Don Marco Ceccarelli, "Maria Madre di Dio"

Maria Madre di Dio – 1 Gennaio 2017
I Lettura: Nm 6,22-27
II Lettura: Gal 4,4-7
Vangelo: Lc 2,16-21
- Testi di riferimento: Dt 32,28-29; 1Re 3,10-12; Sal 49,13; 92,6-7; Is 1,3; 5,12; Mt 6,22-23; 13,23;
Lc 2.12.15.51; 12,56; Gv 7,17; Rm 10,20; Ef 5,15-17; Col 1,9-10
1. La solennità della Vergine Maria Madre di Dio.
- Il dato di fede che la solennità odierna mette in risalto – Maria è “madre di Dio” – serve a far
risaltare
senza ombra di dubbio che il bambino nato da lei è veramente Dio stesso. Quello che è nato da
lei è veramente il Verbo preesistente che da Maria e in Maria ha preso la natura umana. Così colui
che crescerà nella famiglia di Nazaret, che opererà durante la sua vita pubblica, che soffrirà la passione
e la morte è veramente la seconda Persona della Trinità. Dio si è veramente sporcato le mani
con noi, per la nostra salvezza. Il “soggetto” della salvezza è il Figlio di Dio. “Dio salva”: questo è
Gesù. Questo è il nome che l’angelo ha comandato di porre al bambino (Mt 1,21) perché esprime
quello che è e quello che farà. Infatti la salvezza può essere operata che da Dio solo. Non c’è salvezza
nelle realtà creaturali.
- Se il soggetto della salvezza è Dio, il “mezzo” della salvezza è però la natura umana. Dio non può
morire se non assume la natura umana. La salvezza si opera attraverso il corpo umano, in tutta la
sua fragilità e debolezza. Dio si è veramente fatto debole, in tutto come noi eccetto il peccato.
- Analogia con il cristiano. Dio ha assunto la natura umana perché noi ricevessimo quella divina.
Nel cristiano appare una duplicità: la natura umana propria della nostra stirpe e la natura divina che
abbiamo ricevuto con il battesimo. Il Cristo che vive in noi, il Figlio di Dio che vive in noi, è il soggetto
della salvezza che vuole operare attraverso la nostra natura umana, con tutta la sua fragilità.
2. Il Vangelo.
- In coincidenza con l’inizio del nuovo anno civile, in cui siamo portati a fare bilanci di quello trascorso,
ripensandone gli avvenimenti, il Vangelo odierno ci offre una chiave per imparare a guardare
i fatti nell’ottica della fede. La Rivelazione biblica ci insegna che Dio parla attraverso i fatti. La
storia umana è il luogo dove Dio si comunica agli uomini, entra in dialogo con loro, attraverso gli
avvenimenti (cfr. Dei Verbum, 2). Questo “discorso” di Dio nella storia umana si concretizza massimamente
nel suo Verbo fatto carne. Dio vuole far conoscere agli uomini la sua volontà, il suo disegno,
il suo progetto di felicità per loro, e lo fa conoscere attraverso degli eventi concreti. L’uomo
deve saper riconoscere in questi eventi la parola che Dio gli sta rivolgendo. In Lc 2,15-20 si usa per
tre volte il termine rema, che indica sia i fatti che le parole connesse con essi (nella traduzione italiana
della CEI questo gioco di parole si perde totalmente). Al v. 15 i pastori dicono “Andiamo fino
a Betlemme e vediamo questo avvenimento/parola (rema) …”. Al v. 17 i pastori vedendo il bambino
nella mangiatoia ri-conoscono l’avvenimento/parola (rema) che l’angelo ha detto loro. Al v. 19
si dice che Maria custodisce e “interpreta” questi remata, queste parole/avvenimenti nel suo cuore.
Nella storia umana, e più in particolare nella nostra storia personale, c’è dunque una presenza di Dio
che occorre imparare a discernere, a conoscere e riconoscere, perché non avvenga che anche a noi ci
sia rivolto il rimprovero di Is 1,3: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo
padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende».
- Il “segno” della mangiatoia (v. 16).
• I pastori vanno in fretta a Betlemme e riconoscono il segno che l’angelo ha loro indicato. Nel v. 12
l’angelo aveva dato come segno: «troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia».
In cosa consiste esattamente questo segno? Non penso sia semplicemente un segno identificativo,
perché possano riconoscere un bambino “speciale” fra altri che ci saranno stati, quanto piuttosto
un simbolo di qualcosa, e di qualcosa che abbia a che fare con il Messia promesso. Alcuni sottolineano
l’avvolgimento in fasce in riferimento alla nascita del “figlio di Davide” Salomone (Sap
SPUNTI DI OMELIA PER LA MESSA DOMENICALE DI DON MARCO CECCARELLI - WWW.DONMARCOCECCARELLI.IT
7,4). Ma che importanza ha il segno della mangiatoia? (tra l’altro nel v. 16 non si parla più delle fasce,
ma soltanto della mangiatoia). Se Gesù può essere “alloggiato” in una mangiatoia ciò significa
che essa doveva essere vuota. L’evangelista ci aveva già detto nel v. 7 che il bambino è stato posto
in una mangiatoia “perché non c’era posto per loro nell’alloggio”. Ciò significa dunque implicitamente
che è stato posto nella mangiatoia perché lì invece c’era posto. Il termine fatne indica sia una
stalla che la mangiatoia in essa contenuta. Se Gesù viene posto in tal luogo ciò lascia supporre una
assenza del bestiame e del loro nutrimento (cfr. Pr 14,4: «ubi non sunt boves praesepe vacuum»).
