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo da perenne testimonianza alla verità. Alla verità dell’Amore divino.
Con la Croce il mondo che prende in giro Cristo: “Se sei re scendi dalla Croce, salvati”, è vinto. “Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo” e perciò: “Sì, io sono re”. Ma non all’interno del mondo che è stato sconfitto, bensì dall’alto di un trono che sta innalzato al di sopra del mondo. Gesù introduce la Signoria di Dio nel mondo, al suo interno: nel cuore degli uomini: in particolare dei poveri, dei bambini, dei misericordiosi dei miti, dei perseguitati: nei cuori puri. Per mezzo suo l’amore di Dio è ora e stabilmente divenuto di casa sulla terra.

3) Un messaggio troppo alto e lontano?
Questo messaggio di Cristo re che serve la verità e l’amore mediante il dono totale di sé, può essere avvertito come qualcosa di così lontano e di così alto che noi poveri esseri umani non possiamo afferrarlo. Il Cristianesimo sembra essere una dottrina non realistica, non adatta a questo mondo. Ma il Redentore ha detto: “Sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità e ognuno che è dalla verità ascolta la mia voce”. Ognuno. Non solamente chi ha studiato teologia o il catechismo. Cristo Re ha un modo di rendersi comprensibile a chiunque: facendosi incontro a ciascun essere umano, purché il suo cuore –anche se in modo inconsapevole - aneli a Lui. Ognuno può incontrarlo ed ascoltare la sua voce. I cristiani non ne hanno il monopolio, hanno il compito di continuare a portare avanti nel mondo -in modo esplicito e consapevole- la testimonianza della verità e dell’amore che hanno sperimentato in sé.
Un modo particolare di rendere questa testimonianza è quello delle vergini consacrate nel mondo. Con il dono totale di se stesse vissuto nel mondo, queste donne testimoniano che il regno di Cristo comincia nel più profondo della coscienza dei cristiani, e per essere autentico deve, per mezzo di un movimento verso l'esterno, investire la vita quotidiana con tutte le sue attività piccole e grandi che esso implica. La dimensione spirituale, interiore non si opporne al fare. La prima richiama necessariamente la seconda.
Queste consacrate, amanti della vita spirituale, testimoniano l'efficacia temporale dell'unione con Dio, cioè del regno di Cristo al quale si aderisce interiormente, ma al quale si deve lavorare nel mondo. La preghiera non è tempo buttato via e i problemi della vita quotidiana non si risolvono risparmiando il tempo e lo sforzo consacrati alla preghiera. La grazia necessaria alla realizzazione di questi obiettivi sociali, che richiedono tanti sforzi e sacrifici, non potrebbe essere completamente indipendente dalla fede in Gesù Cristo, Re dell’universo.
Consacrandosi hanno scelto definitivamente ed esclusivamente Cristo, Sposo e verità della loro vita. Questa scelta non garantisce il successo secondo i criteri del mondo, ma assicura quella pace e quella gioia che solo Lui può dare. Lo dimostra l’esperienza di queste donne che, in nome di Cristo, in nome della verità e della giustizia, hanno saputo opporsi alle lusinghe dei poteri terreni con le loro diverse maschere, sino a sigillare con il dono totale di se stesse questa loro fedeltà per collaborare alla costruzione del regno di verità e di amore del loro Sposo.


Lettura Patristica
San Giovanni Crisostomo
Hom. de cruce et latrone, 2 s.


