FIGLIE DELLA CHIESA, LectioDivina"Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo"

Volto del Cristo, affresco cappella del Pellegrino – Vaticano

II Domenica del Tempo Ordinario
Antifona d'ingresso
Tutta la terra ti adori, o Dio, e inneggi a te: 

inneggi al tuo nome, o Altissimo. (Sal 66,4) 

Colletta
Dio onnipotente ed eterno, 
che governi il cielo e la terra, 
ascolta con bontà 
le preghiere del tuo popolo 
e dona ai nostri giorni la tua pace. 

Oppure: 
O Padre, 
che in Cristo, 
agnello pasquale e luce delle genti, 
chiami tutti gli uomini 
a formare il popolo della nuova alleanza, 
conferma in noi la grazia del battesimo 
con la forza del tuo Spirito, 
perché tutta la nostra vita 
proclami il lieto annunzio del Vangelo. 

PRIMA LETTURA (Is 49,3.5-6)
Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza.
Dal libro del profeta Isaìa

Il Signore mi ha detto:
«Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza – 
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 39)
Rit: Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà. 
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio. Rit:

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo». Rit:

«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo». Rit:

Ho annunciato la tua giustizia 
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra, 
Signore, tu lo sai. Rit: 

SECONDA LETTURA (1Cor 1,1-3) 
Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 

Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

Canto al Vangelo (Gv 1,14.12) 
Alleluia, alleluia.
Il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
a quanti lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio.
Alleluia. 

VANGELO (Gv 1,29-34) 
Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo. 
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». 
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Preghiera sulle offerte
Concedi a noi tuoi fedeli, Signore, 
di partecipare degnamente ai santi misteri 
perché, ogni volta che celebriamo 
questo memoriale del sacrificio del tuo Figlio, 
si compie l’opera della nostra redenzione. 
Per Cristo nostro Signore. 

Antifona di comunione
Dinanzi a me hai preparato una mensa 
e il mio calice trabocca. (Sal 23,5) 

Oppure: 
Abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi 
e vi abbiamo creduto. (1Gv 4,16) 

Oppure: 
“Ecco l’Agnello di Dio, 
che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29) 

Preghiera dopo la comunione
Infondi in noi, o Padre, lo Spirito del tuo amore, 
perché nutriti con l’unico pane di vita 
formiamo un cuor solo e un’anima sola. 

Lectio
Iniziamo il tempo ordinario di questo anno 2017 nella scia dell’Anno della Misericordia, continuando a dilatare i nostri cuori verso tutta l’umanità, sempre più bisognosa di salvezza.
Lo stile ci viene indicato dal profeta Isaia, che di pone davanti il misterioso Servo inviato non soltanto alla ristretta cerchia del popolo di Israele, ma chiamato ad essere Luce per le nazioni, in modo che nessun angolo della terra sia escluso dal suo fulgore. 
Si tratta di una vocazione indelebile, perché coincide con la formazione nel grembo materno e si perpetua in tutta la vita. Proprio come quella che Paolo indica nel suo incipit alla lettera ai Corinti, dove ribadisce che la chiamata del Signore rende santi i cristiani e li abilita ad essere ripieni di grazia e di pace. 
E i Vangelo ci pone davanti la meravigliosa missione del Messia, indicato dal suo Precursore come Agnello che si fa carico di tutto il mondo.

Giovanni 1, 29-34
In quel tempo, 29Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 
Nel IV Vangelo, l’evangelista presenta la figura del Battista non tanto facendo riferimento alla sua predicazione, come fanno i sinottici, ma focalizzando la sua testimonianza solenne. Egli infatti, dopo la “testimonianza negativa” in cui dichiara di non essere lui il Messia né il Cristo, ora proclama e testimonia in positivo che Gesù è Agnello di Dio che distrugge le colpe dell’umanità, che mette fine al dominio del peccato e apre alla salvezza universale.
Il titolo “Agnello di Dio” può richiamare, sia il servo sofferente di Isaia 52 sia l’agnello pasquale che si immola per la salvezza dell’uomo. Assume perciò carattere sacrificale e va letto come annuncio profetico del tipo si morte che attende Gesù. 

