Don Marco Ceccarelli, “Il Servo del Signore”

II Domenica Tempo Ordinario “A” – 15 Gennaio 2017
I Lettura: Is 49,3.5-6
II Lettura: 1Cor 1,1-3
Vangelo: Gv 1,29-34
- Testi di riferimento: Es 12,3.12-13; Lv 4,32-34; Sal 51,7; Is 11,1-2; 42,1; 53,4-7.12; 63,11-14; Mt
8,17; 12,28; Lc 4,18; Gv 3,16-17; 12,31; 20,21-23; At 2,3.33; 8,32-35; 10,38; 11,15; Rm 7,14-17;
15,1-3; Eb 9,28; 1Pt 1,18-19; 2,24; Gv 1,7; 2,2; 4,14
1. Gesù il Messia-Servo. Può stupire il fatto che il brano di Vangelo odierno non sia da Matteo,

l’evangelista che abbiamo cominciato, e continueremo, ad ascoltare, in questo anno liturgico. In
ogni modo la testimonianza del Battista ci dà la possibilità di proseguire nel discorso sulla manifestazione
della missione di Gesù, così come ce la descrive l’evangelista Giovanni. E la missione di
Gesù è certamente quella del “Cristo”, cioè del Messia, ma in quanto “Servo del Signore”. Questa
sarà anche la prospettiva fondamentale con la quale occorrerà ascoltare nelle prossime domeniche il
Vangelo di Mt. Il “Servo del Signore” è quella figura singolare di cui si parla in alcuni testi di Isaia
(vedi prima lettura di oggi), figura incaricata, fra le altre cose, di portare la salvezza a tutte le nazioni
della terra (Is 49,6). Incarnando quanto annunciato per il Servo, Gesù compirà la sua missione di
Messia non solo destinato ad Israele, ma a tutti gli uomini. Quale tipo di salvezza e come egli la realizzerà
ci viene descritto sinteticamente dalla testimonianza di Giovanni.
2. “L’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (v. 29).
- Il Servo del Signore. Quanto si dice al v. 29 costituisce la prima e fondamentale affermazione del
Battista riguardo a Gesù, secondo il Vangelo di Gv. Essa rivela chi è Gesù e quale missione egli
svolga. Egli è il Servo del Signore di cui sopra. Ciò risulta chiaro dal riferimento a Is 53,7, dove si
paragona il Servo − certamente lo stesso personaggio anonimo di cui si parla nella prima lettura
odierna − ad un agnello che volontariamente e docilmente si lascia condurre al macello; e anche a Is
53,4.12 dove si dice che tale personaggio porta i peccati di una moltitudine. Teniamo presente che
con tale comportamento il Servo compie la missione che Dio gli ha assegnato; è Dio stesso che ha
voluto questo, a vantaggio dei molti. Gesù dunque realizza questa missione perché come un agnello
mansueto, che non oppone resistenza a chi gli fa del male, prende su di sé il peccato del mondo intero,
in quanto la sua missione è appunto destinata a tutti. L’uso del singolare (peccato) indica la
condizione di peccato dell’uomo. Non si tratta di “peccati” come qualcosa di estrinseco all’uomo il
quale, pur commettendo sbagli a causa della sua debolezza, in realtà è fondamentalmente buono. Si
tratta invece di una condizione intrinseca; se l’uomo pecca è perché è schiavo del peccato (Gv 8,34)
che abita in lui (Rm 7,14.17); c’è un dominio della realtà di peccato sull’uomo. Questo dominio del
peccato è ciò che impedisce all’uomo di poter vivere in comunione con Dio; ed è ciò che il Messia è
venuto a togliere. Affinché l’uomo potesse essere liberato dal peccato e vivere in comunione con
Dio non era sufficiente “perdonare il peccato” ad un livello puramente giuridico. Occorreva che
quel peccato fosse “tolto di mezzo”. Il vero perdono dei peccati implica un “farsi carico” di quel
peccato, con tutte le conseguenze che comporta. Il verbo “togliere” (airo) ha infatti il senso anche di
“prendere su di sé”, “farsi carico”. Per togliere di mezzo qualcosa lo si prende su di sé per portarlo
via. Gesù può togliere il peccato del mondo perché se ne fa carico, se lo assume senza respingerlo.
Quando durante la sua passione tutte le persone coinvolte, in un modo o nell’altro, hanno peccato
contro di lui, Gesù non ha respinto quel peccato, non si è difeso davanti ad esso (come invece facciamo
