MONASTERO DI RUVIANO COMMENTO QUARTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


QUARTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Sof 2, 3; 3, 12-13; Sal 145; 1Cor 1, 26-31; Mt 5, 1 – 12a
            Con questa domenica iniziamo a leggere assieme il Discorso della montagna con cui Matteo
ci impegnerà nelle prossime domeniche e fino all’inizio della Quaresima. Quest’anno riusciremo a leggerlo quasi tutto …

            Per entrare in questa lettura che la Liturgia ci propone bisogna premettere delle cose chiare a che tale lettura non risulti né falsificata, né edulcorata, né tantomeno resa inoffensiva.

             In primo luogo dobbiamo dire che le Beatitudini, che leggiamo oggi e che sono il grande preludio a tutto il discorso, e tutto quello che seguirà in queste pagine, sono un messaggio per la Chiesa di sempre, per la Chiesa che voglia davvero essere la Chiesa di Cristo; non allora un messaggio – come pure qualcuno ha voluto affermare – un messaggio per tempi di emergenza (d’altro canto quale tempo non è tempo d’emergenza per i discepoli di Gesù?); di conseguenza si deve capire ed affermare che qui c’è una via per tutti i discepoli e non solo per quelli che hanno “vocazioni particolari”, quasi un discorso che riguardi una categoria privilegiata di cristiani, un gruppo di iniziati; ultima cosa da dire previamente è che qui non c’è solo l’indicazione per un generico cambiamento di mentalità, quasi una serie di “bei sentimenti” da nutrire in cuore; no: si tratta di un modo di vivere, di una prassi concreta e compromessa con la storia.

            Le Beatitudini,che sono la pagina celeberrima che apre tutto il discorso, sono da collegarsi direttamente a quanto Matteo ha detto precedentemente circa l’inizio della predicazione di Gesù. Il Messia Gesù, preannunziato dal Battista (cfr Mt 3, 11-12), finalmente parla e proclama che il Regno di Dio è venuto (cfr Mt 4, 12-17). Le Beatitudini affermano, in modo esteso, questo arrivo del Regno. Se leggiamo gli oracoli di Isaia al capitolo 61 vi troviamo che il tempo del Messia sarà il tempo dei poveri, degli affamati, dei perseguitati … di quelli che il mondo giudica “inutili”. È il messaggio che vien fuori anche dal testo del Libro di Sofonia che è la prima lettura di questa domenica. Gesù, nelle Beatitudini, proclama che quel tempo annunziato dai profeti ormai è giunto; infatti, se i profeti proclamano delle beatitudini al futuro, come una speranza, ora Gesù usa il presente! Oggi i poveri sono beati! Se questo è vero vuol dire che il Regno è arrivato per tutti! Le Beatitudini affermano che l’amore di Dio non crea emarginazioni.

            Gesù ci ha raccontato, con la sua vita e le sue scelte, il Dio che si mette dalla parte del povero, dell’escluso, dalla parte del malato, dello straniero, del peccatore! Gesù sedeva a mensa con i peccatori e ne ha pagato il prezzo (cfr Mt 9, 10-13)!

            Se leggiamo le Beatitudini alla luce di tutto quello che Gesù ha detto e ha fatto capiamo subito una cosa: le Beatitudini sono il modo di Gesù di pensare la vita. Gesù ha pensato la vita come dono e come servizio; Gesù ha compreso che tutto, nella sua vita, proviene dal dono gratuito del Padre. Al Giordano ha sentito su di Lui questa paternità amante e nel deserto ha deciso di rispondere al dono con tutto se stesso e senza sconti: la gratuità chiede gratuità.