30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 
Il Battista riconosce la trascendenza di Gesù, la sua preesistenza a lui, sebbene sia nato dopo. Si ribadisce qui quanto già nel prologo era stato evidenziato dall’evangelista, e cioè la vita del Verbo nell’eternità di Dio; il personaggio straordinario che esisteva prima di nascere, il Messia atteso.

31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni il Battista confessa che il mistero di Gesù gli era stato sconosciuto fino a quel momento e che ignorava la sua messianicità. Nonostante questo egli manifesta che la sua opera è finalizzata alla manifestazione messianica di Gesù a Israele. Infatti i primi discepoli si muovono dietro Gesù proprio dietro l’indicazione autorevole del Battista circa l’agnello di Dio e grazie a Lui prende avvio la prima piccola comunità che segue il Maestro.

32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 
Il Battista, dopo aver dichiarato esplicitamente di non essere il Cristo, rende la sua solenne ed esplicita testimonianza a Gesù, perché durante l’incontro con Lui ha visto lo Spirito scendere come su di lui in forma di colomba. Il verbo vedere/contemplare, associato a testimoniare, è caratteristico della teologia giovannea; il precursore attesta ciò che ha visto, e lo fa davanti a tutti,  con l’autorevolezza del testimone oculare.
Il riferimento alla colomba per rappresentare lo Spirito secondo alcuni esegeti si fonda sul fatto che nell’Antico Testamento lo Spirito di Dio si rappresentava come soffio, come vento, come elemento fisico che la poesia aveva munito di ali. Inoltre nell’antico giudaismo la colomba raffigurava Israele, e in questo caso lo Spirito sceso sotto forma di colomba potrebbe simboleggiare la creazione del nuovo popolo di Dio, che sarà il frutto principale della venuta dello Spirito sulla terra.
Il rapporto privilegiato di Gesù con lo Spirito implica che questi prenda possesso di Lui e vi abiti in modo permanente; tale stabilirsi dello Spirito sulla persona di Gesù è tipica del Vangelo di Giovanni e costituisce la prova autentica della sua messianicità, preconizzata dal profeta Isaia, che in 11,2 affermava che lo Spirito di Dio si sarebbe posato sul virgulto di Iesse e in 42,1 afferma che il Signore darà il suo Spirito al suo eletto. 

33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”.
Il Battista manifesta qui che il “segno dello Spirito” che gli viene donato per comprendere la presenza del Messia gli è stato indicato direttamente dal Padre celeste; è Lui che gli ha dato la missione di battezzare con l’acqua e di riconoscere il Messia attraverso il segno dello Spirito che si posa definitivamente su di Lui. 
Lo Spirito Santo, rimanendo su Gesù, prendendone possesso duraturo, fa di Lui il suo tempio. Proprio perché ne è ripieno Gesù può donare ai suoi discepoli lo Spirito senza misura (cf. Gv 3,34) e inviarlo su di loro dopo la sua glorificazione (cf. Gv 15, 26)..

34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Con grande solennità il Battista si appella alla sua esperienza oculare per testimoniare che Gesù è il Figlio, o, secondo alcune antiche tradizioni manoscritte, l’Eletto, cioè il Messia. Con questa solenne e pubblica testimonianza nei confronti di Gesù, egli spiana la strada perché i cuori si aprano ad accoglierLo e ad accettare con fede il suo Messaggio e la sua Persona divina. 