abitualmente noi) e se ne è fatto carico. Gesù è l’unico che accetta di assumersi volontariamente
i peccati degli altri. La figura dell’agnello di Is 53,7 serve ad evidenziare la sua completa arrendevolezza,
sottolineata dalla ripetizione di “non aprì la sua bocca”. I Vangeli descriveranno chiaramente
come questo sia stato l’atteggiamento di Cristo durante la sua passione (Mt 26,63; 27,12-
14). Gesù porterà i nostri peccati sul suo corpo per inchiodarli sulla croce (1Pt 2,24).
- L’agnello pasquale. L’immagine dell’agnello fa riferimento inoltre anche alla pasqua ebraica alla
cui vigilia si immolavano gli agnelli che sarebbero stati consumati nella cena pasquale. Si tratta
dell’agnello il cui sangue segnò il passaggio dall’essere schiavi del Faraone all’essere proprietà del
Signore; e facendo ciò allontanò la minaccia dell’angelo sterminatore che colpiva il primogeniti i
tutto ciò che apparteneva all’Egitto. Senza dubbio in Gv Cristo è presentato come l’agnello pasquale
nel racconto della passione (18,28; 19,14.31-36). Gesù è il vero agnello pasquale grazie al cui
sangue noi siamo riscattati da una vita vuota (1Pt 1,18-19) per diventare un popolo puro che gli appartenga
(Tt 2,14).
3. “Lo Spirito … su di lui” (vv. 31-33).
- La discesa dello Spirito Santo sul Messia era profetizzato dalle Scritture (Is 11,1-2; 42,1; 61,1).
Nel Vangelo odierno si sottolinea in modo particolare la permanenza dello Spirito in Gesù. Lo Spirito
non solo scende, ma rimane. Il verbo menein sta ad indicare che lo Spirito ha preso dimora in
lui in forma permanente. Esso è diventato qualcosa che “appartiene” a Gesù. Ed è in forza di questo
suo possesso dello Spirito che egli potrà battezzare in Spirito Santo e togliere il peccato dal mondo.
Il senso di questa permanenza è molto simile a quella che troviamo nella discesa dello Spirito sugli
apostoli descritto in At 2,3. Lo Spirito scende sugli apostoli e dimora in loro in forma stabile. Si
tratta di qualcosa di insolito. Infatti nell’Antico Testamento ci sono personaggi carismatici che ricevono
lo Spirito in particolari occasioni; ma la permanenza di esso in loro era limitata (Nm 11,25;
1Sam 10,10). Ora invece appare una realtà nuova; lo Spirito viene ad abitare nell’uomo in forma
stabile come in un tempio. Questa nuova realtà appare per la prima volta sulla scena umana
nell’uomo Gesù.
- Alla fine del Vangelo di Gv Gesù trasmette agli apostoli ciò che ha ricevuto (20,21-23). Gesù trasmette
loro la stessa missione che il Padre gli ha dato, che è quella di “togliere il peccato”; a questo
fine egli dona lo Spirito Santo. Se lo Spirito Santo dimora in Cristo in forma permanente lo stesso
sarà – in forma analoga – per i discepoli. Gv esprime in questo modo quanto indicato da Luca in At
2,3. La Chiesa continua fino alla fine dei tempi a portare agli uomini l’agnello di Dio che toglie il
peccato del mondo.
4. “Il Figlio di Dio” (v. 34).
- Da quanto sopra si ricava che Gesù non è soltanto il Messia e il Servo, ma anche il Figlio, in un
modo del tutto particolare. Siccome lo Spirito è Santo perché è Dio, lo stesso si può dire di colui nel
quale abita tale Spirito. Il termine “Santo” è un attributo tipico di Dio. La caratteristica principale di
Dio, quella che lo distingue da tutto ciò che non è Dio, è la santità. In Gv il termine è applicato, oltre
allo Spirito, soltanto a Dio Padre (17,11) e a Gesù stesso (6,69). Dunque, siccome lo Spirito Santo
scende su Gesù e vi rimane ciò significa che anche lui partecipa della divinità del Padre e dello
Spirito. Gesù è Figlio in quanto compartecipe della natura del Padre; egli è il Logos eterno, l’Unigenito
dal Padre. Il Servo del Signore è stato incarnato da Dio stesso.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/

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