CIPRIANI SETTIMIO SDB NATALE DEL SIGNORE "Andiamo fino a Betlemme…"

25 dicembre 2016 | Natale del Signore Gesù - A | Appunti per la Lectio
NATALE DEL SIGNORE
"Andiamo fino a Betlemme…"
Tutto in Cristo è grande, anzi "troppo" grande per la nostra misura di comprensione e di
ammirazione. E questo, nonostante che egli si sia fatto "carne" (cf Gv 1,14) umana, in tutto "simile a noi" (Eb 4,15). Però proprio questa "umanizzazione" porta con sé il senso del mistero e della sorpresa: "perché" si è fatto uno di noi, lui che è al di sopra e al di fuori di tutti noi? Nel momento in cui egli ci si avvicina, avvertiamo anche che ci sovrasta all'infinito, ci sfugge, si nasconde a noi. C'è da domandarsi se il Natale ce lo "sveli" più di quello che non ce lo "veli"! È l'eterno gioco del "mistero" di Dio quando si apre all'uomo.
La stessa Liturgia del Natale avverte questa "ineffabilità" della venuta di Cristo in mezzo a noi e con la possibilità della triplice celebrazione eucaristica, tipica della festività odierna, tenta di introdurre i fedeli a percepire e a gustare qualcuno dei molteplici aspetti che costituiscono la infinità del mistero dell'Incarnazione.
Per la nostra riflessione seguiremo i testi liturgici della seconda Messa, detta dell'aurora, che è molto più concisa delle altre due, ma non meno ricca di contenuto teologico e spirituale.
Soprattutto le Orazioni sono frementi di gioia e come inebriate della grande festa di "luce" che è il Natale. "Signore, Dio onnipotente, che ci avvolgi della nuova luce del tuo Verbo fatto uomo, fa' che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito", preghiamo nella Colletta: è la dilatazione della "luce", che ci è penetrata nella mente e nel cuore mediante la fede, alle opere della vita, che supplichiamo dal Signore. Il Natale si celebra vivendolo!
Lo stesso pensiero ricorre nella Orazione dopo la Comunione: "O Dio, che ci hai radunato a celebrare in devota letizia la nascita del tuo Figlio, concedi alla tua Chiesa di conoscere con la fede le profondità del tuo mistero, e di viverlo con amore intenso e generoso". Il "vivere" è sempre conseguente al "conoscere": la cosa più grossa è scoprire che cosa significhi la "nascita" umana di Cristo; non appena avremo percepito qualcosa di questo "mistero", sarà tutta la nostra vita ad esserne come travolta e capovolta. Ci accorgeremo subito che non potremo celebrare il Natale del Signore senza "nascere" di nuovo anche noi con lui.
Anche le letture bibliche, pur nella loro concisione, portano avanti molto efficacemente questo tipo di riflessioni che abbiamo appena accennato.

"Quando si è manifestato il suo amore per gli uomini"