Appendice

L’Agnello che toglie il peccato del mondo
Benché il Padre gli dica che è una grande cosa che egli sia divenuto servo, è poco, se lo si paragona con un agnellino innocente o un agnello. Infatti, l`Agnello di Dio è come un agnellino innocente condotto al sacrificio per "togliere il peccato del mondo" (Is 53,7; Gv 1,29); perché fossimo tutti purificati dalla sua morte, colui che dà a tutti la parola è divenuto simile ad un agnello muto davanti al tosatore, dato alla maniera di un carme magico contro le potenze avverse e contro il peccato di coloro che non vogliono accogliere la verità. Infatti, la morte di Cristo ha indebolito le potenze che combattono la stirpe degli uomini e, con la sua forza ineffabile, essa ha, in ciascuno dei credenti, strappato la vita al peccato.
Poiché fino a che tutti i suoi nemici siano annientati e, in ultimo, la morte (cf. 1Cor 15,26), egli toglie il peccato, affinché il mondo intero sia senza peccato: per tale motivo designandolo Giovanni dice: "Ecco l`Agnello di Dio, che toglie il peccato dei mondo" (Gv 1,29); egli non è né colui che lo toglierà, ma non lo ha tolto ancora, né colui che lo ha tolto e non lo toglie più, bensì colui che continua a toglierlo in ciascuno di coloro che sono nel mondo fino a che il peccato non sia soppresso dal mondo intero e il Salvatore rimetta al Padre suo un regno pronto (cf. 1Cor 15,24) per essere governato da lui, perché non vi si trova più il minimo peccato, ed a ricevere, in tutti i suoi elementi, tutti i doni di Dio, quando sarà compiuta questa parola: "Dio sarà in tutto in tutti " (1Cor 15,28). (Origene, In Ioan. I, 233-235)

La condizione umana di peccato
Abbi oltremodo per certo e non dubitare in alcun modo, che i primi uomini, cioè Adamo e la donna di lui, creati buoni, retti e senza peccato, con il libero arbitrio, col quale potevano, volendo, sempre servire e obbedire a Dio con umile e buona volontà, col quale arbitrio anche potevano, volendo, peccare con la propria volontà; e loro non per necessità, ma per la propria volontà peccarono; e con quel peccato la natura umana fu talmente mutata in peggio, che non solo in quei primi uomini attraverso il peccato regnò la morte, ma anche in tutti gli uomini si trasmise la signoria del peccato e della morte.
Abbi oltremodo per certo e non dubitare in alcun modo che ogni uomo che viene concepito dall`unione dell`uomo e della donna, nasce col peccato originale, assoggettato all`empietà e sottomesso alla morte, e per questo nasce per natura figlio dell`ira. Della quale dice l`Apostolo: "Eravamo infatti anche noi per natura figli dell`ira come gli altri" (Ef 2,3). Dalla quale ira nessuno viene liberato, se non per la fede del mediatore di Dio e degli uomini, l`uomo Gesú Cristo, il quale, concepito senza peccato, si è fatto peccato per noi, cioè fatto sacrificio per i nostri peccati. Già nel Vecchio Testamento venivano detti peccati i sacrifici che si offrivano per i peccati, nei quali tutti fu sacrificato Cristo, poiché egli è "l`Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo" (Gv 1,29). (Fulgenzio di Ruspe, De fide ad Petr. 68-69)

Il mistero di Giovanni continua anche oggi
Io credo che il mistero di Giovanni si compia fino ai nostri giorni nel mondo. È necessario che lo spirito e la potenza di Giovanni vengano dapprima nell`anima di chiunque è destinato a credere in Gesù Cristo, per preparare al Signore un popolo perfetto, e spianare le strade e raddrizzare i sentieri nelle asperità dei cuori. Non è soltanto in quei tempi che le strade furono spianate e i sentieri raddrizzati, ma anche oggi lo spirito e la potenza di Giovanni precedono l`avvento del Signore e Salvatore. (Origene, In Luc. 4, 6)

Andare innanzi al Signore, come Giovanni
È poi giustissimo dire che san "Giovanni andrà innanzi al Signore" (Lc 1,76), perché è nato come precursore, e come precursore è morto. E forse questo sacro mistero si potrebbe compiere in questa nostra vita, anzi oggi stesso. Effettivamente, quando ci disponiamo a credere in Cristo, un potente influsso di Giovanni va innanzi alla nostra anima, per preparare alla fede le vie dell`anima nostra, e fare delle tortuosità di questa vita le vie diritte del nostro passaggio, sí che non abbiamo a cadere nel percorso intricato dell`errore, e ogni valle della nostra anima possa produrre frutti di virtù, ogni cima di meriti profani curvarsi con trepida umiltà davanti al Signore, ben conoscendo che non può assolutamente esaltarsi ciò che è la debolezza in persona. (Ambrogio, In Luc. 1, 38)