            Così scorrono le otto beatitudini che Matteo pone sulle labbra di Gesù: beati, beati, beati …

            Immediatamente si fa chiaro, ad una lettura attenta e né superficiale e né carica di precomprensioni, che Matteo non vuole “beatificare” delle situazioni negative; qualcuno ha addirittura detto che le Beatitudini sono state un danno alla liberazione dell’uomo dalle sue schiavitù e dalle ingiustizie in quanto giustificazione dei mali del mondo; quasi un invito a starsene buoni perché, in fondo, la povertà, l’emarginazione, l’ingiustizia Dio poi li volge a bene. No! Assolutamente no! Gesù qui non vuole “beatificare” i mali del mondo ma degli atteggiamenti esistenziali, vitali, spirituali, morali … delle scelte controcorrente che il suo discepolo è chiamato a fare. Gesù qui non vuole lo scontro tra ricchi e poveri, tra oppressori ed oppressi … Gesù qui invita i suoi ad assumere una lettura della storia e del reale che costruisca nella storia il Regno accogliendo il Regno. Il Regno è la logica di Dio che guarda con sguardo di predilezione i poveri, gli afflitti, i miti, gli affamati, i misericordiosi, i puri, i pacifici, i perseguitati. È quello che dice Paolo nello straordinario tratto della sua Prima lettera ai cristiani di Corinto che oggi leggiamo: Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto, …è debole…è ignobile…è disprezzato.

            Allora non si tratta qui di suggerimenti generici, astratti, individualistici. Per esempio essere poveri nello spirito non è un astratto e generico distacco dalle ricchezze (per altro ben conservate in forzieri o oggi nelle Banche … magari “armate”! Conservati ma…con distacco! Che bieca ipocrisia!), è invece un atteggiamento concreto, direi pubblico; “nello spirito” non significa “nelle intenzioni del cuore” ma significa “poveri per davvero, profondamente”; e si è poveri per davvero perché si è beati per tutte le altre sette beatitudini! Infatti per essere miti, per affermare la giustizia, per soffrire per il Regno, per essere misericordiosi, per essere puri di cuore, per costruire la pace, per sopportare la persecuzione a causa dell’Evangelo, è necessario mettersi in gioco con tutto quello che di è e si possiede … se non si è poveri non si possono prendere su di sé le altre beatitudini.

            Insomma il discepolo è beato se tutta la sua vita ha al centro l’avvento del Regno che Gesù ha annunziato. La grande domanda che le Beatitudini ci fanno è questa: Sei disposto a puntare tutto sul Regno, costi quel che costi? E certamente costerà perché il Regno ci è stato donato “a caro prezzo” come il Messia crocefisso ci ha mostrato!

            Proprio per questo le Beatitudini si concludono con un invito a gioire: Gioite ed esultate, dice Gesù. Vorrei cogliere in pienezza questo invito perché penso che il più grande peccato che il discepolo possa fare è quello di essere, alla fine, triste perché ha lasciato tutto per il Regno! È un po’ la tristezza di chi rimpiange le cipolle d’Egitto (cfr Nm 11, 5). La verità è che solo se si “lascia” nella gioia si annunzia il Regno perché il Regno è l’Evangelo e cioè un “lieto annunzio”, un annunzio di gioia. Gente triste e piena di rimpianti non annunzia il Regno di Gesù; che il Regno sia costoso e che abbia sullo sfondo l’ombra della croce non autorizza alcuna tristezza!

            Diceva con acutezza spirituale San Francesco di Sales: “Un cristiano triste è un triste cristiano”! È proprio così: un cristiano triste non edifica il regno e non ha in sé la luce della Risurrezione né le energie della Risurrezione … le sole con cui si edifica e si annunzia il Regno. Sì, perché con quelle energie noi figli di Adam possiamo divenire uomini delle Beatitudini, possiamo essere poveri, miti, capaci di piangere per l’Evangelo, affamati e assetati di giustizia, misericordiosi, puri di cuore, costruttori di pace, capaci di subire persecuzione per l’Evangelo … e così ricevere in dono il Regno per ridonarlo ancora e sempre al mondo!

p. Fabrizio  
Fonte:http://www.monasterodiruviano.it/

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