don Marco Pedron, " Salvare il Bambino"

Salvare il Bambino
don Marco Pedron
Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno A)
Vangelo: Mt 2,13-15.19-23
Oggi la chiesa celebra la festa della Santa Famiglia. Il vangelo ci presenta una famiglia in pericolo, che scappa e che deve fuggire.

La Santa Famiglia di Nazareth sarà stata certamente santa ma non era certamente una famiglia idilliaca. Qui scappano; un altro giorno Maria rimprovera Gesù: "Figlio, perché ci hai fatto così! Ecco, tuo padre ed io eravamo angosciati, ti cercavamo". E Gesù seccamente risponde: "Non sapevate che io...". Un altro giorno i parenti e i familiari di Gesù lo vanno a prendere perché dicono: "E' pazzo". Episodi che dicono di una famiglia come tante altre con gioie e incomprensioni, con cose grandi e ostacoli. A volte, ci è stata trasmessa una immagine paradisiaca della famiglia di Gesù.
Invece era una famiglia come tante altre, anche molto strana a ben pensarci: una madre incinta non si sa come; un padre che scompare (che fine fa Giuseppe nel vangelo?); un figlio molto difficile da capire, sovversivo e rivoluzionario per quel e per ogni tempo; una famiglia rifugiata politica in Egitto. Se non è "anomala" questa famiglia non lo è davvero nessuna! La Famiglia di Nazareth non era quella reggia di sola bontà, di solo amore, di sola generosità.
A volte si vedono famiglie che da fuori sembrano il paradiso, la perfezione. Sembra che tutti si amino, che tutti siano felici, che tutto vada bene. Sembra! Nel vangelo c'è una frase: "Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi" (Lc 6,26). Le incomprensioni, i conflitti, il "brontolarsi", certe scelte non capite sono normali in una famiglia.
Nella famiglia di Nazareth erano solo in tre (tutti e tre li veneriamo come santi e lo sono!) eppure quante difficoltà! Perché dovremmo essere più santi noi? Perché dovremmo essere esenti dalla normale difficoltà di vivere?
La famiglia non è il luogo della perfezione, dei sorrisi, "che tutti dicano bene di noi e del nostro nome"; la famiglia è il luogo dove possiamo abbeverarci d'amore, d'amore umano, che è sempre quello che è: parziale, limitato, mai perfetto (perché viene da uomini), ma anche così tremendamente bello, intenso, importante che solo quando non c'è più se ne capisce il valore. Dietro a molte vicende televisive o dei giornali si sente dire: "Una famiglia perfetta, come è stata possibile una cosa simile?". E' proprio questo il punto: non esistono realizzazioni perfette.
C'è una storia che racconta di un uomo che aveva degli scheletri umani nel suo armadio. Di giorno non c'erano problemi, ma di notte questi scheletri prendevano vita e uscivano tormentandolo e inseguendolo da tutte le parti. Quando poi arrivava mattina e tornava la luce rientravano nell'armadio. Questo accadde per tanto tempo finché una notte riuscirono a prendere quell'uomo, lo legarono e lo misero nell'armadio. Gli scheletri continuarono a vivere fuori e non ritornarono più dentro all'armadio, e quell'uomo morì dentro l'armadio diventando a sua volta, uno scheletro. E' una storia un po' lugubre ma molto reale: è ciò che accade a volte nelle nostre famiglie.
Certe famiglie si ritrovano assieme a mangiare, ma non si è famiglia anche se si è attorno all'unico tavolo. C'è la famiglia-autogrill: uno mangia e poi scappa; c'è la famiglia-caserma: c'è chi ordina, chi comanda e chi deve eseguire; c'è la famiglia-albergo dove tutto è perfetto, ordinato, ma non c'è vita, non si ride, non si scherza, non ci si racconta e non ci si ascolta, si può parlare solo di certe cose e guai alzare la voce o ridere a crepapelle; c'è la famiglia-sky-tv dove il padre guarda la partita o il telegiornale e tutti gli altri devono fare silenzio.
Nella nostra società ci sono molte abitazioni ma poche case, famiglie. Abbiamo l'abitazione al mare, in montagna, all'estero; c'è la seconda casa che è il pub, l'osteria, la piazza, ma spesso non c'è nessuno che ci ascolta, nessuno con cui ridere, piangere, con cui mostrarsi per quello che si è. Perché spesso abbiamo tante abitazioni, tante stanze, ma nessuna casa.
Il 74% dei ragazzi ha come sogno quello di costruire "una bella famiglia", perché viene ritenuta un bene primario. E' bene che sappiano che metà di loro saranno delusi in questo sogno. Allora: per esser famiglia non basta stare assieme, mettersi insieme, vivere sotto lo stesso tetto.