In Gesù è la pienezza della grazia
"Sulle tue labbra è diffusa la grazia"" (Sal 44,3). Vedi che lui [il Salmista] dice queste cose della natura umana da lui [Cristo] assunta? Ma che cos`è questa grazia? Per la quale ha insegnato, per la quale ha compiuto miracoli? Qui dice grazia, quella che venne nella carne: "[L`uomo] sul quale, dice, vedrai lo Spirito scendere come colomba, e rimanere, è colui che battezza in Spirito Santo" (Gv 1,33). Tutta la grazia infatti è effusa in quel tempio. Perché non dà a lui lo Spirito con misura: "Della sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto" (Gv 1,16); ma quel tempio riceve tutta e completa la grazia. E` questo che anche Isaia intendeva dicendo: "Su di lui poserà lo Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di conoscenza e di pietà. Si compiacerà del timore del Signore" (Is 11,2-3). Ma lì certamente è integra e universale la grazia: negli uomini invece poca cosa, e una goccia, quella grazia. (Giovanni Crisostomo, Exp. in Psal. XLIV, 2)

La complessa testimonianza del Battista su Gesù parte in termini misteriosi e suggestivi: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete» (v. 26), che le successive affermazioni preciseranno; comunque già chiaramente messianica. Il contesto lo suggerisce: si attua in questo misterioso personaggio già presente eppure ignoto, ciò che inutilmente i Giudei cercano nel Battista («il Cristo», «Elia», «il profeta»: vv. 20-21; si noti soprattutto il rapporto fra i vv. 25 e 26). 
La teoria popolare del «messia nascosto», di cui si ha un'eco anche nel quarto vangelo (7, 27), sta probabilmente alla base di questa suggestiva battuta iniziale del Battista: già presente, il Messia sarebbe stato riconosciuto all'improvviso solo successivamente. Proprio quello che è capitato allo stesso Battista (vv. 31-33). È un tema che affiora forse anche nella confessione sinottica di Cesarea (Mc 8, 27-30). Non è nemmeno da escludere una punta di polemica, anticipo di quanto succederà: questo «sconosciuto» essi rifiuteranno sempre di «conoscerlo» (8, 14.19). Comunque è l'altissima dignità di questo misterioso «sconosciuto» che il Battista vuol rivelare con gesti di venerazione suprema (v. 27; altro parallelo ai sinottici: Mc 1,7 e par.). 
Ma è con la seconda proclamazione che la testimonianza del Battista raggiunge uno dei suoi culmini, presentando Gesù come «l'agnello di Dio ... colui che toglie il peccato del mondo» (vv. 29.36). Per spiegare questo eccezionale titolo messianico, assente negli altri vangeli, presente in Giovanni solo in questo passo, sono state avanzate tutte le ipotesi possibili.
Sotto il profilo cultuale, si è pensato innanzitutto, con i Padri Latini, all'agnello pasquale, come anche all'agnello immolato quotidianamente nel tempio, mattino e sera (Es 29, 38-42; Nm 28, 3-8), segno dell'ininterrotta alleanza fra Dio e il suo popolo. 
I testi profetici hanno portato spontaneamente a pensare, secondo le preferenze dei Padri Greci, al «Servo di Jahvè» cantato da Isaia «come agnello condotto al macello» per il suo popolo (Is 53, 7). 
Anche la letteratura giudaica ha offerto punti di riferimento con la figura del vittorioso agnello apocalittico destinato a distruggere in nome di Dio il male del mondo. 