Incominciamo dalla seconda, che è ripresa dalla Lettera a Tito, in cui san Paolo, in un contesto in cui parla dei doveri generali dei fedeli, ricorda quale "rinnovamento" ha prodotto Cristo nella nostra vita, allorché si è "manifestato" in mezzo a noi: "Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati...".
È chiaro che per Paolo tutta l'iniziativa della nostra salvezza risale esclusivamente all'amore di Dio, concretizzatosi nell'Incarnazione del Cristo. Sia il Padre che Cristo vengono chiamati "Salvatore nostro" (vv. 3 e 6), con un'innovazione piuttosto ardita: mentre, infatti, normalmente nell'epistolario paolino solo Dio viene detto "Salvatore",1 nella nostra lettera tale appellativo viene dato anche a Cristo.2 E questo non soltanto per affermarne l'eguale dignità insieme al Padre, ma anche per mettere in evidenza la "grandezza" della salvezza che ci è stata donata; essa è opera del Padre e del Figlio.
Anzi, anche dello Spirito Santo, che "è stato effuso su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo" (v. 6). Il "dono" dello Spirito continua e dilata quello dell'Incarnazione, che in tal modo non rimane un evento grandioso, ma isolato nella storia, senza punti di contatto e di riferimento con i singoli credenti: mediante lo Spirito ognuno di noi, in questa festa di Natale, può risalire alle sorgenti dell'amore, può di nuovo sperimentare e assorbire in sé tutta la forza di quella "bontà" (v. 4) che spinse Dio a progettare e a realizzare quel "primo" Natale, che non cesserà mai di sorprendere gli uomini di tutti i tempi.
Non dimentichiamo quello che san Paolo dice così meravigliosamente altrove: "L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5). Proprio perché "dono" dell'amore, lo Spirito è capace di rivelarci e di farci ripercorrere tutte le vie dell'amore attraverso una interiore "degustazione" e anche attraverso una maggiore penetrazione del senso della Liturgia.
In tale prospettiva non è senza significato il sottolineare che in questo piccolo brano ricorrono ben tre sostantivi per designare la "benevolenza", completamente gratuita, del Padre verso di noi, di fronte alla quale non hanno rilevanza alcuna le "opere di giustizia" che eventualmente potessimo anche aver "compiuto" (v. 5): il Natale ha senso soltanto perché da sé l'uomo non avrebbe mai potuto e saputo salvarsi!
I tre sostantivi sono: la "bontà di Dio", il "suo amore per gli uomini" (v. 4), la "sua misericordia" (v. 5). Soprattutto il secondo è significativo: in greco abbiamo philanthropía, che forse sarebbe stato anche meglio lasciare tale e quale, proprio perché tutti ne conoscono il significato. E Dio non è stato "filantropo" in forma arida e distaccata, ma ha "amato" gli uomini fino a diventare uno di loro: ha davvero saputo mettersi nei nostri panni! Proprio per questo egli ci comprende e ci perdona.
D'altra parte, appunto perché è diventato uno di noi, non potrà mai respingerci: direi che, nonostante tutto, Dio è come costretto ad amare gli uomini, perché per il mistero dell'Incarnazione egli si è mescolato a ognuno di noi.

"Riconosci, o cristiano, la tua dignità"

Ma c'è un'altra cosa da osservare in questo brano: ed è il riferimento al Battesimo, che viene presentato come il "lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo" (v. 5).
Non è del Battesimo in genere che vogliamo qui parlare, ma solo in quanto dice riferimento al mistero del Natale: i termini adoperati per descriverlo ci rimandano, infatti, all'idea di una "nuova" nascita ("rigenerazione": in greco palinghenesía) e di una "novità" di vita ("rinnovamento"). Tutto questo sta a dire che per i credenti il loro "natale" coincide con il Battesimo: in quel momento essi sono "rinati" in Cristo. È per il Battesimo che noi ci appropriamo del mistero dell'Incarnazione, così come è per l'Incarnazione che Gesù si appropria della nostra natura umana.
È di qui che deriva tutta la nostra grandezza, così come l'impegno a vivere secondo lo stile di questa "nuova" vita offertaci da Cristo per mezzo del suo Natale. Era quanto ricordava san Leone Magno ai cristiani del suo tempo: "Riconosci, o cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro... Con il sacramento del Battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo!".3

"Li chiameranno popolo santo"

Anche la prima breve lettura, ripresa da Isaia, può e deve essere letta in questa chiave di "rinnovamento" nella "santità", annunciata dal Profeta per la Gerusalemme dei tempi ultimi, quando gli esiliati ritorneranno finalmente alla loro terra dalla schiavitù di Babilonia: "Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo Salvatore... Li chiameranno popolo santo, redenti dal Signore. E tu sarai chiamata "ricercata", "città non abbandonata"" (Is 62,11.12).
Al di là di queste immagini, è evidente il rimando alla tematica degli "sponsali" fra Dio e il suo popolo (cf Is 54,6-7, ecc.). La Incarnazione è la espressione massima dell'"innamoramento" di Dio verso gli uomini: davvero nel Natale Cristo ha "sposato" ognuno di noi per attirarci nell'intimità della sua vita e del suo amore!