Anche se non possiamo fare a meno di raffigurarci il presepe con la presenza di animali, il brano
evangelico sembra dirci, almeno a livello simbolico, il contrario. Non avrebbero potuto mettere il
bambino nel luogo dove le bestie vanno a mangiare se in tale luogo ci fosse stato sia il cibo che le
bestie. E infatti, dove sono gli animali (e pure i pastori)? All’aperto nei campi; e persino la notte!
Non sono rientrati alla stalla. Il contrasto – paradossale – è chiaro. Il fatto che le bestie siano nei
campi invece che presso la mangiatoia sembra offrire l’indicazione, almeno a livello simbolico, di
una certa carestia, a causa della quale la stalla di Betlemme è vuota.
• In Ab 3,17 si parla di una carestia che tocca sia uomini che bestie: «… I campi non hanno prodotto
cibo, i greggi sono spariti dagli ovili, e non c’è bestiame nelle stalle (il termine è fatne)». La carestia
provoca lo svuotamento delle stalle, per andare in cerca di cibo. Il testo di Abacuc continua affermando:
«Ma io esulterò nel Signore, gioirò nel Dio della mia salvezza» (3,18). Dunque, nel contesto
della mancanza di cibo appare la salvezza di Dio, che implicitamente riguarderà la soluzione di
quel problema. Dio salverà e allora la situazione si capovolgerà, cioè ci sarà abbondanza di cibo.
• Questo sembra essere il quadro, almeno a livello simbolico, anche dell’episodio dei pastori. La
stalla è vuota perché le greggi sono altrove in cerca di pascolo. Il Messia nasce in una situazione di
caos, di sconvolgimento, di disordine, di crisi; la mancanza di cibo è un “topos”, un luogo comune,
per indicare tutto questo. Ma ai pastori viene annunciata la salvezza attraverso un segno che dice il
contrario: Dio ha provveduto il cibo, ha riempito del pane celeste la mangiatoia, a Bethlehem, la
“casa del pane”. Per questo essi vedendo questo segno se ne vanno glorificando e lodando Dio (v.
20). Per indicare che gli antichi re avevano grandissima abbondanza si dice per esempio che Ezechia
costruì «magazzini per i prodotti del grano, del mosto, dell’olio, stalle (fatne) per ogni genere
di bestiame» (2Cr 32,28; cfr. anche 1Re 4,26). Il segno del bambino nella mangiatoia indica che
Dio sta per realizzare quelle promesse di abbondanza annunciate per la venuta del Messia.
- L’appuntamento a Betlemme. La Sapienza ha posto dimora in mezzo al popolo del Signore. Betlemme
significa “casa del pane”, e il Verbo di Dio, come pane disceso dal cielo, si è manifestato
nella “casa del pane”. Tutti allora dobbiamo andare nella casa del pane. Come i magi, che evocano
la venuta della regina di Saba a Gerusalemme per conoscere la sapienza di Salomone, occorre andare
a conoscere e riconoscere la Sapienza che è apparsa sulla terra. Tutti siamo dunque chiamati ad
andare a Betlemme e tutti possiamo identificarci con qualche personaggio, compresi quelli che non
vanno, come Erode e gli scribi. Tutti siamo coinvolti nel presepe. A Betlemme è dove devono andare
Giuseppe e Maria, i pastori, i magi, perché è lì che Dio ha fissato per tutti gli uomini un appuntamento.
Tutti siamo chiamati ad andare a Betlemme perché lì è il luogo dove la storia umana ha
appuntamento con Dio e le sue promesse di salvezza, di sazietà, di vita. Andare a Betlemme significa
riconoscere che Dio dona gratuitamente all’umanità un progetto di felicità già realizzato da lui.
Adorare il bambino a Betlemme significa riconoscere chi è il vero e unico Dio di ogni esistenza
umana e lasciarsi ammaestrare dalla sua Sapienza. C’è una Betlemme per ciascuno di noi dove Dio
si vuole manifestare, si vuole fare conoscere. È apparsa la vita, la Sapienza, Dio. Ora non possiamo
più dire di non sapere dove si trova. Dio ci ha fissato un appuntamento a Betlemme per vedere il
Salvatore e tornare pieni di gioia, sapendo che non siamo condannati alla disperazione, alla infelicità,
alla morte. Occorre andare a Betlemme, e andare in fretta, come sono andati in fretta i pastori. Le
opere di Dio richiedono una sollecitudine. Quando Dio si manifesta, quando Dio appare per salvare,
non c’è tempo da perdere. Non si può procrastinare l’intervento di Dio o pretendere che si adegui ai
nostri tempi. Dio passa, ci chiama ad un appuntamento di salvezza e ne trae vantaggio chi si fa trovare
pronto.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/

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