Concezione a cui non sembra estranea la letteratura giovannea, come dimostra l'immagine dell'Agnello celeste e vincitore di Apocalisse 5, 7-13; 8, 10.17. Il quale tuttavia porta i segni della sua immolazione («un Agnello come immolato»: Ap 5, 6), e rimanda così alle immagini precedenti. Anzitutto al Servo di Jahvè «come agnello condotto al macello», che «ha consegnato se stesso alla morte... mentre portava il peccato di molti» (Is 53, 7.12). Le espressioni non sono del tutto identiche a quelle giovannee, ma il riscontro è talmente sorprendente che è impossibile interpretare questo passo di Giovanni senza riferimento alla celebre pagina di Isaia e al sacrificio del «Servo», che spesso nel Nuovo Testamento viene applicata a Gesù (At 8, 32; Mt 8, 17; Eb 9,28), come anche nella letteratura cristiana antichissima (prima lettera di Clemente l,16, uno scritto praticamente contemporaneo a Giovanni). 
Tuttavia è forse soprattutto il ricordo dell'agnello pasquale a offrire lo sfondo più naturale alla proclamazione del Battista. Vi si richiama esplicitamente l'evangelista concludendo il suo racconto della passione di Gesù (19, 36); e probabilmente non è un caso che, nella sua particolare cronologia, la morte di Gesù avvenga proprio nell'ora in cui si immolavano gli agnelli (il pomeriggio della vigilia di Pasqua). 
L'«immolazione» dell'agnello apocalittico giovanneo (Ap 5, 6), e il parallelo fra l'agnello pasquale e Gesù in altri scritti del Nuovo Testamento (ICor 5,7; IPt l, 19) lo confermano. Non si può nemmeno dimenticare che tutto questo racconto fa in un certo senso da preludio alla prima Pasqua (2, 13-21), dominata dal pensiero della morte e della glorificazione di Gesù. Questo titolo dunque, anche se vi confluiscono diversi influssi, tende in modo particolare a sottolineare l'aspetto «pasquale» (passione/risurrezione) della morte vicaria ed espiatrice di Gesù, capace di annientare «il peccato del mondo» e di riconciliare gli uomini con Dio. Concetto caro alla letteratura giovannea: «Voi sapete che egli è apparso per togliere i peccati e che in Lui non vi è peccato. Chiunque rimane in Lui non pecca» (1Gv 3, 5-6). 
La successiva testimonianza del Battista, che non si esprime in un «titolo», ma in una descrizione dinamica - «viene un uomo che mi è passato davanti perché era prima di me» (v. 30) - riprende un tema caro alla teologia giovannea: quello della preesistenza di Cristo. Già affermato nel Prologo (1, 15: vedi commento), riaffiorerà a diverse riprese (6, 62; 8, 58) fino alle solenni e definitive affermazioni della «preghiera sacerdotale» (17, 5.24). Prendendo le mosse dalla cristologia primitiva (dignità sovrumana del Figlio) e portandola ai massimi sviluppi, probabilmente non è senza rapporti con certi filoni del pensiero giudaico-apocalittico (non rabbinico) del primo secolo. Però in Giovanni acquista, tenendo conto dei concetti del Prologo, una portata precisa e inequivocabile: quella della preesistenza divina del Messia venuto dal cielo. Lo spunto è storico - testimonianza del Battista -, ma è ormai la fede piena della comunità giovannea che vi si riflette. Ancora una volta, la prospettiva è quella dinamica della missione del Figlio, come appare dal contesto in cui è incluso. 
