Chiesa del Gesù - Roma, "La fede insaporisce la vita "

V domenica del Tempo Ordinario [A]
Is 58,7-10; Sal 111; 1Cor 2,1-5; Mt 5,13-16
Domenica scorsa la liturgia ci ha proposto l’inizio del discorso della montagna, dove Gesù proclama
le beatitudini.

Dobbiamo notare onestamente che facciamo fatica a entrare nella logica di ciò che il Signore ci propone e a viverlo concretamente, trovandovi di che essere felici.

La tentazione è quella di rassegnarci e lasciar perdere.

Ha senso realisticamente cercare di orientare la propria vita alla luce delle Beatitudini?

È un interrogativo che si sono posti anche i primi cristiani, facendo i conti con la fatica della quotidianità, con le incomprensioni della comunità nascente, schiacciati fra una religiosità tradizionale totalizzante (l’ebraismo) o ininfluente (la religione romana tradizionale) e una vita sociale e politica aggressiva e decadente.

Una realtà non molto lontana da ciò in cui siamo immersi oggi.

Gesù vive le beatitudini che proclama, e ci svela il volto di un Dio diverso dalle nostre paure, e una verità di uomini che è all’opposto di ciò che vorremmo.

Se il mondo esalta i vincenti, i forti, gli arroganti, gli spregiudicati, i falsi, gli ambiziosi, Dio ci svela che un cuore mite, sincero, fiducioso, pronto a portare le conseguenze delle proprie azioni costruisce una nuova umanità.

Gesù non esalta la sfortuna, ma proclama beati coloro che piangono, i poveri e i perseguitati, perché proprio a loro Dio rivolge il suo sguardo e dona la sua pace.

Felici noi, dunque, se cerchiamo di imitare le scelte del Signore.

Beati noi, se non ci spaventiamo di quello che accade, beati noi se non ci lasciamo prendere dallo sconforto perché il mare che attraversiamo è agitato e ci manca la fede.

Davanti alla perplessità e alla fatica di vivere questo insegnamento, là dove noi cercheremmo dei compromessi, invece Lui alza la posta in gioco con le parole che abbiamo udito nel vangelo di oggi: se il sale perde il sapore, con che cosa lo possiamo salare?

La fede insaporisce la vita e il vangelo è quel pizzico di sale che dona sapore a tutto il resto.

Chi fa esperienza della bellezza di Dio sa che la sua vita è cambiata, che è stata illuminata dalla Parola, che vede se e gli altri in maniera diversa, che possiede una chiave di lettura della Storia – e della propria personale – innovativa.

Il mondo non è un susseguirsi di eventi violenti ed inesplicabili, ma la manifestazione del grande progetto di amore che Dio ha su tutta l’umanità.

Però, ammonisce Gesù, il terribile rischio è che il sale prenda umidità.

Abbiamo ricevuto il sapore dal vangelo, però siamo anche chiamati a diventare sale.

Al dono deve corrispondere l’accettazione e la sua custodia: abbiamo ricevuto la spinta iniziale, ma poi dobbiamo iniziare a camminare noi per andare avanti.

La sensazione, però, è che siamo diventati insipidi.

Noi spesso abbiamo la tentazione delle grandi cose, quasi che ci venga chiesto di fare l’impossibile.

Il regno di Dio non necessita del molto, ma del poco di qualità: cioè di cristiani che amino molto e che credano in ciò che dicono.

Il dramma del nostro tempo, almeno qui in occidente, è proprio quello di sperimentare un cristianesimo che non è più sufficiente a creare discepoli.

Un cristianesimo che si riduce ad abitudine, a tradizione, a etica, a solidarietà, ma che non dona più sapore alla vita.

Siamo diventati una Luce sotto lo sgabello, timorosi di essere trasparenza di Dio, attenti a proporci con un cristianesimo “politicamente corretto” che non inquieti più di tanto.

A differenza di Gesù, davanti all’apatia del nostro tempo, saremmo tentati di annacquare il Vangelo e la vita di fede.

Isaia ci svela il modo concreto di essere luce e sale: attraverso l’amore e la carità operosa, che è il cuore docile al volere di Dio sapendo stare lì dove il Signore sta.

Per un cristiano il gesto d’amore, lo spezzare concretamente il pane diventa un gesto teologico e una esplicitazione d’amore.



Essere solidale con l’umanità che soffre non è solo fare gesti di elemosina, ma cercare stili di vita che contrastino la povertà dilagante, il profitto e l’economia al centro delle scelte, l’egoismo e l’edonismo come ammiccanti soluzioni di vita.

Paolo ci ricorda, a partire dalla sua esperienza, che la logica di Dio è diversa dalla logica del mondo: in quanto è una logica crocifissa.

Il metro del nostro risultato è nel cuore di Dio, non nelle statistiche e nelle percentuali.

Anche se agli occhi del mondo questa disponibilità e questo amore sono perdenti o insignificanti, noi – figli della luce – ci fidiamo del Signore.

Anche se continuamente lo spettro della battaglia vinta dalle tenebre ci inquieta, noi come il Signore continuiamo ad amare e soffrire, sapendo che la sconfitta apparente di Dio è, in realtà, la salvezza del mondo.



O Signore è sulla sommità del monte, dalla tua croce eretta tra cielo e terra che ci chiami a essere sale e luce del mondo.

Con i tuoi sacramenti ci dai la grazia di dare sapore alle realtà in cui tu ci hai voluto come testimoni del Vangelo: fa’ che non cediamo alla tentazione di barattare ciò che siamo per un quieto vivere, animato dalla paura e dall’abbattimento.

Donaci la forza di grandi speranze e di amare la nostra debolezza, nella certezza della fede che è nella sofferenza che la verità si fa più chiara.

Fonte:http://www.chiesadelgesu.org/

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