Per i bambini c'è la scuola materna, per i ragazzi la scuola elementare, media, superiore, l'università; per andare in auto c'è l'autoscuola; per fare un qualsiasi lavoro (anche l'operatore ecologico o l'assistente domiciliare) ci sono corsi di formazione. E i genitori dove si formano? Perché non dovrebbero andare a scuola? Dove s'impara? Chi c'insegna? Perché dovrei avere la pretesa di saper fare il genitore solo per il fatto che ho un figlio? Anche mio zio possiede un pianoforte ma non lo sa suonare! Una famiglia che non trova "scuole", occasioni, momenti di crescita o si esaurirà o si appiattirà.
Il vangelo di oggi ci presenta la nascita di Gesù in parallelo con quella di Mosé. Mt vuol dire: "Questo bimbo è il nuovo e il vero Mosé". Quando il faraone d'Egitto venne a sapere tramite uno scriba che nel suo paese stava per nascere un salvatore, per paura, fece uccidere tutti i bambini maschi. I genitori di Mosé (il cui parto avvenne indolore) lo tennero in casa tre mesi, ma poi dovettero esporlo al Nilo, dove qui verrà trovato proprio dalla corte dell'imperatore. Anche Gesù come Mosé è un bambino perseguitato e attorno a lui vi sono omicidi, violenze e intrighi. Anche lui deve scappare, anche lui deve sottrarsi al male, anche lui vive in un contesto di ostilità.
Giuseppe Flavio dice di Erode: "Non fu un re, ma il più crudele tiranno che abbia governato il paese. Ha assassinato una quantità di persone e la sorte di coloro che lasciò in vita fu così triste che invidiavano la sorte degli uccisi". Erode uccise i due mariti di sua sorella Salomé, sua moglie Mariamne, i suoi due figli. Fece annegare suo cognato e uccidere sua suocera; ordinò la strage degli innocenti. Quando morì, anziché canti funebri e lamenti, suonarono a festa.
La storia di Gesù (e quella di Mosé) parlano del mito di ogni bambino.
Ogni bambino ha avuto il suo Erode: ha dovuto soffrire, ha vissuto conflitti, umiliazioni e difficoltà. Ogni bambino ha dovuto, in qualche modo, scappare dalla propria terra, da quello che lui era, dal suo essere profondo, ed emigrare, diventare qualcos'altro. E tutto questo per salvarsi. Ogni bambino ha trovato delle strategie per sopravvivere negli ambienti in cui viveva, a volte strategie di schiavitù, di prigione (Egitto), di adattamento, ma necessarie per vivere.
Se ad esempio la madre non è affettiva, se non tocca il bambino, non lo abbraccia, allora egli impara a diventare servizievole "e tutto per gli altri". Strategia di adattamento: ottengo come riesco ciò che non ho (l'amore).
Se il padre si impone in maniera troppo decisa, il figlio di conseguenza diventa timido, chiuso, incapace di esprimersi. Strategia di difesa: "Meglio stare zitti perché qui è pericoloso".
Se la madre scarica sul figlio l'insoddisfazione nei confronti del marito allora il figlio non sa più scegliere e diventa insicuro. Cioè: "Se me ne vado la faccio soffrire anch'io: rimarrò io con lei". Ma così non sceglie sé.
Ogni bambino, però, ha una forza interna, la forza della vita, che è più grande di tutte le forze contrarie e può sempre tornare nella sua terra, nella terra promessa; può sempre, cioè, svilupparsi ed essere ciò che lui è, ciò che lui può essere. Perché la forza della vita è più forte (per chi la lascia emergere) di ogni vento contrario.
Uccidere il bambino che è in me è la più grande tragedia della vita (è la strage degli innocenti). Il mio bambino è la mia parte che si sa stupire.
Quando i miei ragazzi (a volte hanno sessant'anni!) dei corsi fanno delle piccole conquiste, superano certe paure, a volte sono così felice che mi viene da piangere (e accade!). O quando mi raccontano certe esperienze dolorose, certe storie, solitudini, traumi, allora piango con loro e sento, almeno un po', la loro sofferenza. Tutto questo mi fa sentire vivo; mi fa sentire un mare e non uno stagno, dove a volte c'è anche tempesta ma dove c'è tanta vita. Tutto questo mi fa ringraziare la vita e mi fa essere grato per essere al mondo, e a questo mondo. Se ascoltassi il mio Erode che mi dice: "Un prete non deve far vedere che piange; sii forte; non ti far vedere debole tu che sei il conduttore; che figura ci fai?" allora soffocherei il mio bambino, mi verrebbe un nodo alla gola e diventerei insensibile. Chi soffoca il pianto diventa (è scientificamente provato!) insensibile.