Questo diventa subito chiaro dalla testimonianza che segue immediatamente: Gesù è colui sul quale «scende» e «si posa» (letteralmente «rimane») lo Spirito Santo (vv. 32.33). Dalla formulazione del passo («scendere come una colomba») è riconoscibile il riferimento all'episodio sinottico del battesimo di Gesù; che tuttavia Giovanni non racconta, probabilmente per motivazioni di linearità cristologica. 
Quello della discesa dello Spirito di Dio sul Messia è un motivo classico nell' Antico Testamento (Is 42, l; 61, 1) che sembra preparare persino la matura formulazione giovannea: «Su di lui si poserà lo Spirito del Signore» (Is 11, 2: il linguaggio però non è identico). Quanto ai contenuti però il quarto vangelo si pone molto più avanti, qualora si tengano presenti i passi analoghi: 
Gesù possiede lo Spirito di Dio in modo permanente e pieno, sicché - strumento unico di salvezza nelle mani di Dio - potrà Lui stesso «donare» lo Spirito ai credenti (3,34; 7,37-39; 15,26; 16, 7). Come i testi appena citati affermano esplicitamente, questo suppone ancora il compiersi degli eventi pasquali. 
La tensione dinamica («possiede e dà») viene indicata dalla testimonianza immediatamente seguente del Battista, che parla di Gesù come di «colui che battezza in Spirito Santo» (v. 33). Si ripete un fatto frequente in questa pagina del quarto vangelo: un richiamo «verbale» ai sinottici (Me 1, 8: parole del Battista). E come nei sinottici, anche qui la natura di questo «battesimo nello Spirito» non viene spiegata, almeno immediatamente. Il concetto però non resterà in sospeso: la lezione a Nicodemo - sempre nel contesto della prima Pasqua - sulla rinascita «da acqua e da spirito» (3, 5) ne rappresenterà poi l'interpretazione adeguata. In contrapposizione al battesimo provvisorio e rituale del Battista (v. 31), il battesimo offerto da Gesù opererà con la forza divina dello Spirito, facendo «rinascere dall'alto» i suoi discepoli, rendendoli cioè «figli di Dio», «generati da Dio» (Prologo: l, 12-13). Un'immersione nello Spirito dunque che pone gli uomini in profonda comunione con Dio, nell'esperienza della sua stessa vita divina. Si tratta insomma dell'opera della redenzione; già espressa al negativo con il titolo di «agnello di Dio» («toglie i peccati»), ora al positivo in questa proclamazione (porta gli uomini alla vita divina). 
Nell'un caso e nell'altro sullo sfondo, evangelicamente, stanno sempre i misteri della salvezza pasquale: la morte e la risurrezione di Gesù. Impressionante la coerenza, anche dal punto di vista pastorale, di questa splendida pagina: «l'agnello» immolato libera il mondo dal peccato; il Messia, colmo di Spirito Santo, lo comunica ai credenti, offrendo loro la vita stessa di Dio; il Figlio «preesistente», inserisce i discepoli nel mondo del Padre, rendendoli «figli di Dio». 
Con tutta naturalezza l'ultima testimonianza del Battista proclama Gesù «il Figlio di Dio» (v. 34). Viene ripreso - al solito - un tema impostato nel Prologo (1, 18), e sono anticipati gli sviluppi, anche i più audaci, del vangelo (soprattutto 10, 30-37). Così armoniosamente si conclude questa perfetta pagina di catechesi cristologica ricchissima di teologia, e insieme tesa al dinamismo dell'opera di salvezza. Molta della sua forza cadrebbe se si dimenticasse lo sfondo «battesimale» in cui si muove, e la tensione «pasquale» che la sorregge. (Mauro Laconi, Il racconto di Giovanni, Cittadella Editrice, pp. 50-55)