"Ecco, vi annunzio una grande gioia"
Il brano di Vangelo, anch'esso molto rapido, quasi che la Liturgia non volesse disperdere in dettagli secondari o troppo assorbenti la nostra attenzione, ci descrive la premurosa andata dei pastori a Betlemme dopo lo strabiliante annunzio dell'Angelo: "Ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo; oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2,11).
Il testo non presenta particolari difficoltà esegetiche, perciò concentreremo la nostra attenzione su certi atteggiamenti spirituali dei protagonisti della scena, che certamente san Luca vuole riproporre anche per i suoi lettori.
E prima di tutto l'atteggiamento di accoglienza e di disponibilità dei pastori verso l'annunzio dell'Angelo: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere" (Lc 2,15). La loro premura fu ampiamente ricompensata: "Andarono dunque senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia" (v. 16).
Non furono per niente scandalizzati di trovare il "Salvatore" del mondo in tanta miseria e in tanto disagio. Era quanto l'Angelo aveva già loro anticipato: "Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia" (v. 12). Se mai, questo era per loro un segno di maggiore credibilità: allora vuol dire che Dio ama davvero tutti gli uomini, anche i più poveri e abbandonati, dal momento che si è posto al loro rango! La Incarnazione annulla radicalmente e addirittura capovolge le posizioni sociali: è la rivalutazione dell'uomo in quanto tale, piccolo o grande che sia, ricco o povero, dotto o ignorante, a prescindere dalla maggiore o minore fortuna o prestigio che ciascuno di noi può avere nella vita.
Come effetto, poi, di questo atteggiamento di disponibilità, esplode nei pastori il senso della "gioia" per la grande scoperta e il bisogno di comunicarla agli altri: "E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano" (vv. 17-18). Luca conclude la scena dicendoci che essi "se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, come era stato detto loro" (v. 20).
È il Natale che incomincia a fare la sua grande corsa per il mondo: sono dei poveri e semplici "pastori" che "annunziano" il fatto più sconvolgente della storia ad altri uomini!
Il Vangelo ha una forza esplosiva nelle realtà che contiene: ha bisogno soltanto di chi lo attesti e lo proclami con la parola e con la vita per diventare contagio, o fuoco che brucia. Non importa essere magi o pastori, pescatori come Pietro o raffinati dottori come Paolo: l'importante è avere il cuore pieno di Lui, gli occhi e gli orecchi ancora carichi di "sorpresa" per avere "visto e udito" qualcosa di incredibilmente bello e meraviglioso, che non potremo mai più tenere solamente per noi.

Maria "serbava tutte queste cose nel suo cuore"

Accanto ai pastori c'è un'altra creatura, discreta, eppure attenta osservatrice di tutto quanto le capita attorno: Maria che, al dire di Luca, "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (v. 19). Anche più tardi, dopo il ritrovamento di Gesù nel tempio, Luca ci dirà che "sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore" (2,51). È l'atteggiamento di chi si trova davanti a fatti che sono più grandi di noi, e perciò richiedono uno sforzo di maggiore penetrazione.
Non è soltanto la storia di Maria che è piena di mistero, ma anche e soprattutto ciò che è avvenuto al suo Figlio: se veramente egli è l'erede delle promesse fatte a Davide e se il trono "regale" gli appartiene, come le aveva detto l'Angelo (cf Lc 1,33), com'è che nasce nella miseria più squallida? D'altra parte, perché tutta questa gente, umile e semplice, va alla ricerca del suo Figlio, senza che nessuno abbia sparso la notizia della sua nascita? E poi, a chi poteva interessare la nascita di un bambino, che non portava con sé alcun segno di prestigio o di rilevanza sociale, e neppure semplicemente umana?
Sono soltanto degli interrogativi che non potevano non nascere nel cuore della madre, per la quale il "mistero" di quel Figlio, nato dalle sue stesse viscere, non era minore che per gli altri: anzi era infinitamente più grande! E accanto a queste considerazioni, il tentativo di squarciare il futuro: che ne sarebbe stato di lui e per quali vie Dio lo avrebbe condotto, senza che lei, sua madre, avesse alcun diritto a intralciarle, ma solo a favorirle e a spianarle?
Questo atteggiamento pensoso di Maria davanti al mistero del suo Figlio è un'indicazione preziosa anche per noi, allo scopo di celebrare degnamente il Natale. Una realtà che ci trascende e che solo un infinito amore e una intelligenza vigile e attenta a cogliere tutti i segni del divino nelle cose possono pienamente percepire e rivivere. Un desiderio struggente di ritrovare in Cristo, fattosi nostro fratello, la soluzione a tutti i problemi che agitano e turbano il cuore degli uomini ormai alle frontiere misteriose del Duemila.

Da: CIPRIANI Settimio
  Fonte:  www.donbosco-torino.it

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