Carla Sprinzeles Commento V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Commento su Isaia 58,7-10; Matteo 5,13-16
Carla Sprinzeles  
V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/02/2017)
Vangelo: Mt 5,13-16 
Le letture di oggi mettono al centro l'immagine della luce.
La metafora della luce ci è utile per capire le condizioni per svolgere la missione e qual è il contenuto
della missione.
La luce, come tale, non si vede, le onde luminose sono fuori della portata visiva, noi vediamo gli oggetti illuminati. Essere luce, di per sé, vuol dire essere invisibili.
Noi non siamo fonte di luce, perché la luce è da Dio, nella metafora usata da Gesù, che dice: "Vedano le vostre opere buone e rendano gloria a Dio". Lui è la fonte, Lui è la luce.
La luce illumina gli ambiti oscuri e richiede trasparenza interiore.
ISAIA 58, 7-10
La prima lettura elenca proprio gli ambiti dove la luce deve apparire.
E' un testo del secondo Isaia. A Gesù è molto caro questo profeta dell'esilio, che aveva raccolto diversi scritti e li aveva aggiunti poi al libro del profeta Isaia.
Gesù ha maturato la sua scelta messianica proprio sulla falsariga di questo profeta, che ha anticipato i tempi: in fondo molte proposte fatte da Gesù sono lo sviluppo di queste intuizioni del profeta dell'esilio, di cui non sappiamo neppure il nome, ma che ha scritto parole luminose.
"Spezza il tuo pane con l'affamato, introduci in casa tua i miseri senza tetto, vesti chi è nudo.
Allora la tua luce sorgerà come l'aurora". E poi dopo dice: "Se toglierai in mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all'affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà tra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio".
E' molto chiaro questo discorso: la luce deve pervenire là dove c'è miseria, dove c'è oppressione, dove c'è morte, dove c'è persecuzione.
Gesù tradurrà molto bene tutto questo nelle beatitudini, che abbiamo visto domenica scorsa.
E le beatitudini, l'abbiamo visto, indicano proprio ambiti verso i quali l'azione di Dio è rivolta, verso i quali la luce deve risplendere.
Più che sulla base personale è rivolto a tutti, al popolo: cioè l'affamato, il perseguitato, il povero, l'emarginato è un male di tutta la società, per cui l'impegno di dedicare la propria vita è per il bene di tutti. Se io curo solo il mio bene, se mi interesso solo della mia comodità, della mia ricchezza, io opero contro il bene comune e quindi poi si riversa sui più deboli, i più incerti, i più emarginati.
Per questo l'azione salvifica è rivolta agli ultimi, ai poveri.
Quindi la luce deve essere rivolta dove c'è oppressione, ingiustizia, dove ci sono le tenebre.
In Giudea forse mancano guide credibili, non ci si intende, non c'è amalgama sociale.
Il profeta avverte la necessità di intervenire, Dio stesso glielo ordina.
Il Signore non chiede il digiuno religioso, ma un'autentica conversione, che si manifesti in nuove relazioni di giustizia sociale e di misericordia verso i poveri e i miseri.
Il risultato complessivo di cui Israele godrà è espresso con il simbolo della luce: "Allora brillerà nelle tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio".
Altre volte i profeti erano intervenuti contro un culto a Dio senza connessione con la giustizia verso i piccoli e i poveri, ma l'anonimo discepolo di Isaia assegna un ruolo di segno e di luce di coerenza religiosa in una comunità disgregata e disorientata dei rimpatriati in Giudea.
Quando non si è in situazioni ben organizzate e di maggioranza, con relative guide etiche e religiose, quando si è in diaspora e in minoranza, è assai urgente che ciascuno assolva al ruolo di segno e di "luce" verso gli altri.
MATTEO 5, 13-16
Amici, abbiamo visto, nella prima lettura di oggi, che il fedele è luce perché cammina nella gloria del suo Signore e la manifesta al mondo mediante le opere.
Matteo riprende qui lo stesso concetto: il cristiano è luce del mondo perché segue Cristo, che è la luce del mondo e perché come Cristo, agisce e perciò illumina.
C'è una seconda metafora: il sale, che serve solo se è usato, esattamente come la luce, che serve se si pone in alto. Il cristiano deve dare testimonianza al mondo, illuminare chi è nelle tenebre avvicinandolo così al Padre.
Al cristiano non è consentito vivere il rapporto con Dio come un fatto privato o soltanto interiore.
Tra il dire e il fare non ci dev'essere frattura, altrimenti è una farsa la nostra vita.
Siamo il sale della terra? Laluce del mondo? In che senso?
Il sale dà sapore, la luce permette di vedere chiaro.
Quale sapore dare alla vita? Quale chiarezza per il mondo?
La vita di tante persone oggi si svolge nella noia, nella depressione, nella fuga in divertimenti spossanti o in un lavoro che funge da alibi all'assenza di senso.
Come ridare sapore e luce al grigio uniforme di queste esistenze? Il vangelo è capace sì o no di cambiare una vita?
Eppure pochi vedono nella fede la fonte di senso e di illuminazione; anzi, generalmente il credo che professano ogni domenica incide poco o niente nel loro quotidiano.
E' davvero un Dio un po' noioso quello dei buoni praticanti!
Quando una volta, in una sede aziendale, si è parlato di dimensione contemplativa dell'esistenza, degli atei hanno chiesto alla relatrice se questa realtà fosse aperta ed accessibile anche a loro.
La gente cerca sicurezza e trova sette, ha sete di senso e trova il nostro moralismo.
A causa della nostra insicurezza di gente di poca fede, abbiamo soffocato dentro regole fredde il fuoco acceso da Cristo. E pensare che basterebbe scoprire il Bene presente in tutto, anche in ciò che vediamo negativo e credere che dipende da noi aprire spazi nuovi!
Ma gli uomini depressi del nostro tempo, come troveranno la strada della salvezza, se nessuno dice loro la propria esperienza con il linguaggio di tutti?
"Come potranno credere, senza aver sentito parlare del Signore?", dice san Paolo.
A suo tempo, san Domenico fondò un Ordine religioso destinato a predicare la verità, Francesco chiese al papa di poter proclamare il vangelo sulle piazze, perché la gente era prigioniera di teorie ingannevoli: nessuno più era in grado di parlare di Dio in modo semplice.
Neppure oggi gli uomini conoscono il sapore della vita perché Dio non è annunciato con parole che trovano eco nella loro mentalità.
"Essere pronti a dar ragione della speranza" esige scoprirsi salvati attraverso l'esperienza dolorosa della "spina nella propria carne" e della compassione, maturata in un approfondimento rigoroso e assiduo alle cose di Dio.
Sarà mai possibile annoiarsi studiando l'Amore, la Verità, la Bellezza?
Il nostro tempo ha bisogno di predicatori che abbiano portato la Parola nel cuore e l'abbiano talmente elaborata da poterla restituire carica di vita agli uomini con le parole d'oggi.
Amici, oggi tocca a noi portare il messaggio d'Amore a chi ci passa a fianco, con le parole che escono dal cuore, ma soprattutto con la nostra vita, non è semplice ma ciò che ci conforta è non siamo noi la fonte, non siamo noi il bene che si esprime con il nostro amore, non siamo noi la giustizia che tentiamo di introdurre nei progetti, non siamo noi la ricchezza di vita che si esprime nella fraternità, nella comunione con gli altri: siamo solo il riflesso di una Realtà molto più grande.


Fonte:http://www.qumran2.net/

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