Il mio bambino è la mia parte che sa amare del tutto, completamente, che si dà senza trattenere niente.
Quando guardo i bambini sono sempre profondamente colpito dalla loro capacità di amare del tutto. Quando dicono: "Mamma ti sposo io; sei la cosa più bella del mondo" lo dicono convinti. Nei loro occhi si può vedere che amano fidandosi del tutto, che non fanno calcoli, che farebbero davvero tutto per i loro genitori (e lo fanno e questo a volte è la loro rovina), che li amano da morire (e non è solo un modo di dire). Se ascolto il mio Erode rischio di non darmi mai del tutto: "E se poi vieni tradito? E se poi vengo ferito? E se mi delude? E se non ti ricambia? E se finisce tutto? Tienti sempre una via d'uscita e un salvagente pronto; mai dire tutto di sé". Allora non mi consegno mai a nessuno, non mi do mai completamente e mi tengo sempre una via d'uscita, allora non mi butto mai del tutto per una causa, non mi apro mai del tutto. Ma così facendo non posso mai essere amato del tutto perché non mi do del tutto.
Il mio bambino è la parte che sente, che piange, che vive, che ride, che è felice. Quando i bambini sono felici glielo leggi negli occhi: brillano realmente dalla felicità. Quando piangono si abbandonano ad un pianto disperato e incontenibile: vivono tutto con intensità. Tutto è vissuto nella sua pienezza, intensamente. Il mio Erode dice: "Trattieni, manda giù; se ti lasci andare ai sentimenti non ti controllerai più (falso); se ti lasci andare non ne verrai più fuori, diverrai pazzo (non è vero neppure questo); cosa diranno gli altri vedendoti così (è un problema loro!)?". Se ascolto la mia paura della vita non mi permetto più niente e non posso che diventare tristemente freddo, razionale e cervellotico; divento come una statua, ma una statua non sa donare amore, né calore.
Il mio bambino è la parte che chiede aiuto, che non si sopravaluta, che ha coscienza delle proprie forze. Quando un bambino sta male va dalla mamma e si fa coccolare; quando non sa una cosa la chiede al papà; quando ha bisogno di qualcosa lo chiede. Il mio Erode dice: "Fai da solo e non chiedere a nessuno; tu non hai bisogno di nessuno (che falsità!); tu ce la fai da solo; non chiedere aiuto a nessuno perché lo puoi fare anche tu; cosa vuoi che ti possano dare gli altri?; chi fa da sé fa per tre!". Se ascolto il mio Erode rischio di morire, di annegare nei miei problemi. Tutti abbiamo bisogno di amore, di affetto, di abbracci e di tenerezza: bisogna chiedere. Nessuno può far da solo con i suoi problemi. Chi vuol far da solo è solo perché si vergogna.
Il mio bambino è la mia parte che danza, che canta, che gioca, che si sporca, che si butta per terra, che se ne frega di cosa dice la gente. Anni fa dopo la salita del monte Peralba siamo arrivati giù al rifugio. I piedi bollivano, così ci siamo tolti le scarpe e abbiamo messo i piedi nell'acqua (lì ci sono le sorgenti del Piave). Era meraviglioso. Alcune persone ci guardavano un po' indignate, altre un po' schifate, ma non sapevano cosa si perdevano. A volte in chiesa mi viene da muovermi finché si canta, da chiudere gli occhi, da danzare o da urlare: esprimo con tutto me stesso ciò che ho dentro. Chi ti è vicino ti guarda un po' perplesso ma non sa quanto meraviglioso sia potersi esprimere. Basta vincere la paura di Erode: "Cosa dirà la gente che fai così!". "Non lo so e non mi interessa!". Se permetto ad Erode, al mio super-io, al mio giudice interno, alle mie paure di prendere il potere e di uccidere o imprigionare il mio bambino, è la fine.
La festa di oggi è la paura di Erode per un bambino: che cosa può fargli un bambino? Erode è terrorizzato dal bambino, ha paura a lasciargli spazio, ha paura che cresca, ha paura che prenda forza, ha paura di non saperlo più controllare (è irrazionale tutto ciò, ma capisco bene il perché: più uno è insicuro e più vede nemici dappertutto!). E non sa che quello che lui condanna e cerca di uccidere è, invece, la sua salvezza e il Salvatore.
Tutti noi abbiamo un bambino ferito dentro di noi. E siamo terrorizzati dal conoscerlo. Chi si conosce almeno un po' sa che la propria infanzia non è stata così idilliaca come se la immagina. Ma scoprire la verità della nostra vita è disorientante; dare la mano al bambino terrorizzato, piangente, umiliato, deriso che è in noi ci fa davvero male, ci fa piangere fino a tremare.