Il paradiso aperto a un ladro

       Vuoi vedere un’altra sua opera meravigliosa? Oggi ci ha aperto il paradiso, ch’era chiuso da più di cinquemila anni. In un giorno e in un’ora come questa, vi portò un ladro e così fece due cose insieme: aprì il paradiso e v’introdusse un ladro. In questo giorno ci ha ridato la nostra vera patria e l’ha fatta casa di tutto il genere umano, poiché dice: "Oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,43). Che cosa dici? Sei crocifisso, hai le mani inchiodate e prometti il paradiso? Certo, dice, perché tu possa capire chi sono, anche sulla croce. Perché tu non ti fermassi a guardare la croce e potessi capire chi era il Crocifisso, fece queste meraviglie sulla croce. Non mentre risuscita un morto, o quando comanda ai venti e al mare, o quando scaccia i demoni, ma mentre è in croce, inchiodato, coperto di sputi e d’insulti, riesce a cambiar l’animo d’un ladro, perché tu possa scoprire la sua potenza. Ha spezzato le pietre e ha attirato l’anima d’un ladro, più dura della pietra e l’ha onorata, perché dice: "Oggi sarai con me in paradiso". Sì, c’eran dei Cherubini a custodia del paradiso; ma qui c’è il Signore dei Cherubini. Sì, c’era una spada fiammeggiante, ma questi è il padrone della vita e della morte. Sì, nessun re condurrebbe mai con sé in città un ladro o un servo. L’ha fatto Cristo, tornando nella sua patria, v’introduce un ladro, ma senza offesa del paradiso, senza deturparlo con i piedi d’un ladro, accrescendone anzi l’onore; è onore, infatti, del paradiso avere un tale padrone, che possa fare anche un ladro degno della gioia del paradiso. Quando infatti egli introduceva pubblicani e meretrici nel regno dei cieli, ciò non era a disonore, ma a grande onore, perché dimostrava che il padrone del paradiso era un così gran Signore, che poteva far di pubblicani e meretrici persone così rispettabili, da meritare l’onore del paradiso. Come, infatti, ammiriamo maggiormente un medico, quando lo vediamo guarire le più gravi e incurabili malattie, cosi è giusto ammirare Gesù Cristo, quando guarisce le piaghe e fa degni del cielo pubblicani e meretrici. Che cosa mai fece questo ladro, dirai, da meritar dopo la croce il paradiso? Te lo dico subito. Mentre per terra Pietro lo rinnegava, lui in alto lo proclamava Signore. Non lo dico, per carità, per accusare Pietro; ma voglio rilevare la magnanimità del ladro. Il discepolo non seppe sostenere la minaccia d’una servetta; il ladro tra tutto un popolo che lo circondava e gridava e imprecava, non ne tenne conto, non si fermò alla vile apparenza d’un crocifisso, superò tutto con gli occhi della fede, riconobbe il Re del cielo e con l’animo proteso innanzi a lui disse: "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno" (Lc 23,42). Per favore, non sottovalutiamo questo ladro e non abbiamo vergogna di prendere per maestro colui che il Signore non ebbe vergogna di introdurre, prima di tutti, in paradiso; non abbiamo vergogna di prender per maestro colui che innanzi a tutto il creato fu ritenuto degno di quella conversazione che è nei cieli; ma riflettiamo attentamente su tutto, perché possiamo penetrare la potenza della croce. A lui Cristo non disse, come a Pietro: "Vieni e ti farò pescatore d’uomini" (Mt 4,19), non gli disse, come ai Dodici: "Sederete sopra dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele" (Mt 19,28). Anzi neanche lo degnò d’una parola, non gli mostrò un miracolo; lui non vide un morto risuscitato, non demoni espulsi, non il mare domato; eppure lui innanzi a tutti lo proclamò Signore e proprio mentre l’altro ladro lo insultava...

       Hai visto la fiducia del ladro? La sua fiducia sulla croce? La sua filosofia nel supplizio e la pietà nei tormenti? Chi non si meraviglierebbe che, trafitto dai chiodi, non fosse uscito di mente? Invece non solo conservò il suo senno, ma abbandonate tutte le cose sue, pensò agli altri e, fattosi maestro, rimproverò il suo compagno: "Neanche tu temi Dio?" (Lc 23,40). Non pensare, gli dice, a questo tribunale terreno; c’è un altro giudice invisibile e un tribunale incorruttibile. Non t’affannare d’essere stato condannato quaggiù; lassù non è la stessa cosa. In questo tribunale i giusti a volte son condannati e i malvagi sfuggono la pena; i rei vengono prosciolti e gl’innocenti vengono giustiziati. Infatti i giudici, volenti o nolenti, spesso sbagliano; poiché per ignoranza o inganno o per corruzione possono tradire la verità. Lassù è un’altra cosa. Dio è giudice giusto e il suo giudizio verrà fuori come la luce, senza tenebre e senza ignoranza...


       Vedi che gran cosa è questa proclamazione del ladro? Proclamò Cristo Signore e aprì il paradiso; e acquistò tanta fiducia, che da un podio di ladro osò chiedere un regno. Vedi di quali beni la croce è sorgente? Chiedi un regno? Ma che cosa vedi che te lo faccia pensare? In faccia hai una croce e dei chiodi, ma la croce, egli dice, è simbolo di regno. Invoco il Re, perché vedo il Crocifisso; è proprio del re morire per i suoi sudditi. Questo stesso disse: "Il buon pastore dà la vita per le sue pecore" (Jn 10,11). Dunque, anche un buon re dà la vita per i sudditi. Poiché dunque diede la sua vita, lo chiamo Re. "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno".

Fonte:http://francescofolloit.blogspot.it/

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