Il peccato del mondo! Quasi anticipando una presa di coscienza planetaria, oggi divenuta corrente, Giovanni il testimone non chiama alla confessione personale dei peccati, come i sinottici, né dà norme dettagliate per «raddrizzare il sentiero»: egli va direttamente allo stato di rottura in cui l'intera umanità si trova di fronte a Dio. Questo testo non si colloca al livello dell'esistenza peccatrice individuale, ma a quello di un disordine che intacca la società umana di cui noi facciamo parte. 
«Il mondo è a pezzi» diceva Gabriel Marcel; si può riconoscere questo sconvolgimento nelle catastrofi, nelle guerre, nelle situazioni economiche e sociali intollerabili, nel male sotto tutte le forme, infine nella morte. 
Si tratta di «peccato» in tutto ciò? La nozione ha perduto per noi i suoi contorni netti. Le scienze umane ci hanno insegnato a tener conto dei determinismi inconsci, delle carenze educative, delle pressioni sociali, dei fanatismi che accecano, ecc. Quanto al senso di «colpa», cui ha contribuito una morale ridotta al permesso e al proibito, esso appare per ciò che è: un doloroso ostacolo alla piena realizzazione degli esseri umani; da molto tempo però gli autori spirituali hanno messo in chiaro che esso non va confuso con il pentimento che si riferisce a una colpa reale e che è il rinnovamento della relazione con Dio nella libertà dell'amore. 
È chiaro comunque che senza l'ammissione radicale di un legame tra lo stato presente del mondo e la non accoglienza di Dio, non è possibile afferrare la parola di Giovanni. Il peccato del mondo qui non viene attribuito a una colpa delle origini; sembra piuttosto riferirsi a una potenza sempre in azione, anonima per certi versi, e che risulta dalla proliferazione e dall'interazione di innumerevoli rifiuti - potremmo dire coscienti o no - opposti alla vita che il Creatore offre alla creatura. 
Per il quarto vangelo il peccato fondamentale è il rifiuto della luce divina del Logos. Ora, dice il Battista, Dio viene mediante colui che è il segno vivente del suo perdono per «togliere il peccato del mondo». 
L'opera dell'Agnello, compiuta in se stessa, non lo è nello spazio e nel tempo; essa attraversa indubbiamente il nostro mondo ferito, ma la lotta della luce contro la tenebra caratterizza ancora il presente. Per essere, a nostra volta, come discepoli, testimoni e attori della salvezza che Dio ha definitivamente offerto nel suo Figlio unico, l'essenziale sta nel seguire Gesù. (Xavier Léon-Dufour, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, I. Ed. San Paolo, pp. 254-256)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Con la festa del Battesimo del Signore, celebrata domenica scorsa, siamo entrati nel tempo liturgico chiamato “ordinario”. In questa seconda domenica, il Vangelo ci presenta la scena dell’incontro tra Gesù e Giovanni Battista, presso il fiume Giordano. Chi la racconta è il testimone oculare, Giovanni Evangelista, che prima di essere discepolo di Gesù era discepolo del Battista, insieme col fratello Giacomo, con Simone e Andrea, tutti della Galilea, tutti pescatori. Il Battista dunque vede Gesù che avanza tra la folla e, ispirato dall’alto, riconosce in Lui l’inviato di Dio, per questo lo indica con queste parole: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29).
Il verbo che viene tradotto con “toglie” significa letteralmente “sollevare”, “prendere su di sé”. Gesù è venuto nel mondo con una missione precisa: liberarlo dalla schiavitù del peccato, caricandosi le colpe dell’umanità. In che modo? Amando. Non c’è altro modo di vincere il male e il peccato se non con l’amore che spinge al dono della propria vita per gli altri. Nella testimonianza di Giovanni Battista, Gesù ha i tratti del Servo del Signore, che «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4), fino a morire sulla croce. Egli è il vero agnello pasquale, che si immerge nel fiume del nostro peccato, per purificarci.
Il Battista vede dinanzi a sé un uomo che si mette in fila con i peccatori per farsi battezzare, pur non avendone bisogno. Un uomo che Dio ha mandato nel mondo come agnello immolato. Nel Nuovo Testamento il termine “agnello” ricorre più volte e sempre in riferimento a Gesù. Questa immagine dell’agnello potrebbe stupire; infatti, un animale che non si caratterizza certo per forza e robustezza si carica sulle proprie spalle un peso così opprimente. La massa enorme del male viene tolta e portata via da una creatura debole e fragile, simbolo di obbedienza, docilità e di amore indifeso, che arriva fino al sacrificio di sé. L’agnello non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo. E così è Gesù! Così è Gesù, come un agnello.
Che cosa significa per la Chiesa, per noi, oggi, essere discepoli di Gesù Agnello di Dio? Significa mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio. È un buon lavoro! Noi cristiani dobbiamo fare questo: mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio. Essere discepoli dell’Agnello significa non vivere come una “cittadella assediata”, ma come una città posta sul monte, aperta, accogliente, solidale. Vuol dire non assumere atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti, testimoniando con la nostra vita che seguire Gesù ci rende più liberi e più gioiosi. (Papa Francesco, Angelus del 19 gennaio 2014)

Fonte:http://www.figliedellachiesa.org/

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