Tutti noi cerchiamo di dimenticare questo passato così doloroso (ma il cuore ri-corda) che avvelena le nostre giornate senza che ne sappiamo il perché. Chi vuole tornare nel luogo del delitto? Nessuno, è ovvio. Eppure è proprio lì che dobbiamo tornare con la luce, la forza e la consapevolezza di oggi. Perché è l'unica possibilità per esprimere il nostro dolore e la nostra rabbia; è l'unica possibilità per non trasferire su altri innocenti (lo eravamo anche noi) tutto questo fardello. Molte persone dicono: "Che è ciò che stai dicendo?". Sono così lontane dalla realtà che neppure capiscono.
Perché chi è stato deriso (senza saperlo) deriderà; e chi è stato umiliato dai suoi genitori umilierà i propri figli. O chi è stato zittito zittirà (adesso sono io il più forte e nessuno parla più). E' una sofferenza lontana e continuerai a ri-farla (anche se lo so che non lo vuoi!) finché non farai emergere tutto il dolore del tuo bambino, di quando tu venivi deriso, zittito o umiliato. Chi è stato trattato con violenza o durezza diventerà duro con gli altri (è l'unico modo che ha imparato per rapportarsi). Ma uno così non può che far tanto soffrire chi gli è vicino. Come si fa a vivere, a stare, ad amare uno così? Oppure diverrà uno timido, insicuro, impaurito di tutto. Come se ad ogni situazione si dicesse: "Cosa mi farà mio padre?" (Non dice così, ma ciò che vive è lo stesso!). E' una sofferenza lontana. E continuerai a ri-farla (anche se lo so che non lo vuoi!) finché non farai emergere tutto il dolore del tuo bambino, di quando tu eri trattato duramente o con violenza.
Chi di noi vuole accettare di non essere poi stato così tanto amato? Chi di noi vuole vedere una realtà che spesso è molto più triste di ciò che vogliamo vedere? Chi di noi vuole vedere i propri genitori per quello che erano e non come due semidei? Chi di noi vuole accettare di essere stato proprio quel bambino deriso, perseguitato, umiliato, oggetto di sopruso, di vendette di altri (come Gesù nel vangelo)?
La strage degli innocenti si compie ogni volta che noi lasciamo morire, che ci dimentichiamo delle urla, delle violenze, del pianto, della tristezza del nostro bambino: altri innocenti (che non c'entrano niente) subiranno la nostra collera, il nostro disagio e la nostra rabbia.
Quante volte le persone sono nervose e non c'è' motivo? (Sì che c'è, è che è lontano!). Oppure sono "incazzate con il mondo" e non si capisce il perché! Oppure sono depresse pur avendo tutto. O sono anoressiche e nessuno si spiega la causa (eccome che c'è!). E saranno proprio i nostri figli, i nostri amici, le persone che amiamo, proprio quelli di cui diciamo: "Con loro sarà diverso!" (e non lo sarà!), che subiranno tutta la nostra collera, il nostro dolore e il nostro disagio, perpetuando una catena senza fine.
Ri-sentire quel bambino (all'inizio è davvero spaventoso!) è la possibilità di ri-percepirci oltre tutte le paure, i condizionamenti, i ruoli, i "ti amo se" che ci hanno deformato, le pretese a cui abbiamo dovuto sottostare, i patti impliciti a cui non potevamo sottrarci.
Vedere quel bambino è tornare a vedere al di là di tutte le deformità, il male e la tristezza vissuta. E' poterci vedere come siamo usciti dalle mani di Dio. E' poterci vedere nella nostra unicità, nella nostra bellezza, nell'esserci per un motivo. E' vedere che veniamo dall'alto, da Dio. E' vedere che c'è una parte in noi che nessun Erode può distruggere. E' trovare la forza, un punto d'appoggio, per ripartire. Perché se posso vedermi al di là di tutto il male che ho, anche involontariamente ma realmente ricevuto, non potrò che vedermi come Dio mi ha pensato prima che il mio volto venisse sfigurato: vedrò la mia infinita bellezza, grandezza e preziosità. Mi sarà chiaro che io sono un angelo, un figlio di Dio. Chi vede il bambino che egli è inizia a comprendere cosa vuol dire che Dio si è fatto carne, uomo, in te, in me, in tutti: lo intravede!
Pensiero della Settimana
Il passato è passato.
A volte, però, il passato è presente: si chiama dipendenza.
Il futuro è futuro.
A volte, però, il futuro è presente: si chiama paura.
Il presente è presente. Quando lo si vive si chiama vita.
Fonte:http://www.qumran2.net/

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