GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, 10-11

MEDITAZIONE
La Lettera agli Efesini, parlando della "gloria della grazia" che "Dio Padre ci ha dato nel suo Figlio

diletto", aggiunge: "In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue". Secondo la dottrina,
formulata in solenni documenti della Chiesa, questa "gloria della grazia" si è manifestata nella
Madre di Dio per il fatto che ella è stata "redenta in modo più sublime" (Pio IX, Lett. ap.
Ineffabilis Deus). In virtù della ricchezza della grazia del Figlio diletto, a motivo dei meriti
redentivi di colui che doveva diventare suo Figlio, Maria è stata preservata dal retaggio del
peccato originale (cf. san Germano di Costantinopoli e sant'Andrea di Creta). In questo modo
sin dal primo istante del suo concepimento, cioè della sua esistenza, ella appartiene a Cristo,
partecipa della grazia salvifica e santificante e di quell'amore che ha il suo inizio nel "Diletto",
nel Figlio dell'eterno Padre, che mediante l'incarnazione è divenuto il suo proprio Figlio. Perciò,
per opera dello Spirito Santo, nell'ordine della grazia, cioè della partecipazione alla natura
divina, Maria riceve la vita da colui, al quale ella stessa, nell'ordine della generazione terrena,
diede la vita come madre. La liturgia non esita a chiamarla "genitrice del suo Genitore" (inno ai
Vespri del 15 agosto) e a salutarla con le parole che Dante Alighieri pone in bocca a san
Bernardo: "figlia del tuo Figlio" (Paradiso 33, 1.). E poiché questa "vita nuova" Maria la riceve
in una pienezza corrispondente all'amore del Figlio verso la Madre, e dunque alla dignità della
maternità divina, l'angelo all'annunciazione la chiama "piena di grazia".
Nel disegno salvifico della Santissima Trinità il mistero dell'incarnazione costituisce il
compimento sovrabbondante della promessa fatta da Dio agli uomini, dopo il peccato originale,
dopo quel primo peccato i cui effetti gravano su tutta la storia dell'uomo sulla terra. Ecco, viene
al mondo un Figlio, la "stirpe della donna", che sconfiggerà il male del peccato alle sue stesse
radici: "Schiaccerà la testa del serpente". Come risulta dalle parole del protoevangelo, la vittoria
del Figlio della donna non avverrà senza una dura lotta, che deve attraversare tutta la storia
umana.
"L'inimicizia", annunciata all'inizio, viene confermata nell'Apocalisse, il libro delle realtà ultime
della Chiesa e del mondo, dove torna di nuovo il segno della "donna", questa volta "vestita di
sole".
Maria, Madre del Verbo incarnato, viene collocata al centro stesso di quella inimicizia, di quella
lotta che accompagna la storia dell'umanità sulla terra e la storia stessa della salvezza. In questo
posto ella, che appartiene agli "umili e poveri del Signore", porta in sé, come nessun altro tra
gli esseri umani, quella "gloria della grazia" che il Padre "ci ha dato nel suo Figlio diletto", e
questa grazia determina la straordinaria grandezza e bellezza di tutto il suo essere. Maria rimane
così davanti a Dio, ed anche davanti a tutta l'umanità, come il segno immutabile ed inviolabile
dell'elezione da parte di Dio, di cui parla la Lettera paolina: "In Cristo ci ha scelti prima della
creazione del mondo, ...predestinandoci a essere suoi figli adottivi". Questa elezione è più
potente di ogni esperienza del male e del peccato, di tutta quella "inimicizia", da cui è segnata
la storia dell'uomo. In questa storia Maria rimane un segno di sicura speranza.
GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, 10-11

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